venerdì
04 Luglio 2025
Archeologia

Trovata tomba di una neonata di 10mila anni fa, un prof di Ravenna tra i ricercatori

Stefano Benazzi del dipartimento di Beni culturali dell'Unibo è nel team che ha lavorato in una grotta in Liguria: è la sepoltura di una neonata più antica mai scoperta in Europa

Condividi
SONY DSC
SONY DSC

In una grotta nell’entroterra di Albenga, in provincia di Savona, un gruppo internazionale di ricercatori archeologici ha scoperto la più antica sepoltura di una neonata mai documentata in Europa: una bambina vissuta circa diecimila anni fa e morta quando aveva 40-50 giorni. Tra i coordinatori dello studio – presentato il 14 dicembre su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – compare Stefano Benazzi, professore al dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna nel campus di Ravenna.

«Capire come i nostri antenati trattassero i loro morti ha un enorme significato culturale – spiega Benazzi – e ci consente di indagare sia i loro aspetti comportamentali che quelli ideologici. Questa scoperta permette di indagare un eccezionale rito funerario della prima fase del Mesolitico, un’epoca di cui sono note poche sepolture, e testimonia come tutti i membri della comunità, anche piccole neonate, erano riconosciute come persone a pieno titolo e godevano in apparenza di un trattamento egualitario.

Il Mesolitico è un periodo che ha segnato probabilmente grandi cambiamenti sociali nelle popolazioni umane, legati agli adattamenti dovuti alla fine dell’ultima era glaciale. «La scoperta – continua Benazzi – ci aiuterà a colmare le tante lacune ancora presenti, gettando luce sull’antica struttura sociale e sul comportamento funerario e rituale di questi nostri antenati».

L’analisi del genoma e dell’amelogenina, una proteina presente nelle gemme dentarie, ha rivelato che il neonato – soprannominato Neve – era di sesso femminile e apparteneva a un lignaggio di donne europee noto come aplogruppo U5b2b. Sempre a partire dalle gemme dentarie, lo studio del carbonio e dell’azoto ha evidenziato che la madre di Neve si nutriva seguendo una dieta a base di prodotti derivanti da risorse terrestri (come ad esempio animali cacciati) e non marine (come la pesca o la raccolta di molluschi).

Anche lo studio degli ornamenti che componevano il corredo funerario ha rivelato informazioni rilevanti. Sono state ritrovate più di 60 perline lavorate a partire da conchiglie, che erano probabilmente cucite su un abitino o un fagotto in pelle: elementi che indicano una particolare cura e attenzione rivolta alla sepoltura. Diversi di questi ornamenti, inoltre, mostrano un’usura che testimonia come fossero stati prima indossati per lungo tempo dai membri del gruppo e solo successivamente fossero poi stati impiegati per adornare la veste della neonata.

La sepoltura è venuta inizialmente alla luce nell’estate del 2017, ma è stata poi scavata completamente solo nel luglio dell’anno successivo. Luogo del ritrovamento è Arma Veirana, una cavità lunga una quarantina di metri e dalla curiosa forma a capanna che si trova nel comune ligure di Erli, nella val Neva. Trovandosi lontana dalla costa e non essendo di facile accesso, per lungo tempo la grotta non è stata oggetto di indagini archeologiche programmate. Solo alcuni scavatori clandestini ne avevano compreso l’importanza, mettendo in luce manufatti litici e fauna riferibili a frequentazioni umane del Paleolitico medio (uomo di Neanderthal) e del tardo Paleolitico superiore (Homo sapiens). La svolta arrivò a partire dal 2006, quando Giuseppe Vicino, ex-conservatore del Museo Archeologico del Finale, raccolse alcuni reperti nella terra rimaneggiata derivante dagli scassi dei clandestini, consegnandoli alla Soprintendenza e facendo così conoscere il sito alla comunità scientifica.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports con il titolo “An infant burial from Arma Veirana in northwestern Italy provides insights into funerary practices and femle personhood in early Mesolithic Europe”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Stefano Benazzi, Simona Arrighi, Luca Bondioli, Federico Lugli, Matteo Romandini, Sara Silvestrini del Dipartimento di Beni Culturali, insieme a Sahra Talamo del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”.

Il team di studiosi responsabile del ritrovamento e dell’analisi dei resti è coordinato da ricercatori italiani – Stefano Benazzi (Università di Bologna), Fabio Negrino (Università di Genova) e Marco Peresani (Univerisità di Ferrara) – e comprende anche studiosi della University of Colorado Denver (USA), dell’Università di Montreal (Canada), della Washington University (USA), dell’Università di Tubinga (Germania) e dell’Institute of Human Origins dell’Arizona State University (USA).

Condividi
Contenuti promozionali

LA CLINICA DELLA FINANZA

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Casa CZ, nuova luce in una bifamiliare

Il progetto di ristrutturazione dello studio Locarc a San Mauro Pascoli

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi