La spiaggia di Ravenna arretrerà di 50 metri in 25 anni: e il turismo?

Una ricerca ravennate sprona l’industria delle vacanze ad adattarsi alla crisi climatica

Bagno Rivaverde Punta Marina Terme. Foto Di Flavio Salimbeni

In tempi di crisi climatica e grandi cambiamenti, l’industria del turismo deve ripensarsi in modo radicale. Gli eventi estremi come le trombe marine, le alluvioni e l’erosione costiera – sempre più frequenti a causa del riscaldamento globale – colpiscono uno dei settori economici che più dipendono dai fattori esterni e imprevedibili, quello delle vacanze. Basta un evento catastrofico e incontrollabile, come sono state la pandemia del 2019 in tutto il mondo e le alluvioni del 2023 in Romagna, a bloccare gli arrivi dei turisti; e basta una calamità come le mareggiate e i downburst, che nel ravennate sono ormai costanti, per compromettere la risorsa naturale da cui dipende la domanda turistica – in questo caso la spiaggia e la pineta.

Su tutto ciò riflette una ricerca dello studio ravennate Giaccardi & Associati, che si occupa di statistiche e consulenze per imprese e istituzioni. Presentata nei giorni scorsi alla fiera Btm di Bari, si intitola “Viaggio al mare” ed è una delle prime indagini che riflettono su come il turismo balneare e nautico possano e debbano adattarsi alla crisi climatica in corso, ma anche ad altri mutamenti come l’intelligenza artificiale e le nuove regole di mercato determinate da normative come la direttiva Bolkestein per le concessioni balneari.

Lo studio ha preso in considerazione 16 grandi destinazioni turistiche costiere in 8 regioni, tra cui due distretti romagnoli: quello di Cervia e lidi ravennati e quello della riviera di Rimini, intesa da Bellaria a Riccione.

La ricerca colloca Cervia e i lidi ravennati tra le “destinazioni non performanti”, ovvero quelle che hanno registrato numeri in calo nel 2023 rispetto al 2019. La flessione è lieve (-0,1% di arrivi e -3% di presenze) ed è compensata da un ottimo incremento della spesa da parte dei turisti stranieri (+121%), ma rappresenta comunque un ulteriore campanello di allarme per una destinazione da tempo considerata matura, e che più di altre subisce le conseguenze del riscaldamento globale. La Romagna è considerata dagli scienziati un “hotspot climatico”, poiché in questa regione gli eventi estremi colpiscono più che altrove, a causa delle caratteristiche geomorfologiche come il mare basso che si riscalda più velocemente, il territorio pianeggiante e con un accentuato fenomeno di subsidenza e, non da ultimo, l’eccessiva cementificazione che peggiora le conseguenze delle forti piogge.

I dati raccolti dallo studio di Giaccardi & Associati non lasciano dubbi: dei 39 chilometri di costa tra Cervia e Ravenna, 14 sono in erosione. Altri 14 chilometri sono invece avanzati negli ultimi anni, ma solo grazie ai ripascimenti artificiali (ne parliamo qui). In media, nei lidi ravennati si prevede un arretramento della linea di costa di 50 metri entro il 2050. Le inondazioni che danneggiano le infrastrutture e le temperature estreme che rendono poco piacevole la permanenza in spiaggia durante l’estate sono ulteriori fattori che compromettono il futuro dell’attuale industria turistica. Negli ultimi cinque anni, segnala l’indagine “Viaggio al mare”, su 100 eventi estremi avvenuti nelle 16 destinazioni costiere considerate, 5 si sono registrati tra Cervia e Ravenna e altrettanti nella riviera di Rimini.

Rispetto a questo scenario, cosa può fare l’industria del turismo? Giaccardi & Associati propone di «affrontare il cambiamento climatico a 360 gradi, non solo come emergenza e danno, ma come fattore strutturale che necessita di policy costanti a livello di conoscenza condivisa, monitoraggio e dati open, informazione orientata al cliente, provvedimenti di adattamento climatico stabili e duraturi anche a vantaggio di cittadini e operatori». La crisi climatica è un fenomeno complesso e globale, perciò richiede risposte complesse e globali. Una soluzione a livello individuale o locale non esiste, poiché il riscaldamento globale dipende da un inquinamento di scala planetaria che può essere interrotto solo cambiando l’attuale sistema economico e produttivo. In questo senso il turismo è un settore particolarmente interessante, perché non solo subisce le conseguenze della crisi climatica, ma contribuisce anche ad alimentarla attraverso l’ingente inquinamento di aerei, navi e automobili utilizzate per gli spostamenti del tempo libero.

Ciò che i territori, le istituzioni e le imprese possono fare, è adattarsi a uno scenario inevitabile. Nel litorale di Ravenna e Cervia, ciò significa per esempio decementificare e spostare le strutture troppo vicino all’acqua, che hanno in prevalenza una funzione turistica. I costi per i ripascimenti stanno diventando sempre più alti e insostenibili, perciò non si potrà andare avanti ancora per molto solo con questi.

Se è certo che la linea di costa indietreggerà di 50 metri nei prossimi 25 anni, sarebbe utile pianificare sin da subito un arretramento gestito di alberghi, condomini, ristoranti e stabilimenti balneari, anziché intervenire dopo che un’inondazione avrà distrutto tutto. Per farlo servono enormi investimenti pubblici e privati, ma anche regolamentazioni speciali e veloci: se si è autorizzato il rigassificatore in 120 giorni, la stessa celerità può essere seguita per un grande piano di adattamento di un territorio fragile e in pericolo. Per farlo bastano volontà politica e lungimiranza, che finora sono mancate, forse perché il problema sembrava lontano e irrilevante.

Ma oggi, come dimostra la ricerca “Viaggio al mare”, la crisi climatica compromette uno dei settori a cui le istituzioni locali tengono di più. Chissà che questo non sia l’argomento per convincersi a fare qualcosa di concreto, immediato ed efficace.

*Giornalista specializzato in questioni ambientali, normative ed economiche legate alle coste e al mare

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