«La pianura è luogo malinconico e fantastico, abitato da esseri misteriosi»

Lo spettacolo di Marco Belpoliti, per la regia di Marco Martinelli, inaugura la riapertura del Rasi rinnovato «Sul palco con me ci saranno idealmente Ghirri, Celati, Scabia, Tondelli, la musica di Lindo Ferretti. E l’anguilla…»

Pianura foto di Luigi Ghirri

Pianura, foto di Luigi Ghirri

Lo spettacolo che segnerà l’attesa riapertura del Rasi, venerdì 18 e sabato 19 febbraio, è Pianura di e con Marco Belpoliti, per la regia di Marco Martinelli. Per l’intellettuale emiliano si tratta di un ritorno alle scene con un testo che è innanzitutto un viaggio attraverso la pianura Padana denso di riferimenti geografici, storici e letterari. In una serie di quadri in movimento Belpoliti percorre questo spazio attraverso il tempo e le stratificazioni.

Belpoliti, cosa possiamo aspettarci dallo spettacolo? Il libro da cui è tratto, Pianura, edito da Einuadi, è fitto di informa-zioni, dettagli, personaggi. Come è diventato una messa in scena?
«Per lo spettacolo è stata fatta una scelta, insieme a Marco Martinelli, di animare nove capitoli sui tanti che sono. Inoltre abbiamo tagliato e riscritto il testo, per condersarlo in uno spettacolo che non durerà più di un’ora e mezza, lasciando fuori anche quelle parti che sarebbe difficile trasporre in teatro».

Nel libro troviamo a guidarci molto personaggi, tra cui Gianni Celati e Luigi Ghirri. Ma anche Tondelli e Giovanni Lindo Ferretti, solo per citarne alcuni. Chi la accompagnerà idealmente sul palco?
«Ci saranno Ghirri, di cui ricorre il trentennale della morte, e Celati, scomparso purtroppo da poco, e Giuliano Scabia, una figura di riferimento per il teatro. E sì, ci saranno anche Tondelli e le musiche di Lindo Ferretti. E anche un personaggio molto amato da queste parti, l’anguilla, un misterioso essere marino d’acqua salata e dolce, un serpente che esce dall’acqua».

Marco Belpoliti

Lo scrittore Marco Belpoliti

Tra i capitoli del libro ce ne sono due particolarmente toccanti e intensi dedicati proprio a Marco Martinelli, “Martino”, e a Ermanna Montari, in particolare alla Campiano del libro L’abbaglio del tempo che lei ha definito tra i migliori che le sia capitato di leggere.
«È così, il libro di Ermanna ha una tonalità narrativa inconsueta, con una freschezza e un’autorevolezza che nascono da un racconto vero, per quanto rivissuto, rielaborato e riscritto. È un libro che viene da lontano, è un prontuario di leggende personali. Nello spettacolo c’è anche uno dei due capitoli che citava, ma non dirò quale…».

Il suo libro, invece, come potrebbe essere definito? Pianura è insieme un saggio, un romanzo, un’auobiografia, una geografia dell’anima…
«Non sta a me definirlo, spetta agli altri farlo. È un racconto, a tratti un romanzo; è anche un’autobiografia ma attraverso gli altri, io sto un po’ ai margini, come un regista a teatro. È un libro con molte facce, dipende da dove si vuole porre l’accento».

Fonti, documenti, testimonianze, sembra un lavoro di anni. Quando nasce l’idea?
«Le cose più vecchie risalgono a più di trent’anni fa, alcuni materiali erano usciti, altri erano solo appunti. C’è stata un’occa- sione fortunata: sono andato a insegnare all’ ETH in Svizzera un corso di italiano per sei mesi e questo mi ha dato il tempo di riprendere in mano questi appunti e metterli in ordine. La scrittura poi mi ha richiesto quasi un anno».

La pianura del suo libro è quella Padana, scandagliata in ogni anfratto, ma esiste un tratto comune a tutte le pianure del mondo e, soprattutto, ai loro abitanti?
«La pianura ha un aspetto malinconico. L’orizzonte è lontano, raggiungerlo è sempre faticoso, ma allo stesso tempo si chiude su di noi e noi siamo come stretti come in una morsa. E il cielo è per terra, arriva fino ai nostri piedi. Questa è un’esperienza che si fa di notte, quando il cielo cala fino al suolo senza penetrarlo. Quindi il buio della notte e il bianco lattiginoso e opaco della nebbia fanno sentire tutto così vicino, mentre quando c’è il sole o un refolo di vento tutto sembra lontano. Credo che tutte le pianure delmondo abbiano delle parentele, per noi è un rapporto sovrastimato che ci schiaccia. Ed è un luogo del fantastico, i mostri stanno acquattati nei cespugli, nelle pievi di campagna, nei pertugi dei pozzi, qui vive una popolazione misteriosa».

Marco Martinelli Ritratto

L’autore e regista Marco Martinelli (foto Lidia Bagnara)

Ma ci vive ancora? Perché la pianura, e quella Padana in modo particolare, è anche la zona che è stata forse più deturpata dall’intervento dell’uomo per la facilità di attraversarla e modificarla. Nel suo libro lo mette nero su bianco parlando proprio di Ravenna: per quanto è bello il centro storico, per quanto invece…
«Oggi è un deserto con rovine industriale, con qualcosa che è stato lasciato indietro nel progresso. Pensi ai distrubutori dismessi che per anni restano chiusi, recintanti, abbandonati. Questa moderntà l’abbiamo patita, è vero, ci sono zone devastate. Tutto il territorio della pianura è antropizzato, non c’è un solo boschetto che non sia stato lavorato dalla mano dell’uomo, il quale ha seminato tutte le piante. Che a loro volta sono circondate dalla pianura, che non puoi limitare. Non c’è una sola zolla di terra che non sia stata rivoltata. E questo lo rende un territorio usurato e nuovo insieme, perché in continua trasformazione».

Il libro si apre del resto parlando di centuriazione.
«Quello è proprio l’inizio, quando gli appezzamenti vengono affidati ai combattenti delle guerre che hanno conquistato la terra. La centuriazione è una specie di griglia razionale che cattura elementi istintuali della pianura, che ancora ci sono, basta saperli vedere».

E di sicuro li vedremo a teatro, che per lei appunto è un ritorno. Tra i lavori che negli anni ha portato anche a Ravenna ci sono anche quelle sul “corpo” dei leader politici del Novecento. Dopo il corpo di Bossi e Berlusconi, avrebbe senso oggi tornare sul tema con i leader e i “capi” di oggi?
«Sicuramente sì, anche se nessuno è come Berlusconi, nessuno ha quel narcisismo così evidente. Tuttavia si potrebbe parlare per esempio del corpo di Mattarella e della gestualità di Draghi. E poi penso a Salvini così carnevalesco, con i suoi travestimenti a uso dei social, o Letta, che invece mi fa pensare al periodo quaresimale, lo vedrei bene in una processione di oranti in attesa della Pasqua di resurrezione. La segretaria di Fratelli d’Italia mi pare invece una nuvola, che può oscurare il cielo, ma che è pas- seggera, volatile, non densa».

Sarà volatile, ma è anche l’unica donna tra i “capi” della politica oggi: è un problema che ha anche a che fare con il bisogno che abbiamo di un “corpo del capo”?
«Sì, sicuramente, ed è piuttosto paradossale che venga proprio dalla destra, che ha sempre invece mortificato la figura femminile. Ma in generale, basta pensare a come suona diversamente la parola capa, che è quasi derisoria, rispetto a capo, che incute autorevolezza».

A proposito di genere e lingue, lei è tra i firmatari di qualche petizione pro o contro la schwa, a favore di una lingua più inclusiva?
«Non firmo appelli di nessun genere, se non per far spostare i bidoni dell’immondizia da davanti a casa, come mi è successo di recente».

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