«I dazi sono la conseguenza del fallimento della globalizzazione»

Il commento di D’Angelillo: «Gli Stati Uniti hanno promosso l’apertura dei mercati, ma non sono competitivi in molti settori produttivi, Europa e Cina hanno trionfato»

Donald Trump

Massimo D’Angelillo è un noto economista ravennate, che dal 1985 svolge attività di consulenza e formazione. Tra le pubblicazioni che ha curato c’è “Avviare e sviluppare una impresa di servizi di import-export”. Gli abbiamo chiesto un’analisi sulla politica dei dazi e sulle conseguenze che potrebbero provocare per le imprese ravennati, se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump darà seguito alle sue minacce di introdurli sui prodotti europei.

Cosa sono i dazi e quali conseguenze comportano?

«I dazi sono una tassa di ingresso a un Paese su una merce. Per esempio, se gli Stati Uniti mettono un dazio del 20 percento sui prodotti cinesi, significa che costeranno il 20 percento in più. La conseguenza non è solo sui prezzi, ma anche sulla quantità dei prodotti provenienti dall’estero, che saranno acquistati di meno da chi li importa e quindi saranno meno reperibili sul mercato».

Che scopo hanno i dazi?

«La politica dei dazi non serve tanto per ostacolare le importazioni, bensì per favorire la produzione interna. Se gli Usa ostacolano i prodotti cinesi, è perché sperano di favorire la produzione nazionale di un prodotto analogo».

Trump ha minacciato i dazi contro l’Unione europea. È un rischio reale?

«Assolutamente sì. In questo senso, la politica dell’attuale presidente degli Stati Uniti non è distante da quella del suo predecessore Joe Biden, che già aveva l’obiettivo di spingere una parte dell’industria europea a trasferirsi negli Usa. Molte imprese dell’Ue esportano i loro prodotti negli Stati Uniti, in primo luogo automobili, moto e farmaci; e alcune di queste, dopo le minacce di Trump, hanno già dichiarato l’intenzione di spostare la loro produzione negli Usa. In questo modo non sarebbero soggette a dazi. Inoltre risolverebbero un altro annoso problema europeo, quello del costo dell’energia, che negli Stati Uniti è molto meno cara. In definitiva, se Trump introdurrà davvero i dazi sui prodotti europei, per molte imprese potrebbe diventare molto conveniente spostarsi negli Usa».

Ci possono essere conseguenze negative per i paesi che introducono i dazi?

«Le ripercussioni sono di due tipi: la reazione degli altri Stati, che in risposta alle minacce di Trump, hanno già dichiarato l’intenzione di introdurre a loro volta i dazi sui prodotti Usa; e l’aumento dei prezzi. Questo vale soprattutto per i prodotti non sostituibili, come per esempio il nostro Parmigiano reggiano. Si tratta di un alimento unico al mondo, e anche se costerà il 20% in più, gli statunitensi continueranno ad acquistarlo, poiché non possono produrlo».

Perché secondo lei siamo arrivati a questa situazione?

«È la conseguenza del fallimento della globalizzazione promossa dagli Stati Uniti, che credevano di uscirne vincitori e invece hanno perso la partita. L’apertura dei mercati avvenuta negli ultimi vent’anni ha visto trionfare la Cina e l’Europa, poiché gli Usa non sono competitivi nella maggior parte dei settori produttivi. Quindi, anche se si credono grandi e forti, hanno adottato l’arma dei deboli: quella di chiudersi in difesa, come fanno le squadre di calcio per non prendere gol».

Le imprese ravennati saranno toccate dai dazi negli Usa?

«Solo in minima parte. L’economia di Ravenna non è molto dipendente dalle esportazioni negli Stati Uniti, in quanto si concentra su settori come l’agroalimentare, il turismo e il petrolchimico, che hanno i loro principali rapporti commerciali con il resto d’Europa. Le ripercussioni negative riguarderanno soprattutto le imprese del territorio che producono vino. Penso alla Cevico di Lugo e alla Caviro di Faenza, che esportano molte bottiglie verso gli Usa. Dal momento che gli Stati Uniti hanno una produzione nazionale di vino, i dazi potrebbero penalizzare fortemente le vendite di queste aziende».

E il porto?

«Il porto di Ravenna ha i suoi principali traffici verso il Mar Nero, perciò soffre molto di più per la guerra in Ucraina, che infatti negli ultimi due anni ha determinato un forte calo di container».

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