Ravenna (Italia) (latitudine 44.4157307 longitudine 12.1965711)

Storie e testimonianze di celebri viaggiatori alla scoperta della città fra Ottocento e Novecento

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Emil Carl Brack,Organizzazione del Grand Tour, olio su tela, fine XIX Secolo

«Dove ti piacerebbe andare quest’anno, cara, per il grand tour?». Questo sembra dire il giovane aristocratico alla fidanzata felice, in questo dipinto dell’artista tedesco Emil Carl Brack, Organizzazione del Grand Tour, della fine del XIX secolo. Quasi certamente, però, la meta non sarebbe stata Ravenna. Il Grand Tour, almeno quello che dal Seicento arriva quasi alla fine dell’Ottocento, non contemplava Ravenna tra le mete, se non di sfuggita, tra una città e l’altra, per i fan di Dante, prima, e di Lord Byron, dopo. Quei pochi che vi soggiornavano, al massimo per una notte, forse si recavano a dare una fuggevole occhiata alle quadrerie di Palazzo Rasponi dalle Teste e a qualche altro pezzo di un certo pregio presente in città. È soltanto con la riscoperta di quello che Camillo Boito chiamava il «bisantino», grazie a Corrado Ricci e alle sue, non sempre rispettose, reductiones ad integrum (leggi restauri “filologici”) di San Vitale e Sant’Apollinare in Classe, che Ravenna diventa meta di turismo culturale. Allora uno stuolo di nomi famosi si mette in viaggio, da Henry James a Blok alla Yourcenair… al signor Dido, alias Alberto Savinio, alias Andrea De Chirico; il quale, però, se ne va da Ravenna senza aver visitato Sant’Apollinare! – «sant’Apollinaire», secondo il meraviglioso lapsus della moglie. Fra tutti i celebri viaggiatori, come vedremo, forse Savinio è stato quello che ha colto veramente l’anima della città, il suo genius loci.
Una mostra, recentemente inaugurata al Museo d’Arte della Città, intitolata il Bel Paese, e curata da Claudio Spadoni, mostra l’Italia che fu e che non è più, travolta dalla speculazione e dal “progresso”. Due quadri riguardano la nostra città: uno, del fiorentino Luigi Bertelli, raffigura La pineta di Ravenna (1890) (ma anche Tramonto, di due anni prima, potrebbe essere stato ispirato dalle zone palustri intorno alla città); l’altro del grande Telemaco Signorini, dal titolo Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna, del 1875, mostra una via Maggiore senza pini, ma illuminata di luce (e di notte da lampioni a gas) e piena di gente a piedi. Il Bel Paese era dunque tale soltanto prima della pur ritardataria industrializzazione? E che ne avrebbero detto i Futuristi, che nella mostra chiudono appunto le ultime sale?
La serie di viaggiatori famosi che parte da questo numero della rivista, è già comparsa, a puntate, in una rubrica dal titolo “Grand Tour”, sulle pagine di “Ravenna & Ravenna”, dal n° 436 del 27 gennaio 2000 al n° 487 del 22 febbraio 2001. D’accordo col Direttore, si è pensato che forse era il caso di ripresentarla a tutti coloro che all’epoca non ebbero l’occasione di conoscere un po’ più a fondo lo sguardo “altro” sulla nostra città. Ora che è svanito il sogno di Ravenna Capitale Europea della Cultura, ridimensionato a quello di Capitale Italiana della Cultura, che motivo c’è di venire a visitare, come si diceva una volta, le “bellezze della nostra città? Oltre a Dante e al suo bistrattato sepolcro del nostro unico, del resto, architetto locale di una certa fama, il conte Camillo Morigia, oltre alle memorie di Byron – che presto avranno una sede in Palazzo Guiccioli, oltre all’importantissimo patrimonio di codici e di libri della Biblioteca Classense, oltre agli otto-monumenti-otto Patrimonio dell’Unesco, che cosa dovrebbe venire a vedere uno straniero? Cosa c’è di nuovo che Ravenna abbia prodotto dopo il Paradiso del Sommo Poeta? Nulla di unico, assoluto, imprescindibile, credo, come un Guggenheim Bilbao di Frank Gehry, ad esempio, o una qualunque delle mirabolanti architetture contemporanee uscite dalla mano (o dal computer) di una delle numerose archistar© che popolano il nostro pianeta (ma forse qualcuno, che ce l’ha sempre con gli architetti, direbbe: per fortuna…). La Darsena? Forse, ma solo se il turista è un viaggiatore colto, che conosce Michelangelo Antonioni e che sa che nell’inverno 1963-1964, in questi luoghi dell’industria che fu, fu girato un film premiato col Leone d’oro alla XXVa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (battendo un altro capolavoro come Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini): Il deserto rosso (con l’articolo). Se però questo viaggiatore venisse in città a luglio, potrebbe certamente godere degli spettacoli di Ravenna Festival; se vi giungesse durante la stagione invernale-primaverile, potrebbe, altrettanto certamente, approfittare della bella stagione teatrale; se vi arrivasse in uno qualunque dei giorni dell’anno, potrebbe partecipare ad una delle moltissime iniziative che la nostra città offre quasi quotidianamente (conferenze, incontri, seminari, presentazione di libri ecc.). Ma questo sarebbe un caso non voluto, non programmato. Per vedere che cosa di contemporaneo uno straniero dovrebbe spendere i suoi soldi e volare a Ravenna? A questa domanda i testi di questa serie non possono rispondere, dal momento che i viaggiatori presi in considerazione vanno tutti dalla fine dell’Ottocento a circa gli anni Cinquanta del secolo scorso. Ma forse possono farci capire qualcosa di quello che la nostra città ha mostrato loro, di là dai celebri monumenti, senza che il viaggiatore se lo aspettasse, senza che fosse preventivato prima del viaggio. Se una Ravenna diversa, sconosciuta, inaspettata ci apparirà, forse abbiamo qualche speranza che anche al viaggiatore dei nostri tempi, questo “miracolo” possa accadere.
Buon viaggio.

Dimenticavo…
Avete notato che la siepe di “lauro dantesco” piantumata lungo la testata della Darsena di Città, nonostante gli anni, rifiuta pervicacemente di crescere?
Che sia un segno?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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