Concessioni balneari, la nuova legge fa acqua da tutte le parti Seguici su Telegram e resta aggiornato La proroga al 2027 non è un favore per nessuno, se non per la politica, ancora una volta incapace di risolvere la questione. L’altro aspetto controverso riguarda gli indennizzi per i gestori uscenti: se ne dovrà occupare un decreto attuativo Sulle concessioni balneari, il governo Meloni ha spiazzato tutti. Le norme inserite nel decreto Infrazioni, licenziato il 4 settembre dal consiglio dei ministri, sono riuscite a scontentare ogni parte in causa: i balneari che si sono sentiti presi in giro, i Comuni che non hanno ancora le regole definitive per avviare i bandi, l’opinione pubblica che è contraria alle proroghe. Ma andiamo con ordine. Dopo decenni di rinnovi automatici agli stessi titolari, nel 2022 il governo Draghi ha imposto la scadenza delle concessioni il 31 dicembre 2023 e l’avvio delle procedure selettive per riassegnarle. L’Italia è sotto procedura d’infrazione per la mancata applicazione della direttiva europea Bolkestein, che impone i bandi periodici sui servizi pubblici come quelli di spiaggia. Il Consiglio di Stato e la Corte di giustizia Ue hanno bocciato le proroghe approvate dai precedenti governi (quella fino al 2020 di Monti e quella al 2033 di Conte), dichiarando l’illegittimità di qualsiasi forma di rinnovo automatico sulle concessioni balneari. Perciò tutto ci si aspettava, tranne che l’ennesima estensione. Ma con un colpo di scena degno delle migliori telenovele, quelle che durano anni senza mai finire, il governo Meloni ha proposto un ulteriore rinvio fino al 30 settembre 2027. E ha ricevuto persino il beneplacito dalla Commissione Ue, che fino al giorno prima si opponeva alle proroghe, mentre la sera stessa dell’approvazione ha diffuso un comunicato di appoggio al provvedimento. La norma è stata inserita nel decreto Infrazioni, che deve ancora essere approvato dal Parlamento e perciò potrà subire modifiche. Nelle leggi, anche il cambio di una sola parola può essere determinante; ma per ora non si può che commentare il testo licenziato da Palazzo Chigi. Tre sono i punti salienti: la possibilità di estendere le concessioni fino al 30 settembre 2027, i criteri per selezionare i nuovi gestori e le regole per calcolare gli indennizzi agli uscenti. La “finta proroga” al 2027 Il governo non ha disposto un rinnovo generalizzato, che come detto, sarebbe illegittimo. Il decreto scarica la scelta sui Comuni, che avranno la facoltà di applicare la proroga al 2027 oppure avviare i bandi. Non è detto che i sindaci e i funzionari si prenderanno la responsabilità di applicare una norma che rappresenta comunque un’estensione automatica, per quanto a livello locale e non nazionale. Già quest’anno l’Autorità garante della concorrenza ha diffidato tutti i Comuni che hanno usufruito della “proroga tecnica” di un anno, fino al 31 dicembre 2024, prevista dalla legge Draghi. Nel mirino dell’Agcm sono finiti anche Ravenna e Cervia: il capoluogo per ora ha evitato la denuncia al Tar, mentre la città delle saline si è opposta e ha fatto ricorso, su cui il tribunale si esprimerà a gennaio. I balneari non sono stati affatto contenti del rinvio al 2027. Per loro la proroga significa altri due anni di agonia prima delle gare, che la premier Meloni aveva promesso di evitare e che invece ha disciplinato. In realtà, finché l’Italia è in Ue deve rispettare il diritto comunitario, e chi ha creduto possibile il contrario, forse ha peccato di ingenuità. Tuttavia, a fronte della strenua difesa fatta in passato dalla leader di Fratelli d’Italia, anche gli imprenditori più realisti si aspettavano un provvedimento più favorevole alla categoria. Invece, il rinvio al 2027 alimenta ulteriore caos e i criteri delle gare fanno acqua da tutte le parti. Inoltre, per i balneari oltre al danno c’è pure la beffa: la proroga è passata tra i media e l’opinione pubblica come l’ennesimo favore ai concessionari storici, che in realtà non lo hanno mai chiesto. Il governo ha deciso tutto da solo, senza confrontarsi con le associazioni del settore. In definitiva la proroga non è un favore per nessuno, se non per la stessa politica, che si è dimostrata ancora una volta incapace di affrontare e risolvere una volta per tutte questa annosa questione. E la mappatura? Gli osservatori più attenti si chiederanno che fine abbia fatto la mappatura dei litorali, a cui Palazzo Chigi ha lavorato per tutta l’estate 2023. La tesi del governo era questa: la direttiva Bolkestein impone le gare solo in caso di “scarsità della risorsa”, perciò è possibile dimostrare che in Italia esistono ancora spiagge libere in abbondanza, per affidare nuove concessioni e far aprire più stabilimenti balneari, garantendo la concorrenza senza toccare le imprese esistenti. Secondo i calcoli del governo, solo il 33% delle coste italiane sarebbe occupato; tuttavia la Commissione Ue ha contestato sia i dati che le idee di Palazzo Chigi. Secondo Bruxelles, la mappatura avrebbe dovuto essere qualitativa e non quantitativa, distinguendo per esempio le spiagge basse e sabbiose dalle coste alte, rocciose e irraggiungibili, dove è improbabile far aprire nuovi stabilimenti balneari. Inoltre, al netto della scarsità o meno della risorsa, a imporre i bandi sulle concessioni esistenti c’è il Trattato sul funzionamento dell’Ue. Perciò il Governo ha dovuto cestinare il lavoro e ricominciare da capo. La difficoltà di calcolare gli indennizzi L’altro aspetto controverso riguarda gli indennizzi per i gestori uscenti, che saranno a carico dei nuovi concessionari, in base a una perizia asseverata a cura di un commercialista nominato dal Comune. Calcolarli non è facile: i balneari sono titolari di un’impresa privata, seppure situata su suolo pubblico, e rivendicano il diritto a un indennizzo pari all’intero valore aziendale, compreso di avviamento, investimenti e brand. Tuttavia la legge attuale prevede che al termine della concessione, il balneare debba riconsegnare l’area nuda allo Stato, che diventa proprietario a titolo gratuito delle strutture in muratura. Si tratta di una norma risalente al Codice della navigazione del 1942, che da tempo le associazioni di categoria chiedono di cambiare. Il decreto del governo rappresenta un primo tentativo in questo senso; tuttavia propone di riconoscere solo «il valore degli investimenti effettuati e non ammortizzati» nei cinque anni precedenti al bando e «di quanto necessario a garantire un’equa remunerazione». Negli ultimi cinque anni i balneari hanno investito poco o nulla, a causa dell’imminente scadenza delle concessioni, perciò le cifre degli indennizzi calcolati solo su questo parametro sarebbero molto basse. Resta da definire il «quanto necessario a garantire un’equa remunerazione», di cui dovrà occuparsi un decreto attuativo da approvare entro il 31 marzo 2025. Il che significa che gli enti locali dovranno aspettare ancora qualche mese per regolamentare questo aspetto determinante nei bandi. A meno che non vogliano avviare le gare subito e senza indennizzi, come hanno già fatto alcuni Comuni in Veneto e Friuli. In sostanza, sindaci e funzionari sono tra due fuochi: se si prenderanno ancora tempo per attendere il decreto attuativo sugli indennizzi, rischieranno denunce dall’Agcm che si oppone alle proroghe; se invece avvieranno subito i bandi senza indennizzi, potranno arrivare ricorsi dai balneari. Decidere le regole in autonomia a livello locale non è possibile, poiché la Corte costituzionale ha più volte ribadito che la materia è di esclusiva competenza statale. Dunque la situazione dei prossimi mesi sarà di stallo e caos, a causa dell’irresponsabilità di un Governo che non ha voluto decidere fino in fondo. Come saranno le gare Per quanto riguarda i criteri delle gare, il decreto stabilisce che gli enti locali debbano tenere conto dei progetti più virtuosi in termini di pratiche sociali e ambientali, assunzione di giovani lavoratori, accessibilità ai disabili e rispetto delle tradizioni enogastronomiche e folkloristiche locali. Inoltre impone di privilegiare chi ha esperienza tecnica e professionale nel settore e chi, nei cinque anni precedenti al bando, ha tratto da una concessione balneare l’unica fonte di reddito per sé e la propria famiglia. Tuttavia, al primo punto c’è la possibilità di favorire chi presenta la maggiore offerta sull’indennizzo calcolato dal commercialista. Oltre a non chiarire se il surplus andrà al concessionario o al Comune, questa parte del provvedimento apre alle gare al rialzo economico. Se la norma fosse confermata, sarebbe un assist ai grandi capitali: catene di alberghi e villaggi, multinazionali del turismo e della ristorazione potrebbero accaparrarsi gli stabilimenti più redditizi, che in riviera romagnola non mancano. L’applicazione della Bolkestein in Italia sarebbe così un pretesto per nascondere, dietro ai concetti patinati di “liberalizzazione” e “concorrenza”, una grande cessione di patrimonio pubblico al mercato. In conclusione La direttiva avrebbe potuto essere occasione per una nuova possibile gestione della spiaggia, che non impedisca la fruizione turistica né le piccole concessioni, ma che al contempo interrompa i rinnovi automatici in corso da decenni e agevoli la rinaturalizzazione della spiaggia, con il ripristino delle dune costiere (sul modello di Marina di Ravenna, dove convivono con gli stabilimenti) che rappresentano una barriera di difesa contro l’erosione costiera sempre più intensa. Invece, l’applicazione all’italiana è la semplice sostituzione dei vecchi concessionari con altri, più grandi e ricchi. Il che significherebbe omologare e privatizzare ancora di più. I Comuni, a cui il decreto lascia ampia discrezionalità, potranno impedirlo. Resta da vedere come e se lo faranno. Total0 0 0 0 Forse può interessarti... 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