C’è un organo che suona e il verde che non ti aspetti

BISSI CARLONEjpg12Chiara BissiGiornalista professionista dal 2005, da anni mi occupo di cronaca cittadina su quotidiani e settimanali locali, con una parentesi sul web ovvero su una piattaforma d’informazione nazionale, più di dieci anni fa, in epoca pionieristica. Ha maturato in seguito una breve esperienza in un ufficio stampa di un ente pubblico. Ha frequentato pure la Scuola Holden di Torino.
Ha sempre cercato di far parlare i fatti, con il riscontro delle fonti, senza tesi da dimostrare, casomai insinuando dubbi, ponendo quesiti. Ha contribuito alla nascita di Casa Premium, già Trovacasa; dal 2005 ha seguito e collaborato all’evoluzione maturata insieme ai contenuti, sempre più ricchi e originali, grazie alle voci che nel frattempo si sono aggiunte.
La sua formazione universitaria è quella dello storico, ma nella scrittura è rimasta sempre nell’alveo della cronaca giornalistica anche quando di fronte a lei c’era il passato e non il contingente, il quotidiano. Così da tempo su queste pagine racconta il mutare delle trame urbane e gli stili dell’abitare.

1 – Né Papi né Re

Dopo la lunga stagione industriale e la bolla speculativa degli anni Novanta, si apre per Ravenna l’unica sfida possibile: imparare ad essere anche una città di mare. Difendere il porto canale e con esso il patrimonio di attività e persone che ci lavorano, riqualificare la darsena di città, valorizzare gli ambienti naturali, inserendoli nell’ampia offerta turistica.  La storia scritta dai vincitori, da sempre, spazza via dagli spazi urbani simboli ed effigi del potere precedente. Allora archiviati le mascelle volitive sormontate da elmetto, sovrani sabaudi, papa re, nell’Italia repubblicana del dopoguerra in città c’è spazio solo per l’Eroe dei due mondi. Nel 1963 sul canale Candiano in prossimità della chiesa del cimitero, fu inaugurato il monumento al marinaio, opera dello scultore ravennate Giannantonio Bucci, autore molti anni più tardi della copia della statua di Luigi Carlo Farini, distrutta nel corso della Seconda guerra mondiale e ricollocata davanti alla stazione negli anni Novanta. Su un’ampia base rivestita di pietra con scalinata laterale si erge rivolta al Candiano una figura maschile massiccia, con un berretto in tela e una cerata, tradizionali indumenti degli operatori della marina mercantile. Nessuna protervia da dominatore, impeto da eroe, espressione muscolare cara ai regimi totalitari, ma solo l’omaggio alla concretezza e alla forza necessarie per lavorare in mare e perché no forse a due tratti propri dell’indole cittadina. L’insolito monumento giace dimenticato e in condizioni deplorevoli, diventato suo malgrado incolpevole simbolo del distacco fra la città e l’acqua. Allora liberiamo il marinaio dall’oblio: o la città ritrova la propria darsena e crea nuovi simboli e spazi condivisi o portiamolo verso l’imboccatura del canale, che almeno possa dare un’occhiata al mare…

2 – A nord del Lamone

I nove lidi ravennati solo in parte si uniformano al modello della Riviera romagnola, più restii alla cementificazione in passato, spesso pronti a proporre stili e vocazioni fai da te. Informali, protetti dalle pinete e dalle valli, hanno spiagge familiari, giovanili, sportive, naturiste, salutiste, gourmet, ballerine, canterine, “camperiste”, in tante zone disposte ad accogliere anche Fido. Tutti oggi vedono scemare la pressione della movida che solo qualche anno fa invadeva la costa per tre mesi. Sì è vero, sono minacciati da erosione, subsidenza e ingressioni marine, alghe e zanzare. Ma dove è possibile trovare spazio, tempo e immaginazione sufficienti per creare e realizzare un sogno controvento, controluce, contro la follia dell’uomo che riempie il mare di rifiuti, puntualmente restituiti al mittente.  Allora solo qui, passeggiando, si può incontrare anche la spiaggia “ecologica” e le ultime tendenze  in tema di sostenibilità, riciclo e riuso temporaneo…

3 – Toccata e fuga a San Vitale

Trovare un’immagine musicale inedita di Ravenna, un luogo unico, al di là delle più celebrate e note espressioni: una missione che va oltre gli scatti dell’elegante teatro Alighieri, delle ampie platee del pala de André raccolte per Ravenna festival, oltre il pubblico delle iniziative estive di piazza e oltre a quello alternativo della musica indipendente esibita sulla spiaggia o quello della movida sempre più opaca di Marina di Ravenna. Se le esibizioni dei grandi personaggi del jazz mondiale e gli allestimenti d’opera alla Rocca Brancaleone giacciono nella memoria di pochi, rimane prezioso e segreto l’appuntamento che da oltre mezzo secolo risuona dentro la basilica di San Vitale. Solo allora appare, come una sorta di “Strano ma vero” o un “Lo sapevate che” ravennate, il festival internazionale d’organo, la prima e più antica manifestazione organistica d’Italia, nonché una delle più longeve d’Europa. Un unicum ravennate, giunto alla 54° edizione, curato e protetto dal Maestro Elena Sartori, presidente dell’associazione Polifonica Adone Zecchi, un soggetto in evoluzione che ha preso il nome di associazione degli Amici dell’organo di San Vitale. Una realtà colta, dal budget striminzito, nota nel mondo, che seguendo l’indole cittadina poco si lagna e molto si industria. Garantiscono il tutto esaurito delle serate di luglio e agosto il pubblico dei fedelissimi e una nutrita presenza di turisti stranieri, ma ancor di più la sapienza musicale riposta nel tenere in vita e dare sostanza a un patrimonio inestimabile, custodito nel più prezioso degli scrigni, mettendo cuore, energie e anche braccia.

Foto 1: Canale Candiano. Monumento al marinaio.Foto Paolo Bolzani, 2015/Foto 2 Spiaggia a nord della foce del Lamone. Manufatto natante anonimo. Foto Chiara Bissi/Foto 3 Basilica di San Vitale. Il Maestro Elena Sartori revisiona l’organo Mascioni prima del concerto. Foto di Paolo Bolzani

4 – Cortile ravegnano

A pochi passi dalle mura, dal passeggio del centro cittadino, conficcato nel tessuto urbano si apre immemore, incurante, il cortile ravegnano. La città attorno si arrovella, muta sembianze, chiude con il passato ma ritrova le radici, cerca approdi internazionali ma difende la tradizione. Spinte e forze opposte la scuotono senza spostarla. Una centralità ben definita in ambito culturale oltre 20 anni fa con la nascita di Ravenna Festival, Ravenna Teatro, Ravenna Jazz prima, e RavennAntica poi. Una sorta di prefisso identitario che nel tempo però si è fatto vezzo battezzando persino l’agenzia di riscossione dei tributi e la holding locale, nonché imprese artigiane specializzate, aziende di comunicazione e tanto altro. Un memo applicato ormai su ogni attività umana condivisa che si affianca a una miriade di iniziative, progetti, programmi pubblici e privati che ondivaghi vogliono Ravenna più accogliente, più sicura, più silenziosa, più vivace, e  ancora: smart, innovativa, visionaria, sostenibile, con più parcheggi, con meno auto, con meno ztl, con più aree pedonali, più turistica… però no, un momento, non si vive solo di turismo. Di lato rifugge i compromessi del tempo, i diktat delle mode e le opportunità della speculazione edilizia e si presenta dove non ti aspetti un cortile ravegnano, ordinato, funzionale nella sequenza d’altri tempi: alberi da frutto, orto, erbe aromatiche, filare di vite e fiori. Vegliano tre piccole statue dipinte, al centro un cigno, ai lati due Biancaneve. La simbologia è a interpretazione libera.

5 – Il casolare

A pochi passi dalla città si apre a perdita d’occhio la campagna. Un tempo rifiutata, negata nei ritmi sempre uguali, nelle fatiche immani, nelle consuetudini arcaiche e nelle durezze. Poi la riscoperta del ciclo della natura, della produzione alimentare rispettosa della salute, della dimensione lenta del passare delle stagioni, la scelte di vita di giovani pronti all’impresa: dare vita a un’economia a chilometro zero. Venire dalla campagna o andare in campagna è stato l’andirivieni più diffuso per tante generazioni, ieri e oggi. Lambiscono le periferie case rurali recuperate, abbandonate, diroccate, imbellettate e trasfigurate in tipologie estranee alla stretta tradizione locale, tutte rimangono lì, come sentinelle, a ricordare una civiltà contadina che non ha nessuna intenzione di scomparire.

6 – La fontana che visse un giorno

Fra le storie ravegnane giova ricordare il destino della fontana di piazza del Popolo, realizzata per “vivere” un giorno. Nel 1931 la città infatti festeggiò l’inaugurazione dell’acquedotto in via Fusconi, alimentato dai pozzi di Torre Pedrera. Il primo agosto 1931, IX dell’era fascista, la cerimonia presieduta da Mussolini, fu allietata da una fontana, realizzata in tutta fretta. L’opera era composta di un’ampia vasca in gesso, con tartarughe dotate di getti d’acqua e un alto vassoio con zampillo. Una cronaca dell’epoca riferisce alcuni particolari sulla cerimonia: «L’opera è ultimata e ha avuto l’altissimo onore di essere inaugurata dal Duce, nella memorabile giornata del primo agosto, davanti a una folla di 40 mila persone vibranti di entusiasmo e di amore». Finita la festa, la fontana fu in tutta fretta smontata, lasciando la piazza senza illusioni. Per i ravennati, all’asciutto, rimase la piccola fontanella vicina al voltone, memoria di un antico pozzo di età veneziana.

Foto 4: Spazio verde privato. Ravenna. Foto Paolo Bolzani, 2015/Foto 5  Casolare. Campagna ravennate. Foto Paolo Bolzani, 2015/Foto 6 Fontana monumentale in Piazza del Popolo.Foto d’epoca, autore sconosciuto, 1931

7 – Passo felpato

In cerca di scorci e punti di vista insoliti cala la notte ravennate e si accendono altri occhi, più curiosi e più astuti. La città monumentale si fa teatro per avventure silenziose, mentre il caos intorno si spegne e  diventa regno felpato per il felino solingo o forse  per il Gatto Mammone dei bambini d’altri tempi…

8 – Due tabù

Fontane non ce ne sono mai state. L’acqua poi è stato a lungo oggetto di desiderio, in seguito costante minaccia e infine nemico numero uno della salute pubblica. Le inondazioni, gli insabbiamenti, la penuria endemica di fonti potabili ne hanno fatto un segno urbano da cancellare: allora via i ponti romani, via i fiumi, e infine i canali, uno a uno tombati. In tale regime poco o nulla poteva significare un manufatto ornamentale e monumentale, come la fontana, onnipresente nella composizione urbana della città italiana ed europea. Non ci sono fontane storiche. Nulla di antico. Le tracce, poche e non esemplari conducono ai Giardini Pubblici, realizzati su disegno di Giulio Ulisse Arata negli anni Trenta. Più ricca, ma meno visibile al pubblico la fontana del giardino interno del Palazzo della Provincia, disegnata negli anni Venti, dopo la distruzione di Palazzo Rasponi. Bisognerà quindi aspettare il Dopoguerra per superare quello che appare un tabù. Ma il carattere ricorrente per le fontane sarà la sobrietà, il ruolo defilato, la posizione quasi mimetica, che non concede nemmeno un nome alle opere. Eccezion fatta per la bella opera di Mario Natali del 1974, in via di Roma a pochi passi dal Mar. Con il nuovo millennio finalmente un evento epocale, il triste panorama descritto viene disatteso nel 2004 dalla creazione del mosaicista Marco Bravura. Ardea purpurea infrange ogni pregiudizio nei confronti della decorazione e cosa non scontata certifica la potenzialità del mosaico contemporaneo di farsi linguaggio autonomo. Primeggia nello spiazzo al termine di via Circonvallazione al Molino, dando dignità a piazza della Resistenza. Una vera scultura in tessere musive, slanciata, dalla doppia forma elicoidale, raccoglie, simboli, pittografie di ascendenza mediterranea e orientale. Offre un movimento che rimanda alle ali della fenice e alla forma del Dna. Gemella di un’opera nata per Beirut nel 1999 in occasione di un Viaggio dell’Amicizia di Ravenna Festival.

Foto 7:  Notturno ravennate. Foto Paolo Bolzani, 2015/Foto 8  Ardea Purpurea.  Foto Paolo Bolzani, 2015

Carolina Carlone Laureata in storia contemporanea, docente della scuola primaria ha ideato con Monica Francia il progetto educativo didattico CorpoGiochi® a scuola. Un metodo originale di educazione al movimento proposto da undici anni ai bambini e ragazzi dall’ultimo anno della scuola dell’Infanzia sino alle scuole medie di secondo grado, e agli insegnanti coinvolti, attraverso percorsi didattici e laboratori.

BISSI CARLONEjpg10

 

Il metodo riporta al centro del tempo scolastico di formazione il senso profondo dell’esperienza corporea creativa, accompagnando i bambini e i ragazzi al confronto autentico con la scoperta e la gestione delle proprie emozioni. Ha condotto inoltre vari progetti relativi all’introduzione della multimedialità nella scuola di base vincendo nel 1999 un premio nazionale. All’intensa attività didattica Carolina Carlone affianca da anni una fortunata produzione poetica, con la pubblicazione di cinque raccolte che hanno ottenuto l’attenzione della critica nazionale e riconoscimenti in premi letterari.

9 – Carolina Carlone
Il verde che non ti aspetti (I)

Ravenna la percorro con lo sguardo, a volo d’uccello: dalla terrazza di casa, posso abbracciarne una buona parte con una visione quasi da drone, sospesa a mezz’aria.  Misuro lo spessore della nebbia con diottrie tutte particolari: l’acquedotto, la cupola del Duomo, il campanile di San Vitale, le torri Hamon… e ancora più lontano, la ruota di Mirabilandia, e l’azzurra visione di San Marino, di pascoliana memoria. In base a ciò che si dissolve, posso intuire la densità della nebbia che incontrerò per strada.
I suoni mi arrivano filtrati e distorti dall’altezza: la campana di Dante, al tramonto, è molto più solida del traffico sotto casa. Può capitare che corra nell’aria anche la voce di un muezzin che canta la fine del ramadan. La sua lode, allora, si avviluppa al pulsare quotidiano dei campanili. Come aquiloni tenuti in volo da un medesimo filo.
In estate, verso sera, quando, più in alto di loro, seguo il volo dei rondoni, gli stridii annullano tutti gli altri rumori della città.

Foto 9 La città industriale. Foto Carolina Carlone.

10 – Carolina Carlone
Il verde che non ti aspetti (II)

Di notte, posso vedere bene il Grande Carro, Orione, Sirio, Giove, Venere e, poco più basse, le luci accese nelle case degli amici.
La cosa che sempre mi stupisce, però, è il vasto mare verde che lambisce le case, dai viali e dalle strade, dai parchi, dai giardini privati… tutto a Ravenna mi sembra affiorare attraverso le sinuose propaggini di questo flusso vegetale. Gli antichi campanili, come le moderne ciminiere industriali, forano le chiome dopo aver vinto una corsa verso la luce. I tetti delle case affogano mentre le strade, nel fondo, ondeggiano nel loro bordo di foglie… e devo dire che tutto questo, un po’, lo sguardo me lo cambia.

 Foto 9 La città industriale.Foto Carolina Carlone/Foto 10 Via Renato Serra.  Foto Carolina Carlone.

AGENZIA MARIS BILLB CP 01 01 – 31 12 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
AGENZIA CASA DEI SOGNI BILLB 01 01 – 31 12 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24