L’economista: «Il reddito di cittadinanza? Misura contro la crisi, non di sviluppo»

Massimo D’Angelillo analizza la novità sulla base dei dati locali

Foto Dangelillo Ott 2011

Massimo D’Angelillo

Presidente della società di consulenza Genesis, direttore della collana “Guide Business Plan”, il ravennate Massimo D’Angelillo è un economista che da trent’anni studia e analizza anche la realtà locale. A lui abbiamo chiesto un parere e una previsione sull’impatto effettivo che il Reddito di cittadinanza potrà avere proprio sul nostro territorio.

«Questo strumento interviene su diverse tipologie di beneficiari, già in parte coperti da altri strumenti – ci spiega l’economista –. Nella provincia di Ravenna, ci sono circa 167 mila occupati e 13 mila disoccupati. Dei primi, quella minoranza che lavora in imprese in crisi, è protetta dalla cassa integrazione; quelli invece che hanno perso il lavoro recentemente, sono già coperti dallo strumento della Naspi (indennità di disoccupazione introdotta dal Jobs act, ndr), ma quasi certamente la Naspi sarà cancellata e assorbita nel Reddito di cittadinanza. Io do per scontato poi che nel periodo di Rdc lo Stato versi all’Inps i contributi figurativi in favore del disoccupato, così come avviene oggi con la Naspi. La novità del Rdc sta nella possibilità di aiutare anche quelle persone che non figurano come disoccupate, cioè quelle persone che risultano inattive, ma solo in quanto scoraggiate a cercare un lavoro. I cosiddetti Neet (Not in education, employment or training, ndr)».

Ma quanti sono questi Neet nel territorio? D’Angelillo ci dice che ci sono solo stime, basate su un’analisi a livello nazionale del Cnel: 26 percento di Neet fra i giovani tra i 15 e i 29 anni. «Accettando per valida questa stima, ma applicando a Ravenna una percentuale più bassa, ad esempio del 20 percento, si arriva a una platea potenziale di 10.259 giovani, considerando che in Provincia nel 2018 i giovani complessivi tra i 15 e i 29 anni sono 51.294». Dunque secondo l’economista saranno potenzialmente (o dovrebbero essere) questi giovani i veri beneficiari del Rdc, almeno nel nostro territorio.

«Per come è stato presentato, lo strumento andrebbe meglio definito come una “borsa lavoro” per l’inserimento lavorativo. Un periodo in cui il giovane dovrebbe seguire un percorso formativo e di orientamento alla ricerca di un impiego, con la tranquillità economica richiesta da un passaggio esistenziale così delicato, e che oggi ha soltanto chi può appoggiarsi su una famiglia benestante».

Tra le critiche ricorrenti degli oppositori c’è chi parla di un colossale spreco di risorse pubbliche, per favorire un mero assistenzialismo accompagnato a lavoro nero. «Il rischio esiste, anche se va detto che il lavoro nero coinvolge anche una parte di cassintegrati, dipendenti, pensionati, disoccupati con il Naspi. Dipende ovviamente da come le cose verranno fatte: da come i Centri per l’Impiego verranno rafforzati, da come verrà fatta la formazione, da come verranno seguiti i beneficiari, da come verranno fatti i controlli. E da come ovviamente si creeranno opportunità di lavoro grazie a una crescita dell’economia». Ma, appunto, dicono i detrattori, tutto questo non porterà a una reale crescita dell’economia e soprattutto non andrà a modificare l’offerta di lavoro. «Diciamo che il Rdc è senz’altro una misura di contenimento degli effetti della crisi, non di sviluppo. Gli effetti sui consumi dei giovani disoccupati saranno abbastanza ridotti, così come fu per gli 80 euro di Renzi. Il solo fatto di percepire il Rdc non costituirà una base solida, ad esempio, per una giovane coppia per fare un mutuo prima casa. L’economia non ripartirà certo così, anche se una parte della società potrà passarsela meglio. Per lo sviluppo serve altro. E su questo mi sembra che si stia facendo poco».

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