Luca Bono a Faenza con “L’illusionista”: «Cerco lo stupore, è cosa rara» Seguici su Telegram e resta aggiornato Il mago porterà al Masini il suo spettacolo in collaborazione con Arturo Brachetti «Mi ha fatto capire l’importanza della storia. E di continuare a migliorarsi» Foto Paolo Ranzani «Ho scoperto la magia quasi per caso, a 14 anni. Costretto a letto dopo un incidente sui go kart, mi lasciavo incantare dai giochi di prestigio che mio fratello organizzava per distrarmi. La tempistica è stata fortunata: ero abbastanza giovane da buttarmi in questo mondo a capofitto e con passione, e abbastanza maturo per non stancarmene subito». Luca Bono, piemontese classe 1992, è considerato uno degli illusionisti più interessanti della nuova generazione. Dopo il primo approccio alla magia e qualche mese da autodidatta, frequenta il circolo Amici della magia di Torino, perfezionando le sue tecniche sotto la guida dei grandi maestri, arrivando a vincere il Campionato Italiano di Magia a 17 anni e il Mandrake d’Or (importante riconoscimento del settore consegnato a Parigi) a 19. Durante il periodo in accademia nasce l’amicizia e la collaborazione con Arturo Brachetti che ha portato alla produzione di diversi spettacoli e del one-man show L’illusionista che, dal 2017, porta sui palchi di tutta Italia la storia di Bono e del suo incontro con la prestidigitazione, tra autobiografia e magia. Lo spettacolo, in scena sabato 14 dicembre al Teatro Masini di Faenza, è scritto e interpretato da Bono, con la direzione artistica e la regia di Brachetti. Al fianco del mago durante le performance l’assistente Sabrina Iannece, ginnasta e ballerina. L’incontro con Arturo Brachetti, già nella primissima fase della sua carriera, ha in qualche modo influenzato il suo lavoro? «Arturo ha un modo di pensare lo spettacolo che non è mai fine a se stesso. Le sue performance non sono solo un susseguirsi di giochi di magia o carrellate di costumi, ma raccontano una storia. Questo modo di ragionare è sicuramente la prima cosa che mi ha trasmesso, oltre alla voglia di continuare a migliorarsi e lavorare su se stessi. Dieci anni fa eravamo a Parigi, alle prese con un Comedy Magic show in scena per quattro mesi sei giorni su sette. Ogni sera, anche se tornavamo in hotel distrutti, Arturo si chiudeva in camera per allenarsi con la sabbia. Non gli importava di essere già Arturo Brachetti, al termine di uno spettacolo importante continuava ad allenarsi come il più dedito degli apprendisti». La collaborazione con Brachetti mette due generazioni a confronto. Com’è cambiato il mondo dell’illusionismo negli anni? «La base della performance è molto simile, a cambiare davvero sono le tempistiche. Me ne accorgo riguardando i video di quindici o vent’anni fa: oggi i ritmi sono serrati, sul palco deve succedere qualcosa ogni manciata secondi o si rischia di perdere l’attenzione del pubblico. Gli stimoli a cui siamo costantemente esposti obbligano lo spettacolo dal vivo a ricalcare le modalità dei reel sui social, dove se il gancio iniziale non fa presa si scorre subito a quello successivo. Anche la tecnologia con il passare degli anni ha acquisito un ruolo fondamentale all’interno degli spettacoli. Se prima facevo apparire la colomba da un cappello, ora la faccio apparire da uno schermo». Utilizzare la tecnologia non è un po’ come barare? «No, se si usa come integrazione. Ad esempio, c’è un classico della magia che vede il mago indovinare una parola specifica da un libro scelto e aperto casualmente dallo spettatore. Oggi il gioco resta invariato, ma la parola viene indovinata da una pagina Wikipedia. L’effetto è lo stesso, anzi, aggiunge realismo alla performance! Oggi è molto più comune tenere il cellulare in mano rispetto a un libro». Come si scrive uno spettacolo di magia? «Ogni caso è a sé, c’è chi preferisce partire dalla scelta dei giochi e legarli poi con una storia e chi preferisce fare il contrario.Scrivere L’illusionista è stato semplice, perché mi sono basato sulla mia storia e sulle mie esperienze. La parte più interessante è stata individuare i numeri in grado di aiutarmi a portare avanti la narrazione». Cosa dobbiamo aspettarci? «Di tutto. Dai close-up e micromagie come i giochi di carte, alle grandi illusioni con la sparizione di persone sul palco. La magia ha varie branche e nel mio spettacolo cerco di esplorarle al meglio. In questa indagine sono aiutato da Sabrina Iannece, mia assistente dal 2012, che nel corso dell’esibizione si prenderà qualche rivincita, anche fisica, nei confronti del mago… a nome di tutta la categoria!» Cosa vuole lasciare al pubblico una volta finito lo spettacolo? «Stupore. Un sentimento che non si prova tutti i giorni e che fa tornare un po’ bambini. Capita spesso di emozionarsi con opere o concerti, ma lo stupore al giorno d’oggi è cosa rara. Certo, sta anche al pubblico vivere lo spettacolo nel modo giusto: è ovvio che ci sono trucchi, che non siamo stregoni e le cose non compaiono o scompaiono nel nulla. Però ho qualche amico abituato a seguire le mie performance scervellandosi come se dovesse risolvere un rebus. Credo sia un approccio alla magia stressante e controproducente, come guardare un film pensando solo al green screen e alla post produzione, senza soffermarsi sugli attori e sullo scorrere della trama». Quali caratteristiche servono per diventare un illusionista? «C’è una frase che sembra accomunare tutti i maghi, da Copperfield a Dynamo, “una volta ero timido, e la magia mi ha aiutato a esprimermi”. Anche io mi ritrovo molto in questo concetto: non so se la timidezza sia un tratto necessario per diventare illusionista, però ci rende probabilmente un po’ più “nerd” e inclini a passare tante ore ad allenarci e sviluppare abilità nascoste. Altre due caratteristiche importanti sono la perseveranza e la creatività: imparare i giochi è solo il primo passo, a fare la differenza è la personalizzazione». Nel corso della sua carriera alle esibizioni dal vivo si sono alternate anche diverse apparizioni televisive. Che differenza c’è tra le performance? «In tv c’è molta più tensione. Non sempre mi sento a mio agio nella frenesia del contesto televisivo. Anche la scelta dei numeri da proporre è limitata, perché bisogna fare i conti con il fatto che il video può essere rivisto all’infinito e cercare quindi giochi “a prova di replay” tra i tanti pensati per la singola visione. Lo spettacolo dal vivo poi restituisce quello scambio con il pubblico che la cosa che più mi appassiona del mio lavoro: il riscontro diretto, l’interazione, l’ascolto delle reazioni dal vivo per me è qualcosa di impagabile». Total0 0 0 0 Forse può interessarti... Il gran finale di Spiagge Soul, con la cantante americana Lakeetra Knowles Start Cinema festeggia i 40 anni con la fondazione di un nuovo Cineclub Il Bagnacavallo Festival parte con il tutto esaurito. Il programma Seguici su Telegram e resta aggiornato