Spumanti e “fine pasto”, il segreto per un Capodanno perfetto

La nostra regione può competere con i più blasonati trentini e Franciacorta. E anche su dolci e passiti non temiamo confronti

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Stiamo per entrare in un periodo di cene, cenoni, pranzi, ritrovi e sbicchierate vorticosissimo, che culminerà nella lunga notte di San Silvestro (tra l’altro, bello che la Chiesa abbia santificato un gatto dei cartoni animati, bravi) e che avrà come protagoniste assolute le bollicine. Orsù, non facciamoci trovare impreparati e cerchiamo anche di privilegiare la nostra Romagna, che in fatto di spumanti non potrà offrire nomi tonitruanti quanto quelli che arrivano da Champagne, Franciacorta, Trentodoc e via discorrendo, ma che tuttavia nasconde gioielli splendidi (e se ci allarghiamo anche all’Emilia, ancora più splendidi).

Cominciamo però col fare un minimo di chiarezza sulle varie tipologie di vini spumanti, concentrandoci solo sui metodo classico se no non ne usciamo più. Almeno tre robe sugli spumanti son da sapere: la prima è la classificazione in base al residuo zuccherino. Dal pas dosé (o nature o dosaggio zero) che ne ha meno di tutti (sotto i 3 gr litro) si va a crescere con extra brut, brut, extra dry, secco, demi sec (che in Italia praticamente non esiste), fino al dolce, che ne ha più di 50 gr litro. Quindi, pas dosé tutto pasto o da solo, gli altri da capire di piatto in piatto. In Franciacorta, e solo lì (l’hanno proprio inventata loro), c’è la categoria Satèn, con meno pressione atmosferica e più delicatezza.

Seconda cosa, le annate delle vendemmie. Uno spumante sans année (o cuvée) – il 90 % del totale – significa che è un assemblaggio di mosti di varie annate; un millesimato, cioè che dichiara l’annata in etichetta, viene invece tutto dalla stessa vendemmia (che quindi deve essere stata gloriosa).

A chiudere, la vinificazione: tendenzialmente gli spumanti son fatti con uve bianche e rosse, ma ci sono i blanc de blancs, da sole uve bianche, e i blanc de noirs, da uve rosse vinificate in bianco. C’è poi la questione dessert. L’unico spumante che si può abbinare con un dessert è quello dolce (tra l’altro poco diffuso), tutti gli altri dovrebbero essere vietati per legge, perché se c’è una cosa in grado di devastare il gusto di un dessert è un vino secco. Esistono i passiti apposta – ne parliamo più avanti –, beviamoli. E se proprio non possiamo fare a meno di una bolla anche col dessert, gustiamoci un bel moscato d’Asti o un Brachetto d’Acqui, suvvia.

Ma torniamo a noi, con alcuni consigli, del tutto personali, su alcune eccelse bolle romagnole. Il Metodo Classico blanc de noirs (pas dosé) di Tenuta Pertinello (vicino a Galeata) è elaborato con uve sangiovese raccolte a inizio vendemmia, quando esprimono il massimo della loro freschezza acida. È un brut, e un paio d’anni fa si è portato anche a casa il “titolo” di migliore della regione. Tranquilli che non ha paura di nessun confronto. Altra bottiglia superba arriva da un grande interprete dell’albana, l’imolese Fattoria Monticino Rosso. Il suo Blanc de Blancs pas dosé 2018 mette tutti d’accordo, ha un perlage fine e persistente, un naso di margherita, erba fresca, cera d’api e miele, grande freschezza, beva quasi cremosa. Ci spostiamo a Mercato Saraceno, dove la tenuta Santa Lucia, che lavora in biodinamico, produce un Blanc de Noir extra brut (io ho bevuto un millesimato 2019) da uve Sangiovese in purezza. Siamo di fronte a un metodo classico elegantissimo, fatto con cura maniacale (i grappoli sono selezionati a mano uno per uno), dal bel colore oro brillante con riflessi tendenti al ramato. Bouquet super fresco di fiori e frutti rossi che tornano anche in bocca, seguiti da un finale leggermente minerale e molto persistente. A questi, aggiungo un cugino proveniente dall’Emilia, nello specifico dalle colline reggiane, ossia il Ca’ Besina brut 2016 di Casali, che è stato il primo metodo classico dell’Emilia-Romagna ottenuto dal vitigno autoctono Spergola in purezza, con affinamento di almeno quattro anni sui lieviti. Questo è davvero un fuoriclasse (anche la storia della cantina è molto interessante…), un vino di grande finezza, di cui esistono anche le versioni pas dosè e rosè brut. Tutti questi spumanti sono dieci volte meglio del classico Veuve Clicquot Yellow Label (l’entry level della nota maison in Champagne) e costano la metà, però per lo stappo di capodanno son meno coreografiche, lo capisco.

Due parole ora sui “fine pasto”, imprescindibili in coda di ogni cena che si rispetti, che sono un mondo sconfinato, tra passiti, muffati, vini liquorosi o fortificati. Rimanendo in zona, l’albana si presta molto alla versione passito (che è anche Docg) e la scelta è ampissima. Però il numero uno rimane lo Scacco Matto di Fattoria Zerbina, il cosiddetto Sauternes italiano, un nettare magnificamente equilibrato che non stanca mai. Se però vogliamo provare qualcosa di diverso, io punterei sul Centesimino. La storia del Centesimino – vitigno rosso autoctono del faentino – è divertente, ma non è questo il momento per raccontarla, basti sapere che l’azienda La Sabbiona di Oriolo dei Fichi ne fa una versione dolce di nome Laura, sorprendente. Chiudo con il buon proposito per l’anno nuovo: meno internet, più cabernet.

Spumante BrindisiBollicine: bon ton, accortezze e qualche curiosità

Premesso che le bottiglie di spumante si dovrebbero aprire senza fare alcun rumore, a capodanno però è ovviamente tutto lecito, ma occhio alla mira: dentro alla bottiglia – che non a caso ha un vetro dallo spessore doppio – la pressione è di 6 atmosfere (le gomme delle automobili ne hanno 2,2), quindi nei primi due metri di volo il tappo è in grado di fare danni discreti a lampadari, occhiali, finestre e quant’altro. Al ristorante infilare la boccia vuota a testa in giù nel secchiello del ghiaccio è cafonissimo, e se qualcuno vi ha detto che serve per indicare al cameriere che la bottiglia è finita, vi ha mentito. Nonostante tutti dicano che sia la flûte, il bicchiere giusto per una bolla metodo classico per me è il renano piccolo o, ancora meglio, il bicchiere creato apposta per il Trentodoc (facilmente googolabile).

È un Franciacorta rosè del 2013 il re delle bolle italiane

Arriva dalla Lombardia il miglior metodo classico che abbia assaggiato negli ultimi anni, ossia il Franciacorta extra brut rosè “Annamaria Clementi” riserva 2013 di Ca’ del Bosco, da uve pinot nero al 100%. Più che un vino, è un viaggio sensoriale nella perfezione. Già il colore è bellissimo, un rosa salmone intenso, con un perlage finissimo e persistente. Ma poi è il bouquet che ti destabilizza, da pelle d’oca, ampio e coinvolgente, con sentori di pasticceria appena sfornata, confetti, ciliegie candite, marzapane e nocciola, il tutto in combutta con fresche tonalità minerali. In bocca si completa il capolavoro: assaggio strepitoso, equilibrato e avvolgente, setoso e moderatamente sapido, con una freschezza spaventosa e lunghissima persistenza. Se ci si ritrova al tavolo una bottiglia così, il capodanno non ha bisogno di nient’altro, niente 10 portate, niente petardi, niente trenini su finta musica brasiliana. La bellezza è tutta qui. E, visto il prezzo non proprio da bazza, magari evitiamo inutili spumate da Gran premio…

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