venerdì
20 Giugno 2025
Intervista

«Governi lenti negli interventi per il clima, la scienza non penetra in politica»

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Il fisico e divulgatore Carlo Cacciamani è direttore dell’agenzia Italiameteo, istituita nel 2017 ma non ancora operativa: «Se la temperatura salirà più di 1,5 gradi entro il 2100 la Terra continuerà a esistere ma noi non ci saremo più». Confronto tra esperti e amministratori a Ravenna il 21 settembre

La scienza non penetra nella politica e i governi si muovono lenti nelle azioni per contrastare il cambiamento climatico, anche per paura di perdere ricchezze nella transizione energetica ormai non più facoltativa ma necessaria. È la sintesi del pensiero di Carlo Cacciamani, climatologo e divulgatore che dirige Italiameteo, la prima agenzia nazionale civile per la meteorologia e la climatologia. L’esperto sarà tra i relatori de “Il tempo è cambiato”, convegno che si terrà giovedì 21 settembre alle 21 a Ravenna (ne abbiamo parlato a questo link).

Nebbia

Direttore, di cosa si occupa Italiameteo? Quali sono i suoi obiettivi?

«L’agenzia, istituita nel 2017, è sia una struttura metereologica nazionale e sia un polo di coordinamento dell’attività degli enti meteo presenti sul territorio nazionale, come le strutture metereologiche regionali, le Arpae, l’Ispra, la protezione civile e l’Aeronautica militare. Essi forniscono all’agenzia i dati che hanno acquisito valorizzandoli in questo modo anche a livello nazionale».

L’agenzia è operativa?

«Non ancora, si sta lavorando per inserire il personale. Dovrà avere 48 dipendenti oltre ai dirigenti di quattro diverse aree, che vanno ad aggiungersi al direttore e ai consulenti esterni. Inizierà a lavorare a tutti gli effetti quando sarà possibile realizzare una sala operativa che copra i turni dal lunedì alla domenica e almeno di giorno».

Cosa pensa dell’alluvione di maggio? Era un evento prevedibile?

«L’evento è stato assolutamente previsto nel senso che la protezione civile ha diramato allerte meteo rosse che hanno consentito di prendere misure cautelative nei confronti di decine di migliaia di persone. È stato di grandissima intensità, eccezionale per la quantità di pioggia caduta in un mese come quello di maggio. In più, i fiumi sono andati tutti in piena e sono esondati contemporaneamente, un evento anomalo e straordinario che in 40 anni di lavoro su questo territorio non avevo mai visto».

Dobbiamo percepirlo come l’ennesimo segnale del cambiamento climatico?

«Il cambiamento climatico determina con certezza un aumento della frequenza e dell’occorrenza di fenomeni estremi. In questo caso, abbiamo assistito a una sorta di rovescio della medaglia: fino alla fine di aprile abbiamo avuto una conclamata siccità, poi a maggio nel giro di dieci giorni siamo passati da una crisi di mancanza di acqua a una crisi di sovrabbondanza. Non è che situazioni di questo tipo non siano mai capitate, ma quello che lascia stupiti è la velocità con cui avvengono questi fenomeni di segno contrario».

Venendo proprio al tema del cambiamento climatico, qual è la situazione odierna? Dobbiamo aspettarci peggioramenti?

«Il cambiamento climatico è ormai conclamato. È evidente che l’aumento della temperatura sia dovuto all’attività antropogenica, non ci sono altri fenomeni che possono spiegare un aumento così rapido del contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera, che oggi è arrivato a più di 420 parti per milione in 150 anni quando negli ultimi 800mila anni si è aggirato tra 200 e 300».

Carlo CacciamaniQuali sono le conseguenze?

«In Emilia-Romagna, ad esempio, l’aumento della temperatura di quasi 2 gradi negli ultimi cento anni fa sì che il contenuto di umidità presente nell’atmosfera sia molto maggiore di quanto potrebbe essere con una temperatura più bassa. Quanto più è caldo prima, tanto più uno si può aspettare dei fenomeni intensi dopo. Ne abbiamo avuto un esempio anche con il recente meso-ciclone che ha colpito la Libia».

La crisi climatica dà spesso adito a uno scontro generazionale. Come mai si crea questa dinamica secondo lei?

«Innanzitutto, mi preme dire che la società scientifica non è affatto divisa: il 99,99 % degli scienziati dice che c’è questo problema. Questa drastica differenza, però, non è presente nella popolazione, dove c’è sicuramente una maggiore dialettica. Da quello che ho capito c’è una forte preoccupazione, che è maggiore nei giovani perché su di loro ricadranno gli effetti del cambiamento climatico, ma anche le persone anziane adesso cominciano a vederne i primi effetti. Bisogna fare un patto fra generazioni affinché i giovani abbiano un futuro essenzialmente analogo a quello che abbiamo avuto noi».

Quando si arriverà al cosiddetto “punto di non ritorno”?

«Se si rispettassero gli accordi di Parigi del 2015, cioè di non superare, entro la fine del 2100, un grado e mezzo di aumento di temperatura, allora un forte rischio di non ritorno su certe biodiversità potrebbe anche non verificarsi. Se invece superiamo questo dato e andiamo verso tre gradi e mezzo o quattro, come purtroppo sembra essere secondo il trend attuale, gli scenari possono anche essere difficili da quantificare. Se continuiamo così, la Terra continuerà a vivere in ogni caso, ma noi non ci saremo più».

Cosa possono fare quotidianamente i singoli cittadini?

«Ogni cittadino ha un suo ruolo ed è importante dare il buon esempio rispettando l’ecosistema e usando con parsimonia i combustibili fossili. È evidente che la responsabilità del singolo è diversa dalla responsabilità di un amministratore politico che opera a livello nazionale e globale, ma è altresì vero che i singoli sono tanti, per cui tanti che fanno la cosa giusta possono fare molto».

In Italia si sta facendo abbastanza per il clima? 

«Ritengo che si potrebbe fare di più, ma questo non solo in Italia. La lentezza dei governi a reagire riguarda tutti i Paesi. Probabilmente c’è paura di perdere degli assetti di ricchezza a causa di progetti di riconversione energetica, che sono però fondamentali e necessari, e questo è dovuto anche a scarsa penetrazione della scienza nei confronti della politica. Poi c’è il problema delle tempistiche, perché per fare una riconversione energetica ci vuole un tempo di assestamento, ma è chiaro che più tardi si fa e più il problema cresce».

Ravenna è interessata dalla presenza di industrie chimiche e petrolifere. Qual è il suo parere sulle estrazioni offshore? Bisognerebbe fermarle?

«Non sono un esperto sul tema energetico, ma di certo io sono per un utilizzo più deciso delle fonti rinnovabili. A Ravenna, poi, c’è anche il fenomeno di subsidenza, per cui più si emunge e più il problema può crescere. Probabilmente bisognerebbe rallentare un po’, ma soprattutto è necessario che le persone competenti in materia energetica si siedano a un tavolo e si occupino della transizione e di come gestirla. Certo, non si può fare dall’oggi al domani, ma che si debba fare è fuori di dubbio, e anche presto».

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