«Porto bloccato dall’anomalia Sapir Il Comune venda le sue quote»

Bucci (Pigna): enti pubblici dovrebbero lasciare il terminalista
«Controllo pubblico ma ora il vero padrone è Ottolenghi della Pir»

Lo sviluppo del porto di Ravenna è impedito da una anomalia che si chiama Sapir, società a maggioranza pubblica che opera come terminalista, e serve solo a saldare interessi politici e affaristici: la soluzione è l’uscita del Comune e degli altri enti pubblici dal gruppo dei soci mettendo sul mercato le quote che per Palazzo Merlato, proprietario del 18,5 percento, potrebbero fruttare tra 16 e 20 milioni di euro. È la sintesi del pensiero espresso da Maurizio Bucci, consigliere comunale del gruppo misto e candidato sindaco per la lista civica La Pigna, che torna a picchiare su un tema già sollevato nelle scorse settimane approfondendo ulteriormente i dettagli delle sue critiche a Sapir. Bucci punta il dito contro Guido Ottolenghi, presidente degli Industriali: lui sarebbe il vero manovratore della Sapir sebbene formalmente ne detenga solo il 7,5 percento con la Pir (Petrolifera italo rumena).

Il punto di partenza dell’aspirante sindaco è netto: Sapir non ha più ragione di esistere nella sua attuale veste di terminalista a controllo pubblico. Un senso poteva averlo nel 1957 quando venne costituita con il compito di progettare, costruire e sviluppare il porto di Ravenna (soci fondatori furono Anic, Camera di Commercio e Serafino Ferruzzi e pochi mesi dopo entrò il Comune). Ma nel 1994 sono state costituite le Autorità portuali «e a loro spetta il compito di indirizzo e coordinamento dello scalo». Perciò Sapir deve diventare un’azienda privata che sta sul mercato: «Se tutti gli enti pubblici proprietari del 52 percento in totale mettessero in vendita tutte le azioni con una gara seria sarebbe un investimento appetibile per i grandi operatori del settore». Secondo le stime calcolate dai collaboratori di Bucci la valorizzazione totale di Sapir potrebbe oscillare tra 100 e 120 milioni di euro.

Ma la vera anomalia emerge se si guarda alla struttura della società e alla sua organizzazione. In totale i soci di Sapir oggi sono 182, dieci dei quali detengono complessivamente il 93 percento: il 19 percento è di Ravenna Holding (la cassaforte del Comune), il 13,4 di Fincoport (la finanziaria della Compagnia portuale), l’11 è della Camera di Commercio di Ravenna, il 10,4 della Regione, il 10 della Provincia, il 7,5 della Pir, il 7,2 della Fondazione Carira, il 7,2 di Argentario (una controllata di Carira), il 3,9 della Syndial, il 3,9 di Eni. «Il sindacato di voto è gestito da un comitato direttivo composto dai rappresentanti di tutti i partecipanti e le decisioni sono prese con il voto favorevole di almeno l’80 percento delle azioni sindacate. Ciò significa che per le decisioni occorre avere necessariamente per la loro approvazione il voto favorevole dei tre soci privati, vale a dire Pir di Ottolenghi, la finanziaria della Compagnia Portuale e delle società riferibili alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Come potrebbe essere deliberato un investimento che creerebbe concorrenza con la Pir, se la stessa può esercitare assieme agli altri due soci privati il diritto di veto, votando contro e non approvando così la delibera? E infatti tra i poteri del consiglio direttivo troviamo l’analisi della politica di investimento della società, nonché le proposte relative all’acquisto o al realizzo di beni patrimoniali di grande rilevanza strategica, la proposta di designazione delle principali cariche e degli altri componenti del consiglio di amministrazione».

Bucci mette in fila nomine e incarichi: «I privati nominano i loro rappresentanti, mentre gli enti pubblici nominano soprattutto non loro rappresentanti ma rappresentanti dei privati. La provincia di Ravenna, infatti, nomina esprimendo l’amministratore delegato, non un proprio assessore o dirigente, ma Roberto Rubboli, da anni console e poi presidente della Compagnia Portuale. In questo modo la Compagnia Portuale ha due rappresentanti, in quanto Fincoport ovviamente nomina un proprio rappresentante. Ma Rubboli è anche membro del Consiglio Direttivo di Confindustria Ravenna. La Regione Emilia Romagna nomina Roberta Suzzi, che con la Regione non ha nulla a che fare: infatti è rappresentante della Cna di Ravenna e dirigente del Pd. La Camera di Commercio di Ravenna invece non nomina un proprio dirigente o un membro della sua giunta, bensì Claudia Ricci, coordinatrice dell’ente di formazione di Confindustria Ravenna. Eni, socia di Sapir, esprime nel Consiglio di amministrazione Paolo Baldrati, direttore dello stabilimento Versalis di Ravenna, nonché vicepresidente di Confindustria. Argentario e Fondazione Cassa di Risparmio esprimono il vicepresidente nella persona di Nicola Sbrizzi, direttore generale della Cassa di Risparmio di Ravenna, nonché membro del direttivo di Confindustria Ravenna. Fincoport esprime il proprio presidente Luca Grilli. Esattamente i privati possono contare su sette rappresentanti su nove componenti del cda. Cassa di Risparmio di Ravenna, Eni e Versalis, Gruppo Setramar, la Compagnia Portuale e la Pir sono tutte socie di Confindustria Ravenna. In questo modo Ottolenghi può contare sul sostegno di sei componenti rappresentanti di Confindustria».

Solo avendo chiaro questo scenario, secondo Bucci, si può capire perché il porto non è riuscito ancora ad avviare i necessari lavori di dragaggio per l’approfondimento dei fondali: «Il progetto iniziale era confezionato per favorire la Sapir poi il presidente di Ap Galliano Di Marco si è opposto a queste logiche ed ecco iniziato lo scontro che dall’esterno alla gente comune può sembrare un conflitto fra personalità e invece è molto di più un conflitto fra poteri forti».

E alla fine si è arrivati ai dragaggi. Se ne parla da anni e tutto è fermo perché non si è ancora trovata una soluzione per la collocazione dei circa cinque milioni di metri cubi di fanghi. «Il Pd ha bocciato le soluzioni proposte da Ap ma non l’ho ancora sentito fare proposte alternative». Nemmeno Bucci però si schiera in favore di una o l’altra delle ipotesi messe sul tavolo da Di Marco: «Vanno valutate tutte le possibilità delineate da Ap, ognuna è percorribile. Anche quella delle casse di colmata a mare lungo le dighe può essere accettabile se davvero parte di un ampio e strutturato progetto turistico che vada sfruttare quelle zone». Favorevole alle casse a mare quindi? «Non diciamo si o no a priori ma servono valutazioni di un progetto più ampio». L’aspetto più importante è non cambiare gli assetti urbanistici: «Sarebbe una pianificazione con tempi troppo lunghi che rischierebbero di far perdere i finanziamenti dello Stato per i lavori di dragaggio».

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