1992 su Sky: un ravennate racconta l’Italia di tangentopoli

Conversazione con lo scrittore Alessandro Fabbri, tra gli autori della discussa serie tv. «Mi piacerebbe un seguito con Raul Gardini»

1992La storia d’Italia è un romanzo giallo in cui non si scopre mai il nome dell’assassino. Lo ha capito Sky che dopo il successo della serie televisiva Romanzo Criminale sulla Banda della Magliana ha iniziato a produrre serie d’autore realizzate su standard molto elevati e competitivi a livello internazionale. Dopo il successo di Gomorra l’ultima sfida è quella di raccontare gli anni di Tangentopoli con 1992 in onda in questi giorni su Sky. Abbiamo parlato con uno dei tre sceneggiatori che ha scritto la serie, il ravennate Alessandro Fabbri.
Sono andate in onda le prime puntate di 1992 suscitando subito un grande riscontro di pubblico e una fortissima attenzione mediatica, ve lo spettavate?
«Ci siamo accorti che la serie non è passata inosservata e ci fa molto piacere. Speravamo destasse attenzione e sapevamo di trattare una materia delicata. Sono arrivate anche molte critiche positive all’estero. Siamo contenti che anche molti paesi europei come Spagna, Francia, Scandinavia abbiano apprezzato la serie e stia avendo un buon successo commerciale. Lo speravamo, ovviamente, ma non sapevamo se sarebbe partita bene».
Trattando temi così spinosi si è anche sollevato un polverone…
«Ovviamente ci sono state critiche, le abbiamo ascoltate e digerite. È stata per noi una sorpresa vedere come certe ferite nel nostro paese siano ancora aperte dopo venti anni. Il terremoto Tangentopoli ha molto a che vedere con gli italiani di oggi. Non è ancora una storia sedimentata, tutt’altro… ».

Stefano FabbriCome avete lavorato alla sceneggiatura?
«Io, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo scriviamo insieme da dieci anni. Si è creato tra noi una forte alchimia nella scrittura. Recentemente avevamo lavorato insieme alla sceneggiatura de Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, pur lasciando spazio per nostri lavori “solisti” come quello di Ludovica nella scrittura della serie Gomorra. Ognuno scrive sue parti poi ci vediamo e le mescoliamo».
C’è stato un salto di qualità notevole alle serie televisive italiane negli ultimi anni. A cosa è dovuto?
«All’attenzione delle reti che producono le serie alle modalità di lavoro. Finalmente lavoriamo anche in Italia con il modello americano anglosassone che permette più libertà agli scrittori. Infatti non siamo solo scrittori di dialoghi, ma creatori del progetto in toto e seguiamo ogni sua fase dal casting alle riprese, alla post produzione. È una avventura eccitante, ma faticosa».
Quanta realtà e quanta finzione avete inserito in 1992 per rileggere momenti storici attraverso la fiction?
«L’idea è quella di fare un romanzo storico. Quindi mettere al centro sei personaggi inventati alla storia reale di quell’anno. Ognuno di loro incarna lo spirito dell’epoca. Per noi era sbagliato in partenza mettere nella serie la mole enorme dei dati di quegli anni. Per questo lavoro ci sono già ottimi documentari. Noi volevamo raccontare l’atmosfera, il feeling. Abbiamo fatto molto lavoro di documentazione. Scegliere è stato fondamentale. Soprattutto scegliere cosa non mettere».
Pare che oggi le serie televisive siano diventate un nuovo fulcro culturale coinvolgendo i maggiori registi e attori. Siamo negli anni delle serie televisive?
«Noi tre, anche se abbiamo lavorato molto con il cinema, siamo grandi amanti delle serie televisive. Adesso tutti parlano di serie tv, più di quanto si faccia con i libri o i film. Portare in Italia quel modello di scrittura e produzione come sta facendo Sky è una sfida che sta premiando».

Stefano AccorsiNel 1992 avevi solo quattordici anni, cosa hai messo dei tuoi ricordi nella sceneggiatura?
«Mi ricordo come veniva percepito in famiglia quello sconquasso. Mio babbo registrava su videocassette il processo Cusani ripetendo “stiamo vivendo la storia”. Il paese era stanco di un certo modo di fare, l’inchiesta diede forma a un’epoca. Si chiudeva una fase storica. I personaggi di 1992 la vivono in maniera molto diversa tra loro. C’è l’epopea di un giovane reduce della prima guerra in Iraq che trova spazio per riscattarsi nella prima Lega Nord. Oppure un personaggio come quello interpretato da Stefano Accorsi abile nel leggere nuove occasioni dell’Italia che sta cambiando. Il 1992 è stato anche un anno di grandi occasioni, per uomini nuovi e persone comuni».
Per ricreare quella atmosfera di tensione come vi siete documentati?
«Non solo con libri e gli articoli usciti in quel epoca, ma soprattutto con molti incontri con i magistrati che fecero le indagini, con le persone inquisite e indagate, con personaggi televisivi, con i giornalisti che seguirono la vicenda. Questo ci ha dato il sapore di quegli anni che era ciò che più ci interessava».
Di Pietro è nella realtà un personaggio pubblico molto caratteristico e conosciuto come lo avete raccontato per trasformarlo nel personaggio da film?
«Di Pietro è stato per noi, per il regista e per l’attore che lo interpreta la sfida più difficile. È un personaggio stampato nell’immaginario degli italiani. Volevamo darne una nostra interpretazione, una nostra visione. Il Di Pietro del 1992 era caratterizzato dalla grinta di un Pm sconosciuto appena arrivato a Milano, su cui nessuno avrebbe scommesso. Dotato di una grande capacità investigativa e che capitò al momento giusto per rompere quel muro di ghiaccio che nascondeva i reati della classe politica. Crediamo di non aver fatto di lui un santino, assolutamente. Abbiamo deciso di non schierarci dalla parte di nessuno. Vogliamo sollevare domande, non dare risposte».
E Berlusconi? Anche quello è un personaggio complicato da tirare in ballo…
«Si sono levate tante voci su come è stata raccontata Publitalia. L’abbiamo descritta come era, ovvero una realtà molto efficiente, con un capo che agisce. La storia ha dimostrato che c’è chi ha saputo sfruttare al meglio l’occasione di quel vuoto politico che si era creato. Nasce infatti in quel periodo il Berlusconi che avrebbe governato l’Italia nei venti anni a seguire».

Raul GardiniVisto che sei di Ravenna non posso non chiederti se siete arrivati a parlare del tuo concittadino che maggiormente fu coinvolto nelle indagini: Raul Gardini…
«Se il progetto proseguirà con 1993 sarà molto interessante raccontare di Gardini. È stato uno dei momenti più importanti di Tangentopoli, con una tensione ancora più alta che nel ’92, a causa delle bombe di mafia… E con il suicidio Gardini si arrivò poi al cuore della vicenda con il processo Cusani che portò i riflettori su Forlani e Craxi».
Quindi ci sarà un 1993?
«Sono tante le valutazioni da fare. Dipende da Sky e ovviamente da come va la serie. Per ora gli ascolti sono stati buoni e noi siamo pronti».

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