La folgorazione per la terra dell’agricoltore per caso: «Faccio parlare l’uva…»

Filippo Manetti è il factotum di Vigne di San Lorenzo, tra Brisighella e Modigliana: «Niente additivi, bassissimi livelli di solfiti, fermentazioni spontanee: così si esprime l’annata, nel bene e nel male»

Filippo Manetti Vitivinicoltore

Il vitivinicoltore Filippo Manetti nella sua vigna

Filippo Manetti è il titolare, nonché vero factotum, di Vigne di San Lorenzo, azienda vinicola e olearia del territorio di Brisighella ormai profondamente radicata. Vero e proprio viticultore artigiano, Manetti segue in prima persona tutte le operazioni in cantina come in vigna, nonché tutte le scelte agronomiche ed enologiche, votate all’utilizzo di minor tecnologia possibile. Ci abbiamo scambiato due chiacchiere.

Filippo, raccontaci un po’ la tua storia.
«Quella per la terra è stata una vera folgorazione. Nessuno in famiglia era agricoltore, ma a un certo punto mi innamorai della terra partendo dall’orto di casa, e così iniziai da zero a fare l’agricoltore, partendo semplicemente dalla passione per vini e olio. Praticamente una follia, avevo 27 anni, era il 1997, andavo all’università e decisi di iniziare a fare vino. Allora a Brisighella c’erano solo le cantine sociali e la storica azienda Castelluccio, per il resto nulla. Presi in affitto il podere di borgo Campiume, di proprietà della curia, e dopo due anni lo acquistai, trasformandolo in abitazione e agriturismo, ci feci la cantina e così partii, passo dopo passo. Inizialmente facevo 300 bottiglie, ora ne faccio circa 25mila. Comunque una produzione piccola (erano solo due ettari di vigna), artigianale, sempre condotta in maniera naturale e biologica. Insomma, un hobby che è diventato una passione e un lavoro».

Poi però hai lasciato Campiume.
«Sì, l’ho venduto per questioni famigliari, sono stato fermo due anni, poi ho fatto una cantina nuova a Fognano di Brisighella e adesso ho acquistato un nuovo podere, Oliveta, in località Montesiepe, dove ci sono anche dieci ettari di uliveti e in cui sto piantando pian piano le vigne nuove, che diventeranno circa otto ettari e mezzo. Nel frattempo ho vinificato acquistando le uve da altri vignaioli o per conto terzi. Nella vallata di Brisighella si trovano tante vecchie vigne di qualità».

Stai portando avanti le stesse linee di Campiume?
«No, ora mi sono concentrato quasi esclusivamente sulle uve romagnole, quindi sangiovese, albana (il nostro vitigno principe) e trebbiano, e ho espiantato quelle che avevo a Campiume, ossia merlot, cabernet sauvignon e malbo. L’albana è un vitigno dalle grandi potenzialità, e fortunatamente sempre più cantine lo stanno recuperando. Brisighella è un’ottima zona per l’albana e io e miei colleghi ci stiamo credendo molto. Poi, siccome il podere è per il 20% nell’area di Modigliana, ho intenzione di produrre anche un Modigliana bianco, che è a base di trebbiano e sauvignon blanc, e un sangiovese Modigliana».

Cantina Vigne San LorenzoCome lavori in vigna e in cantina?
«Niente additivi, bassissimi livelli di solfiti – uso la metà di quelli che sono consentiti nel regime biologico, che già sono la metà del convenzionale, quindi i vini sono molto digeribili –, fermentazioni spontanee. Faccio parlare l’uva. Che ogni anno è diversa e quindi lo è anche il vino, cerco di esprimere quella che è stata l’annata in vigna, nel bene e nel male, perché non tutti gli anni si possono fare vini eccezionali. Cerco di lavorare in biologico, inteso come naturale. Quindi in campo solo prodotti di origine naturale per difendere le piante (zolfo e rame), poi letame e qualche sovescio per concimare, se ce n’è bisogno. Il momento più importante di un vino è decidere quando vendemmiare, poi i giochi sono fatti. L’uva che vendemmio, non usando additivi (nessuno dei 74 ammessi nel biologico), è quella che sentirai in bottiglia. Il vino, come dice Carlo Petrini, deve essere “buono, giusto e pulito”».

Ci illustri i vini che produci?
«Ho due linee principali: la Anam, che comprende un’albana orange affinata in anfora georgiana, un rosato da sangiovese, un rosso da sangiovese affinato in cemento, e il bianco, un trebbiano macerato sulle bucce per 5 giorni. Poi la linea “classica”, che una volta si chiamava Campiume e che ora verrà sostituita dal Montesiepe. Qui troviamo il Campaglione bianco, che è un altro tipo di trebbiano, il Gea, un’albana vinificata in acciaio con 5 giorni di macerazione sulle bucce, e il Campaglione rosso, sangiovese vinificato e affinato in acciaio. C’è poi ancora disponibile l’Oudeis, sangiovese affinato in legno in botte grande, ma verrà presto sostituito da un nuovo vino. In arrivo due novità assolute: l’albana vinificata in acciaio per l’affinamento in legno e un rifermentato in bottiglia, metodo ancestrale».

In degustazione: la bellezza indiscutibile del Campaglione, da chiacchiere e formaggi

Il vino di Vigne di San Lorenzo di cui voglio parlare è il Campaglione rosso, un sangiovese vinificato e affinato in acciaio. Nello specifico ho assaggiato a questo giro il 2021 (anche se l’annata non è indicabile in etichetta in quanto vino generico, cioè non a denominazione di origine), ma è un vino di cui negli anni ho conosciuto varie vendemmie (splendida la 2018, per dire).
La prima cosa che ti può venire in mente bevendolo è farsi una risata: un vino base vinificato in acciaio così morbido e potente, e con una tale finezza al naso? Ma stiamo scherzando? Certe caratteristiche te le aspetteresti da una riserva, e invece… Questa è la classica boccia da chiacchiere e formaggi (stagionati), una presenza che vorresti sempre con te al tavolo. Rosso rubino pieno e denso, il bouquet è una cartina di tornasole dell’areale, con note di prugna, poi foglia di peperone, violetta, sentori erbacei. In bocca si sente molto il frutto, una robusta spalla acida lo rende freschissimo mentre l’alcol (13,5 %) va a bilanciare il calore. La grande sapidità e il lungo finale ne decretano la bellezza indiscutibile.

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