Enrico Mazzone e la sua Divina Commedia illustrata lunga cento metri

La vicenda di un’opera monumentale frutto di un lavoro di cinque anni che sarà esposto a Ravenna per il Settecentenario dantesco. FOTO/VIDEO

Enrico Mazzone StudioÈ in un pomeriggio buio e freddo dell’ottobre 2015, sotto una coltre di conifere profumate e circondato da una coperta di neve, che Enrico Mazzone viene pervaso da un’idea: solo, a Rauma, in una città finlandese per lo più a lui sconosciuta, immagina che gli alberi possano parlare e raccontargli delle storie e così, quasi di incanto come succede solo nelle fiabe, si trova nella selva dei suicidi del XIII canto dell’Inferno dantesco, tra i sussurri e i lamenti dei dannati deturpati senza sosta dalle Arpie. È’ un attimo, lungo quanto basta per capire come avrebbe utilizzato il rotolo di carta esteso 97 metri per 4 di altezza donatogli dalla cartiera locale Upm: sarebbe diventato il prezioso supporto su cui “incidere”, attraverso la tecnica del puntinismo, la sua Divina Commedia.

Sono passati 5 anni da quella corsa epifanica in mezzo al bosco, anni che Enrico ha trascorso – con un intervallo di vari mesi vissuti in Islanda – letteralmente sdraiato sul lungo lenzuolo di carta, dal lunedì al venerdì, per dieci o dodici ore al giorno, a tu per tu non solo con gli spettri e le visioni paradisiache del Sommo Poeta: l’opera che il trentasettenne torinese si è accinto a portare a termine è una vera e propria «impresa», in cui l’artista si è depurato, calandosi in una sorta di «percorso iniziatico» dove ha potuto scoprire e accettare i propri «limiti» – afferma Mazzone – «ed esprimerli in qualcosa che non riprende pedissequamente la Commedia o le note miniature di Doré, ma è una vera e propria miscellanea di emozioni, reinterpretazioni di situazioni vissute che incarnano ciò che è successo anche a Dante».

Il processo creativo dell’opera, ad ora unica al mondo (si tratta infatti della più grande rappresentazione della Commedia sinora realizzata), ricorda un viaggio, dove agli spazi di lavorazione – prima un’aula di liceo, poi un deposito autostradale, infine una piccola casetta di legno – si alternano stati d’animo e situazioni non sempre idilliache, che l’artista ha sapientemente trasmesso al disegno attraverso tanta tenacia, testardaggine, fermezza ma soprattutto – asserisce – «ripetizione e noncuranza, anche del mio aspetto esteriore». Oltre al disegno, a riprova dell’immane viaggio dantesco di Enrico, rimangono i mozziconi conservati delle ben 6.240 matite utilizzate sinora per 66 metri, che si stima all’“arrivo” diventeranno circa 10.000. La scelta del puntinismo non è casuale, bensì dettata da una vera e propria esigenza personale: «mi dà l’idea di un incisione» afferma l’autore «tecnica che non ho potuto imparare all’Accademia di Torino». Le litografie tardo medievali e gotiche, il loro compendio di esseri e bestiari «mi hanno sempre causato» continua «un grande impatto estatico, un fascino che aumenta non appena rifletto sulla pazienza, la meticolosità, la sintesi perfetta che si celano dietro l’opera».

Se a livello immaginifico l’approccio è più circolare, poiché, a detta di Mazzone, «interagisco in maniera, per così dire, naïf e non limitativa con la creazione della storia nella storia», lo stile non iperrealista e la poetica visionaria e iconografica risentono decisamente dell’influenza di artisti nordici quattro e cinquecenteschi, come Jan van Eyck, Hieronymus Bosch, Albrecht Dürer e Lucas Cranach. Un posto speciale lo occupa certamente Gustave Doré, perché è grazie al più noto illustratore litografico della Commedia se Enrico, tra i 5 e 6 anni di età, ha conosciuto l’opus magnum di Dante, ammaliato dal mondo di immagini chiaro-scure che si sono sedimentate in lui per ritornare oggi in parte nel linguaggio visivo della sua opera.

È quindi evidente come Mazzone abbia cercato e cerchi tutt’ora di creare una connessione personale ma allo stesso tempo universale con la Commedia, a partire dalla traduzione in un «alfabeto visuale» del corpus di centinaia di fogli su cui ha annotato i suoi quotidiani stati d’animo e dalla continua ricerca e riosservazione dell’aspetto iconografico del viaggio dantesco, «per ritrovarlo e ricrearlo in un mondo, quello contemporaneo, in cui le visioni possano ritornare a spiegare la realtà e, osservando il mio disegno, le persone possano ritrovare quelle stesse visioni in approcci di vita abbastanza quotidiani».

Ai momenti bui e difficili, in cui l’opera e l’operato dell’artista non sono stati presi nell’adeguata considerazione, sono subentrati tempi migliori: l’interesse per la Divina Avventura – così pensa di chiamare la sua creazione – aumenta di giorno in giorno, tra le crescenti interviste e la partecipazione a mostre in varie località finlandesi, come l’importante fiera d’arte al Messukeskus di Turku che si è tenuta a metà marzo, dove per la prima sono stati esposti gli oltre 60 metri già compiuti (vedi il video in fondo all’articolo).

Al pari di tanti suoi connazionali all’estero, Mazzone si sta organizzando per tornare in patria e approdare proprio a Ravenna; sulle orme del Sommo Poeta, che nella città polentana compose gli ultimi canti del Paradiso, entro la fine del 2020 intende disegnare la terza cantica proprio nell’“ultimo rifugio”, ponendo fine alla sua Divina Avventura. L’esposizione dell’opera è prevista per il 2021: l’evento costituirà una sorta di appendice straordinaria a “Dante Plus” – la mostra sui volti di Dante ideata e curata da Marco Miccoli, riferimento fondamentale per il sostegno concreto e morale dato a Mazzone – grazie a un progetto che vede anche la collaborazione di Alessandra Carini e Giovanni Gardini. Non solo sarà una sfida trasportare un rotolo cartaceo di 300 kg dalla Finlandia all’Italia, avventura che Miccoli vorrebbe documentare come viaggio nel viaggio, ma anche trovare il luogo adatto e la struttura per esporlo una volta concluso.

«Mi piacerebbe portare il disegno in giro per l’Italia e all’estero, ma sarei sicuramente più che onorato e felice di esporlo in modo fisso proprio a Ravenna, la mia Firenze, che mi ha colpito per l’aspetto più umano, sincero e autentico» afferma Enrico. Poter vantare tra le proprie meraviglie anche la più grande rappresentazione al mondo della Commedia non è certo un’occasione da lasciarsi sfuggire: l’onere finanziario per l’allestimento necessario verrebbe di certo ripagato dal numero di persone che accorrerebbero per ammirarla dal vivo.

Il presidente della repubblica Mattarella, nel suo discorso per il LXXXII Congresso Internazionale della Società Dante Alighieri del settembre 2015, sostiene che la sfida principale di oggi è quella di essere, nel mondo, «testimone e portavoce d’Italia per la nostra lingua, delle nostre bellezze e dei nostri prodotti».
Non sarebbe quindi giunto il momento, per le istituzioni italiane, di aiutare concretamente connazionali come Enrico Mazzone, che, nel suo caso specifico, da anni si fa promotore, attraverso il suo progetto, dell’opera per eccellenza simbolo dell’Italia nel mondo?

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