Su uno dei più grandi gruppi soul della storia

Oxbow

Eugene Robinson degli Oxbow

Whitesplaining jazz è un’espressione che ho letto in merito a un film che si chiama La La Land ed è indirettamente rivolta al regista del film, Damien Chazelle. In pratica la sua colpa è quella di propagandare un’idea falsa di jazz con i suoi film, affidandoli a protagonisti bianchi che interpretano personaggi bianchi con un’idea falsa di jazz. Whitesplaining è un’espressione odiosa che deriva da un’altra espressione odiosa, mansplaining. Mansplaining sarebbe quell’accesso di paternalismo e di “senti qua che t’insegno a stare al mondo” di un uomo mentre sta discutendo con una donna. E naturalmente è un problema reale che ha generato una classe dominante sostanzialmente maschia e maschilista in cui la femmina è tenuta ai margini. Ovviamente è una cosa diciamo nuanced, ci sono dei margini di errore nell’individuare il mansplaining (nella maggior parte dei casi non ha senso dividere tra mansplaining e stupidità) e la buona idea iniziale ha generato tutta un’intera sottocultura per cui l’esistenza del paternalismo uomo-donna ha creato un’ideologia per cui su certi argomenti il maschio deve stare muto. Whitesplaining nasce da questa accezione e significa che i bianchi non hanno alcun diritto di raccontarci la musica nera.

Io con la black music ho qualche problema, non con la musica in sé ma con la visione critica della stessa; ad esempio, perchè esce un disco di black music osservante anni ’70 fatta da musicisti neri virtuosissimi (che ne so, Kamasi Washington) si parla di genio e se la stessa cosa viene fatta da dei bianchi virtuosi (tipo che so, i Mars Volta) si tende a considerarli una manica di scoppiati? Perché si considera la musica secondo due standard diversi? Volendo ho anche delle teorie, ma in realtà le righe che avete letto fino ad ora non fanno davvero parte del pezzo che sto scrivendo. Mi è solo venuto in mente perchè il 2 maggio gli Oxbow suonano a Ravenna, e qualche volta ho pensato che gli Oxbow fossero uno dei più grandi gruppi soul della storia, una delle più autentiche espressioni del blues contemporaneo. Però ho smesso di dirlo in pubblico per non chiamarmi contro l’ira funesta di quelli che sanno tutto di soul e blues e io sono bianco e ascolto metal. Poco importa, è solo che credo sia un bel modo di pensare a loro.

Gli Oxbow comunque sono un gruppo con trent’anni di attività ai massimi livelli: il loro primo disco si chiama Fuckfest (inglese per “venerdì sera”), è uscito nel 1989 e ancora oggi fa cacare sotto dalla paura. Loro però non fanno black music: volendo descriverli suppongo dovrei parlare di “indierock”, magari la frangia più pesante dello stesso (Melvins, AmRep, Iceburn e robe così). E hanno un cantante nero, che ha un’impostazione da cantante soul, un po’ dalle parti di Otis Redding, però non ha proprio la delicatezza di Otis. E così supplisce con urla sussurri e lamenti e beh, non c’è un singolo minuto di musica da lui registrata che non valga la pena. Lui si chiama Eugene Robinson, è una specie di uomo del rinascimento: scrittore, lottatore amatoriale, giornalista occasionale. Sul palco si presenta in giacca e cravatta, poi inizia a strapparsi i vestiti di dosso e finisce il concerto in mutande.

L’evoluzione dell’indierock ha generato due tronconi ideologici, uno che ha iniziato a diventare “pop music” e l’altro che agisce indisturbato nei canali dedicati al metal e al noise. Di mio sono sempre stato più appassionato del secondo troncone, della gente brutta con le chitarre alte e la barba e sotto il palco la gente si mena. Ultimamente sto avendo qualche ripensamento perchè sopra al palco la gente sta compiendo 45/50 anni e sotto il palco siamo sui 37 di media, e che cazzo vuoi star lì a menarti, giusto? E non c’è mai nessuno che voglia fare roba più estrema e insidiosa di quella che ha ascoltato nei dischi degli altri. Così tutte le volte che mi arriva sottomano un disco di postcore apocalittico mogwaiano lo metto su e nel giro di dieci minuti l’ho già cambiato in favore di qualche smanceria coi campanellini twee-pop. Voglio dire, almeno non fanno finta. A volte mi chiedo se non sia colpa mia, se magari non sono diventato come quelli che a un certo punto han deciso che loro di metal peso non ne vogliono più sentir parlare. Così gli Oxbow sono diventati la mia ancora di salvezza, come il totem di Inception, presente? Rimetto su un disco della mia personale top 3 degli Oxbow (Serenade in Red, An Evil Heat, The Narcotic Story) e aspetto che arrivino le scariche elettriche. Non sono mai deluso. Nel tempo è diventata una sicurezza: qualunque progetto a cui Eugene Robinson abbia prestato la voce (compresa roba improbabile tipo i Bunuel, l’ultimo disco degli One Dimensional Man e perfino uno spinoff secondario dei Black Flag, tali Black Face) vale la pena di essere ascoltato. Ma alla fine la sua espressione più pura e incontaminata sono ancora gli Oxbow. Sta per uscire il loro nuovo disco, mentre scrivo c’è solo un estratto su Bandcamp e sembra roba insolitamente pop per i loro standard. Magari hanno cambiato sponda anche loro, ma ne dubito.

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