Il Don Giovanni impolverato del Laboratorio Teatrale Isola di Confine

Don Giovanni In SoffittaIl testo c’è: il Dom Juan di Molière nella traduzione di Cesare Garboli. Gli attori pure: Valerio Apice è un convincente Sganarello-Pulcinella, balzellante e titubante al punto giusto. La musica è piacevole: efficace l’arrangiamento dei Trouvez Margot sui brani originali di Mozart. E dunque, perché questo Don Giovanni in soffitta non funziona?
Per usare la metafora di Raffaele Viviani, citata dal regista Apice durante la discussione aperta che è seguita al debutto, all’impasto dei vari componenti dello spettacolo è mancato forse il calore di una forno-riflessione attorno alla figura di Don Giovanni; un pensiero che rendesse il tutto commestibile, che orientasse la scena sul perno di un’idea di base.
Non si capisce bene chi sia questo Don Giovanni messo in scena dal Laboratorio Teatrale Isola di Confine. I quattro secoli che ci distanziano dalle pagine di Molière esigono un taglio stilistico – nel caso, ovviamente, si voglia aggiungere qualcosa di nuovo, come è sembrato emergere dallo spettacolo stesso. Questa, infatti, non è una rappresentazione pedissequa del classico, ma vuole essere una sua riscrittura scenica.

Oggi la figura del libertino è stata raggiunta dal mondo. Non scandalizza, non smuove disgusti, fatica ad accendere negli animi riprovazioni moralistiche. Sdoganata la sfida al cielo, Don Giovanni rischia di appiattirsi sul ruolo dell’impenitente seduttore.
Questo pericolo è stato probabilmente avvertito nella messa in scena, che infatti taglia tutte le parti testuali dedicate al tema della seduzione. Privato dell’oggetto del desiderio, Don Giovanni, interpretato da Davide Tassi, trova nel solo Sganarello (narratore principale dell’azione) il motore della dialettica drammaturgica, che si basa essenzialmente sugli scambi tra servo e padrone. Colpisce, inoltre, la limitata presenza di Elvira sulla scena.

Probabilmente è questa eccessiva polarizzazione della scrittura che limita la profondità della figura di Don Giovanni e impedisce allo spettacolo di esprimersi fino in fondo. La psicologia di questo personaggio rimane inaccessibile, così come il suo significato per gli spettatori contemporanei. Perché dovrebbe scandalizzarci? Di che ci parla davvero?

In alcuni punti lo spettacolo sembra prendere il binario di una riflessione sul binomio amore-morte, ma senza impegnarsi a fondo, rimanendo fedele (forse troppo fedele) alla traduzione di Cesare Garboli. Non è un caso che le scene più convincenti siano proprio quelle che si permettono una deviazione dal seminato. Penso alla metamorfosi che attraversa Sganarello quando indossa la giacca del padrone Don Giovanni: un parodistico omaggio al tema dell’abito e all’ipocrisia, carissimi a Molière. Ma per il resto del tempo, questo Don Giovanni è parso un po’ impolverato, indeciso, amorfo, sospeso fra maschera e persona, incapace di fare una scelta.

E a proposito di scelta, forse la diagnosi di Kierkegaard rimane ancora quella più convincente per trattare la figura di Don Giovanni in modo contemporaneo, per suggerire qualche stimolo poetico e scrollare un po’ di polvere. Secondo il filosofo danese, dietro al libertino, dietro al cinismo con cui tratta le sue prede, si cela un abisso di noia, nichilismo e angoscia. Oltre la maschera del seduttore, sotto le spoglie di un’erotica voracità mondana, c’è l’umana paura di essere niente.

 

Don Giovanni in soffitta
Riscrittura scenica da Molière e Cesare Garboli
regia Valerio Apice
drammaturgia Giulia Castellani
con Valerio Apice, Giulia Castellani, Davide Tassi
chitarra e basso Gian Domenico Ceccarini
batteria, percussioni e synth Francesco Brozzetti
disegno luci Lanfranco Di Mario
produzione Laboratorio Teatrale Isola di Confine

 

Visto a Vulkano il 24 ottobre 2017

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