«Nell’Anticrimine dei carabinieri nel 1987 c’era un brigadiere detto “Ciccio”»

Udienza 10 / In aula il generale Giorgio Tesser, comandante della sezione di Bologna che seguì il caso del rapimento e uccisione di un 21enne ad Alfonsine. Le domande del pm su un nota investigativa con alcuni punti oscuri

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Al centro, con la mascherina nera, Angelo Del Dotto. Alla sua destra l’avvocato Luca Silenzi

«Nella sezione anticrimine dei carabinieri di Bologna nel 1987 c’era un brigadiere che aveva nome di battaglia “Ciccio”, era il brigadiere Di Santo, forse di nome Vittorio, che avrà avuto 23-24 anni». Le parole del maggiore Giorgio Tesser, comandante di quel reparto 34 anni fa, aggiungono un nuovo profilo nella ricerca del fantomatico agente sotto copertura che comparve sulle indagini dell’omicidio di Pier Paolo Minguzzi ad Alfonsine. L’ufficiale dell’Arma è stato sentito in tribunale a Ravenna stamani, 8 novembre, nel processo per il cold case che vede imputati tre uomini (due ex carabinieri della stazione locale e un loro amico idraulico che hanno già scontato una sentenza per un altro omicidio commesso nella stessa località tre mesi dopo quello di cui ora sono accusati).

Nelle udienze passate era stata la fidanzata della vittima all’epoca dei fatti a parlare del brigadiere Ciccio: un misterioso militare che le fornì un registratore per tenere copia delle telefonate ricevute da un sedicente Alex che affermava di avere contatti con Minguzzi dopo il rapimento. La corte d’assise ha già convocato un possibile “Ciccio”: il 73enne Francesco Rossi, ex agente del Sisde, ha smentito di essersi occupato del caso.

«Il brigadiere Di Santo ha collaborato con me che ero stato chiamato a dare una mano ai colleghi di Ravenna – ha spiegato Tesser –. Me lo chiese il colonnello Pietro Lieto che al tempo comandava l’Arma in Regione ma ora è deceduto. Mi chiamò al mattino del rapimento e mi chiese di andare per occuparmi dell’identificazione del telefonista». Va ricordato che la fidanzata di Minguzzi, per descrivere Ciccio, parlò di un uomo sulla 40ina.

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I giudici togati della corte d’assise per l’omicidio Minguzzi

Ma la testimonianza di Tesser è stata incentrata soprattutto su una nota investigativa a sua firma datata 18 aprile 1988, cioè esattamente un anno dopo le vicende del sequestro e del ritrovamento del cadavere di Minguzzi, figlio di una facoltosa famiglia di imprenditori e carabiniere di leva a Mesola.

La pubblica accusa (pm Marilù Gattelli) ha insistito a lungo nel tentativo di far emergere quelle che, a suo giudizio, sarebbero incongruenze nella relazione. Le conclusioni tratte dall’Anticrimine di Bologna che vanno a favore della linea difensiva di estraneità ai fatti, sarebbero viziate da premesse a volte inesistenti.

Particolarmente controverso il passaggio sulla comparazione delle voci. L’informativa esclude che uno dei tre arrestati per la tentata estorsione a Contarini e l’omicidio di Vetrano sia il telefonista delle chiamate minatorie alla famiglia Minguzzi. L’atto firmato da Tesser dice che non sono le stesse persone “a seguito di perizie foniche”. Ma nel fascicolo non compaiono perizie foniche che abbiano messo a confronto le telefonate dell’estorsione Contarini con le telefonate di Minguzzi. Interrogato sulla questione, Tesser ha detto di non ricordare i dettagli di quel periodo dopo un tempo così lungo. Anche su molti altri aspetti del suo lavoro svolto sul caso sono emersi frequenti “non ricordo” connessi alla distanza di tempo.

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