In tribunale duello Eni-Comune sugli indennizzi per le estrazioni di gas

L’indice che individua il prezzo del prodotto sul mercato e quello per le royalties da versare agli enti pubblici non coincidono: la compagnia petrolifera ha fatto ricorso e punta a un risparmio del 20 percento

Braccio di ferro tra Eni e il Comune di Ravenna sulle royalties per le estrazioni di idrocarburi. Il 14 febbraio il Tar di Milano discuterà il ricorso dell’azienda petrolifera sulla quota da restituire allo Stato per le attività estrattive portate avanti sul territorio nazionale. Il Comune di Ravenna è tra i pochi enti locali che si è costituito in giudizio: a gennaio la delibera della giunta, illustrata dall’assessore agli Affari Istituzionali Gianandrea Baroncini, in cui si sanciva la decisione di andare in tribunale a fianco del ministero dello Sviluppo Economico.
La vicenda è piuttosto tecnica ma viene riassunta con efficacia da Baroncini: «In sostanza Eni vuole cambiare l’indice con cui si calcolano le royalties da restituire allo Stato e agli enti locali. Contesta che quello attuale è contrario alle norme europee. L’anno per cui è stato messo in piedi il ricorso è il 2015, quando il Comune di Ravenna incassò circa 470mila euro di royalties dalle compagnie petrolifere». A Ravenna, secondo i dati del ministero, dal 2013 al 2016 sono entrati 1,2 milioni di euro. Da sottolineare che la quota varia a seconda della quantità di gas estratto.

Eni (e altre compagnie concessionarie) contesta l’applicazione di due indici diversi per determinare da una parte il prezzo per il calcolo delle royalties e dell’altra il prezzo per la vendita al mercato. Nel primo caso viene utilizzato l’indice QE che individua la tariffa del gas sulla base delle quotazioni medie di un pacchetto di prodotti energetici; nel secondo caso come stabilito dall’Autorità per l’energia si fa ricorso al Pfor, basato sulla borsa del gas olandese e inferiore al QE. I produttori sostengono quindi che, per coerenza, dovrebbe essere utilizzato lo stesso indice. Applicando solo il Pfor – il calcolo è del Ministero – le compagnie verserebbero alle casse pubbliche il 20 percento in meno di quanto pagano ora.

Per far valere le proprie ragioni, le compagnie avevano fatto un primo ricorso al Tar. Il tribunale aveva dato loro ragione, respingendo le argomentazioni del Mise che parlava di un “superiore interesse pubblico” con riferimento al principio del pareggio di bilancio. In sostanza, lo Stato sostiene che le royalties siano da considerare entrata tributaria come peraltro sembra confermare lo stesso Baroncini: «A differenza dei protocolli siglati con Eni, in cui i fondi hanno una destinazione specifica, queste entrate finiscono nel bilancio, come avviene con la fiscalità generale».

Sulla scorta di quella prima vittoria, Eni ha fatto partire un altro ricorso al Tar, quello nel quale il Comune di Ravenna si è costituito insieme alla Stato. Il Cane a Sei zampe chiede che, sulla base della prima pronuncia del Tar, siano rideterminate le quote in eccesso versate ad enti locali, Regione e Stato per l’anno 2015.

Nel frattempo, però, le cose sono cambiate grazie al Consiglio di Stato, secondo grado di giudizio del Tar, a cui hanno fatto ricorso gli enti locali soccombenti in prima battuta. Questa volta gli enti hanno vinto: i giudici nella sentenza ammettono che il punto di vista dei concessionari «è perfettamente logico». Ciò che in altri termini urta i produttori – si osserva nella sentenza – «è che essi debbano allo Stato quale corrispettivo pecuniario imposto alle loro concessioni somme di denaro maggiori rispetto a quelle che gli stessi sarebbero in grado di ricavare cedendo il gas naturale».

Il Consiglio di Stato fa notare però che c’è una legge che impone l’uso dell’indice QE e che non può essere la decisione dell’Autorità dell’energia a cambiarla. In questo modo infatti «si legittimerebbe per scelta di un’Autorità amministrativa, un deficit finanziario per lo Stato senza che vi fosse una legge che provvedesse ai mezzi per fare fronte ai maggiori oneri derivanti dalla minore entrata».

Senza intervento legislativo il cambio di indice è per il Consiglio di Stato impossibile. Una sentenza che a questo punto dà molte speranze a Comune e Stato in vista della battaglia al Tar di Milano.

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