Le parole e le cose: Indoor/outdoor

L’ossimoro del vivere contemporaneo tra interno ed esterno

54 56 Design Lifestyle:Layout 1

Gardenwall, di Danny Venlet, Gordon Tait 2009, (Viteo)

Se è vero che è l’ossimoro la figura retorica più adeguata a definire la nostra contemporaneità, è certo che l’abitare, inteso come habitus da mostrare e da vivere con il suo corollario di oggetti e strumenti,  ne è diventato il riflesso più concreto e visibile. L’abitare, pur restando ancora stanziale, è diventato nomadico e fluido: la casa-rifugio si è aperta all’esterno e l’esterno è entrato sempre più nella casa, con la luce, i colori, il design, i pattern sui muri, le citazioni, le scelte, lo sguardo e il desiderio. Il fuori si è rivestito di comfort, di tappeti, di atmosfere living: mai come adesso terrazzi e giardini sono diventati lo specchio up to date di immancabili narcisismi, di protagonismi, esibizioni, contest , luoghi da vivere e da esibire in ogni stagione. La presenza vagamente triste e austera della Sanseveria nell’ingresso condominiale si è trasformata nei tableaux vivants  da appendere alle pareti ispirati al botanico Patrik Blank, in frammenti di epifite tropicali lussurreggianti pendenti dal soffitto del salotto. Complice un’abitudine allo sguardo che è certamente il risultato di una necessità reale, un bisogno di verde e natura concreta che, in risposta alle seduzioni del virtuale, ci spinge a scegliere uno stile abitativo “globale”, teso a vivere tutti gli spazi proiettandosi anche al di fuori delle mura domestiche, attraverso vetrate, aree verdi, terrazzi e balconi cooptati alla vita quotidiana, alla socialità, al divertimento e al relax.  Le soluzioni abitative più richieste adesso sono spazi ridotti, bi-trilocali, in cui il terrazzo può diventare un locale in più anche grazie alle nuove tecnologie di riscaldamento per esterni e a coperture e pavimenti sempre più funzionali. Tutto è diventato più flessibile e il design ha risposto a questa flessibilità con soluzioni efficaci nei materiali, nella ricerca, nell’innovazione. Possono essere bio-resine e polimeri o legno, oppure  prospettive diverse su oggetti già conosciuti, citazioni, interpretazioni. Tutto si mescola, si miscela, cambia funzione, si intreccia.  Giardini, terrazzi diventano sempre di più lo specchio di chi li abita d’inverno e d’estate ed entrano negli spazi interni, come traccia e languore: c’è chi insegue ossessivamente la biodiversità e recupero di specie antiche, dalle rose alle perenni alle aromatiche e agli alberi da frutto dimenticati, chi invece preferisce uno stile più rigoroso e formale, quasi zen, astratto e adora le graminacee, le erbe nomadiche cresciute ai margini delle strade. Non è necessario abitare nel Bosco Verticale di Boeri o seguire il diktat di Gilles Clement o quello di Piet Oudolf, basta l’idea, il denominatore comune:  la continuità e la sovrapposizione tra l’esterno e l’interno.

 Little field of flowers, tappeto in feltro/Johnny Be Good di Ingo Maurer,  lampadina circondata da piccole farfalle/  Sudara, tessuto lino, collezione Madhuri/ Poltrona Pavo Real di Patricia Urquiola, Driade

È la stessa armonia fluida dell’Hortus Conclusus medievale, dove il luogo di meditazione si univa allo spazio della funzionalità di colture di frutta, ortaggi ed erbe aromatiche ed officinali, uno spazio dove la natura si trovava educata con fatica e grazia, un luogo metafora dell’equilibrio del cosmo.  Come nei cottage garden inglesi dove il nasturzio e le insalate si univano a salvie, nigelle e rose botaniche. O come negli orti dei casolari della Romagna di qualche decennio fa dove zinnie e cosmos svettavano accanto ai pomodori e alle melanzane: alla necessità quotidiana di cibo si univa quella della bellezza. Adesso gli orti conclusi sono tornati: su terrazzi, piccoli balconi, giardini, alle volte condominiali, tetti, e anche dentro aree urbane dimenticate, fazzoletti di terra marginale colonizzata dal nostro desiderio di terra sfuggito alla compulsione di whatsapp. Alle volte questo accade in modo miracoloso, come è accaduto alla High line di New York, la vecchia linea sopraelevata della metropolitana trasformata in un grande giardino grazie all’azione partecipativa promossa da un gruppo di cittadini. E quest’orto conchiuso entra anche in casa, nelle grandi vetrate del living, nelle tappezzerie di Tricia Gould, nei mobili in rattan di Vittorio Bonacina, nei moduli divisori Gardenwall di Gordon Tait prodotti da Viteo, nelle Pavo outdoor di Patricia Urquiola per Driade, nelle Bubble Club di Philippe Starck prodotte da Kartell, nella classica Tolomeo di Artemide diventata XXL per l’esterno o alla poetica Johnny Be Good di Ingo Maurer, una semplice lampadina circondata da piccole farfalle. Lo stile varia dal minimal al raw, ma si spinge sino al provenzale con un occhio sempre attento al recupero, a ciò che si può personalizzare: una relazione che diventa il riflesso del desiderio, della nostra immagine dentro il paesaggio e del nostro essere dentro il mondo, il più grande degli Hortus Conclusus.

Superelastica Chair/  Bubble Club, Philippe Stark (Kartell) / Contemporary-Sofa Garden Steel, Michele De Lucchi

AGENZIA MARIS BILLB CP 01 01 – 31 12 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
AGENZIA CASA DEI SOGNI BILLB 01 01 – 31 12 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24