I mosaici di Luca Barberini ci ricordano una disumanità mai tramontata

A Palazzo Rasponi fino al 19 giugno “Oceandipity”: in mostra una marea umana colorata, fluida, destinata a inabissarsi

Barberini L'EGO

Serendipity: un incontro del caso con qualcosa di bello, che in qualche modo aspettava solo noi. Forse la correlazione fra questa parola e il lavoro di Luca Barberini sta in un incontro fra l’artista e un tema, quello delle sorti dell’umanità e del pianeta che la ospita. Forse ha a che fare con quella relazione malata, confusa e sprezzante che gli esseri umani hanno il più delle volte con se stessi e il mondo che li ospita.

Barberini JellyfishOceandipity – titolo della mostra oggi a Palazzo Rasponi di Ravenna a cura di Daniele Torcellini e Paolo Trioschi – è quindi un incontro fortuito ma atteso fra l’artista e il bisogno di rispondere all’appello nella consapevolezza che lo strumento dell’arte può almeno sottoscrivere la propria responsabilità. Barberini appartiene a quella generazione che utilizza in modo brillante una tecnica solo apparentemente tradizionale riuscendo a rinnovarne in senso contemporaneo le possibilità non solo a livello formale. Il linguaggio è in questo caso non solo un mezzo ma fa parte integrante del messaggio: quel frazionamento che impone la tecnica musiva si accosta al senso di frammentazione dell’umanità narrata nelle sue opere: un’umanità ubriaca di solitudine, folle, esplosa in mille emozioni spesso violente, negative. Una marea umana colorata, fluida e destinata al precipizio viene descritta in modo capillare, pungente eppure il lavoro dell’artista ha sempre un registro ironico che trasforma la tragedia in una narrazione splendidamente grottesca.

Nei lavori presentati a Palazzo Rasponi – pochi, intensi e ben orchestrati nell’allestimento – ci sono opere di sette anni fa e altre inedite, realizzate appositamente per questa esposizione. Nonostante appartengano a serie e anni diversi è facilmente intuibile un filo rosso, un comune denominatore che si propone fin dalla prima sala, dalla citazione a mosaico della Zattera di Géricault che già a suo tempo simboleggiava il naufragio della civiltà contemporanea. In un altro mosaico, una nave piena di scheletri in balia delle onde – che reimmagina la Nave dei folli di Sebastian Brant illustrata da Dürer alla fine del ‘400 – riprende l’impennata di Hokusai trasfigurando la stessa critica di Brant alla società contemporanea. Pazzi alla deriva, nella visione dell’umanista si trattava di uomini veri e malati di mente come spiega Foucault nella sua Storia della follia, ricordando l’usanza di imbarcare i reietti con biglietti di sola andata. E gli esseri-rifiuto di ieri e oggi – imbarcati in zattere e gommoni sovraccarichi attraverso il Meditarraneo – rammentano una disumanità mai tramontata.

Barberini IcebergEsemplare per l’abbinamento tra la potente mate- rialità musiva e l’arte concettuale è l’opera L’EGO (2019) in cui Barberini propone un kit per la creazione di un mosaico domestico: le opere self-made sono immagini sopra e sotto la linea del mare per ricreare un universo senza possibilità di uscita in cui chi costruisce il mosaico individuale definisce anche il proprio destino. Nelle profondità marine esistono solo scheletri imprigionati o divorati da pesci giganti mentre, sopra la linea di galleggiamento la vita è estendibile alle dimensioni di una piccola barca. La visione di imbarcazioni con alberi e vegetazione per sopravvivere è estesa alla serie Oblò del 2021, un universo visto attraverso le proprie prigioni fluttuanti. In uno dei testi di presentazione alla mostra, Torcellini collega questi lavori ai mondi distopici descritti dal fumetto di fantascienza Le Transperceniege di Lob e Rochette, da cui è stato tratto il film Snowpiercer di Bong Joon-ho, riferimenti puntuali a cui si può aggiungere la realtà di un progetto come Jellyfish Barge, realizzato da una équipe dell’università di Firenze coordinata da Stefano Mancuso. Presentato alla Biennale di Architettura di Venezia e all’Expo di Milano del 2015, il progetto prevede la realizzazione del prototipo di una zattera di 70 mq. di plastica riciclata con una serra destinata alla coltivazione idroponica in grado di purificare l’acqua salata o inquinata per fini agricoli.

Una serendipity collega il nome del progetto Jellyfish alle giganti meduse spesso protagoniste dei lavori di Barberini che ci ricorda come queste siano gli unici esseri viventi in grado di vivere nell’immensa isola di plastica – grande tre volte la Francia – che si è formata nel Pacifico, fra San Francisco e le Hawai. Potremmo sopportare l’idea di scomparire come umanità per lasciare il posto a questi eleganti animali incosapevoli ma il tempo sembra scaduto: nelle recenti e inedite opere dell’artista – raccolte nell’ultima stanza – un iceberg sorretto da esseri umani sembra la battuta conclusiva di un ultimo atto, mentre Folla n. 11- Oceandipity costituisce il sipario che chiude la scena, quella di un mondo privo di animali, di piante, acqua o vento ma fatto solo di una compressa, estesa, brulicante folla umana.

Luca Barberini, Oceandipity – fino al 19 giugno. Ravenna, Palazzo Rasponi dalle Teste, Piazza Kennedy. Orari: feriali 15-19; sabato, domenica e festivi: 10-19.

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