Ecco l’assaggio, in vari sensi, e il racconto del buon vino

Metti una sera a cena con il rinomato sommelier Roberto Gardini

Roberto Gardini

In vino veritas dicevano gli antichi esaltando il senso di autenticità dell’ebbrezza. Ma esiste la verità di un vino, ancor prima delle interpretazioni? Sono definibili una radice naturale e l’impronta di chi l’ha creato? E questa identità può essere svelata e raccontata? È l’arduo interrogativo dell’assaggiatore, del sommelier che indaga coi sensi nei meandri del vino per trarre un responso che si traduce in un carattere, forse inconfondibile. Roberto Gardini è uno che che lo fa da una vita – o si impegna  a fare, visto che «l’umiltà – dice – è una delle virtù del mestiere. E non si finisce mai di studiare e imparare». Originario di Cervia ma per lavoro in giro per l’Italia e l’Europa fra hotel di lusso e ristoranti pluristellati, Gardini è maître, barman, sommelier magistrale dell’Ais, campione nazionale 1993 e fra i più rinomati in Italia. Negli ultimi anni è docente, per le sue competenze, all’Alma di Parma, la celebre Scuola Internazionale di Cucina che ha sede nella reggia di Colorno ed è presieduta da Gualtiero Marchesi. Fra l’altro Roberto è babbo di Luca, oggi anche più famoso del genitore, sommelier campione del mondo nel 2010, a trent’anni appena, con esperienze importanti nell’alta ristorazione: dall’Enoteca Pinchiorri di Firenze, al The Fat Duck di Londra fino al locale di Carlo Cracco a Milano.
L’occasione di ascoltare all’opera Roberto Gardini è a Ravenna da Alex&Paul, il bar a vin nella centrale via De Gasperi, che recentemente ha proposto una serata di degustazione – guidata per l’appunto dal nostro sommelier  – composta da cinque portate abbinate ad altrettanti vini selezionati d’eccezione. La regia della cena è di Giampaolo Gardini, anche lui sommelier e barman, gestore del locale che proprio questo aprile compie 30 anni di attività ed è il preferito in città dagli appassionati di vini di qualità, soprattutto per le sue originali degustazioni enogastronomiche. Giampaolo e Roberto sono cugini e non a caso: in questo senso la parentela – e lo stile con cui trattano vini ed abbinamenti – certo non è acqua.
Il menù della serata prevede: appetizer con sformatino di zucca e porro abbinato a Rambela “Tenuta Uccellina” (Romagna); alici marinate con ventaglio di verdure e vinaigrette all’arancio abbinate a Trentino Doc, Domini Brut 2009 Abate Nero (Trentino); scrigni di burrata pugliese con olive taggiasche e basilico abbinati a Vermentino Numero Chiuso 2011 “Lunae” (Liguria); carré di vitello in crosta con pavé di patate e spinaci croccanti abbinato a Pinot Nero 2012 “Colombo” (Piemonte); roquefort e gorgonzola abbinati a Passito Sciacchetrà 2009 “Lunae” (Liguria). I piatti sono preparati dal cuoco Michele Mini.
Prima di iniziare la cena e centellinare, commentandoli, i vini in programma, Gardini introduce gli ospiti ai requisiti fondamentali dell’assaggio.        
«Quando affrontiamo un vino possiamo identificarlo raccogliendo certi indizi: il colore, i profumi, gli aromi, la struttura. È chiaro che questo metodo di assaggio si deve all’esperienza e alla sensibilità personale. Ma il vino è un prodotto della terra, in fondo è semplice. E il suo carattere andrebbe presentato, da chi fa degustazioni per mestiere, con semplicità, senza la necessità di scoprire o rivelare quello che non c’è. Una degustazione meditata – spiega Gardini – in pratica è un’analisi sensoriale che si può articolare in tre parti, in sequenza, con l’ausilio dei sensi della vista, dell’olfatto e del gusto. Si parte dall’analisi visiva che fondamentalmente ci fa capire  dal colore quale sia l’evoluzione di un vino. Quelli bianchi col passare del tempo, per un processo di ossidazione, mutano in un colore più cupo e profondo: da un giallo paglierino a uno dorato, fino al tono ambrato, quando ormai è vecchio. D’altra parte, i vini rossi con l’invecchiare perdono colore perché i polifenoli, i cosiddetti tannini, tendono a depositarsi naturalmente in fondo alla bottiglia. Per i rosé, va considerato che sono vini semplici, fragranti ma molto fragili: non hanno una lunga evoluzione per il metodo di lavorazione che prevede una breve macerazione del mosto con le bucce. Inoltre, c’è il mondo delle bollicine: champagne, spumanti, Franciacorta, dove oltre al colore fa testo l’effervescenza, il cosiddetto perlage, la trama delle bollicine che sprizzano dal fondo del bicchiere, la loro persistenza. Nei prodotti di qualità le bollicine sono fini, marcate, fitte e numerose. Se è italiano si tratterà di un vino prodotto col metodo classico che è stato a contatto per molto tempo sui lieviti. Una volta concluso lo sguardo sul colore si può rigirare il bicchiere – commenta Gardini – che non è per vezzo: serve a dare ossigeno al vino, prepara la fase olfattiva, ma è utile anche per osservare la densità, gli archetti che si formano nel calice, le cosiddette “lacrime” che ci possono svelare la struttura, la corposità di un vino». In seguito il sommelier passa all’analisi dell’olfatto.
«Percepire un vino col naso non è facile visto che nessuno ci insegna normalmente ad annusare con precisione. A parte certe spiacevoli anomalie che possiamo individuare seppure non abbiamo un gran fiuto: ad esempio se sentiamo l’odore del tappo di sughero, quello di muffa, quello stantio di cattiva conservazione… Beh, dati questi sentori capiamo che quel vino è meglio non berlo. Ma è molto più sottile e complesso individuare profumi   fruttati o floreali, note speziate o tostate nel caso di vini affinati nel legno. Spesso i profumi si sovrappongono e serve esperienza, un certo allenamento del naso per distinguerli».
Infine tocca al gusto vero e proprio.
Con l’assaggio in bocca si valutano diverse caratteristiche fondamentali: la parte zuccherina o la secchezza, la forza dell’alcol, la “rotondità”, la “morbidezza”, la piacevolezza e la persistenza al palato. Per un vino bianco si misura la freschezza, cioè l’acidità. Per i rossi si stimano i tannini che danno astringenza. E poi sentiamo la parte sapida, minerale, che è importante. Attraverso le papille percepiamo la struttura e il corpo per poi arrivare alla qualità, al giudizio finale sul vino. Ma è pur vero che ogni persona ha il suo palato, ha un suo modo di percepire il vino. E anche nella degustazione professionale, pur considerando l’oggettività di certe caratteristiche di un vino, non si può prescindere da una componente di soggettività. Sono sensibilità ed emozioni individuali che non vanno prese in considerazione».
 Le riflessioni di Gardini rivolte ai commensali passano quindi a sfatare alcuni pregiudizi o sottovalutazioni, anche sullo stato dell’arte dell’enologia italiana.
«È relativo il mito della celebrità dell’etichetta: se bevo un Sassicaia per forza deve essere buono. Ma chi l’ha detto? Se quel vino è ancora giovane, i tannini sono astringenti, l’acidità è eccessiva, manca di equilibrio… Spendete 150 euro e vi irritate pure, perché avete bevuto un vino che al momento della degustazione non era nelle condizioni ottimali. Spesso e volentieri vale la pena bere un vino meno blasonato ma autentico, che esprima l’anima di un territorio, cercando il miglior rapporto qualità-prezzo. Un vino pronto da bere, piacevole, rotondo, che ci fa sorridere e stare bene. Certo ci vuole un palato educato ma lasciatevi andare con fiducia alla vostra sensibilità e diffidate del sentito dire. Nonostante tanti luoghi comuni il vino non è solo una moda. Nel nostro Paese è un universo complesso e meraviglioso, strettamente legato alla grande cultura gastronomica delle regioni italiane, dove c’è ancora molto da scoprire e da perfezionare, fra innumerevoli vitigni, molti dei quali autoctoni e un’ampia produzione enologica di alta qualità. L’Italia oggi è il paese più importante del mondo per la vitivinicoltura, dopo vengono la Francia, la Spagna e il Nuovo Mondo. La nostra ricchezza in questo campo è determinata proprio dalla varietà che non ha paragoni per quanto riguarda vitigni e vini territoriali, che sono centinaia. Certo i francesi hanno una grande esperienza, soprattutto sul piano delle eccellenze e della capacità commerciale, ma possono vantare si è no una quindicina di vitigni. Noi per una vita abbiamo scimmiottato quello che facevano oltralpe poi ci siamo accorti delle nostre varietà e tipicità e, soprattutto, delle potenzialità del mercato enologico. Così possiamo competere con la Francia sul piano delle esportazioni globali, e siamo in vantaggio perché offriamo prodotti dal rapporto qualità/prezzo molto più interessanti. Pensate che per quanto riguarda certi vini importanti, di valore equivalente, se sono francesi possono costare fino a 4-5 volte di più!
La cena inizia così, con una breve e puntuale conversazione di Gardini dedicata ad ognuno dei cinque vini stappati per la ghiotta occasione. E in apertura ci aspetta una vera e propria sorpresa.   
«Lo spumante Rambela (Tenuta Uccellina) – spiega il sommelier – è ricavato dalle uve Famoso, un vitigno tipico della nostra Romagna. Una regione che per diverso tempo è stata maltrattata come terra da vino ma recentemente ha fatto passi importantissimi nel verso della qualità. Non dimentichiamolo. E questo è un esempio che non ha nulla da invidiare a certo dilagante prosecco, anzi… Agli occhi è di un bel giallo paglierino luminoso, con brillanti bollicine. Esprime freschezza e pulizia, con punte fruttate e accenti floreali. Al palato è piacevolmente zuccherino con aromi di mela e pera. Un vino accattivante, ottimo come aperitivo».
«Il Trento doc (Abate Nero) creato con metodo classico e 48 mesi sui lieviti, ha radici in una zona con una particolare vocazione per gli spumanti di qualità. Ha un colore dorato, luminoso, e le bollicine molto fini hanno una spinta che prelude a un vino di grande spessore. Emana un profumo intenso, fruttato e fragrante, aromi di pasticceria, tostatura e note agrumate, a tratti anche esotiche. In bocca rilascia una piacevole cremosità, è secco ma evoca una certa rotondità con dolcezze mielate, per finire lievemente salato. Un vino molto bilanciato che lascia una netta appetibilità sul palato.
«Il Vermentino 2011 (Lunae) è un vino fermo originario del territorio fra Liguria e Toscana. Ha un colore vivo dorato, con una massa densa che evidenzia corpo e struttura compatta. Il profumo richiama subito la lavanda e un pot-pourri di erbe aromatiche ma emergono anche note dolci di vaniglia e di resina. E infine un richiamo minerale. Alla bocca è un vino sontuoso, rotondo, con aromi di pesca e albicocca, di grande impatto e persistenza. Anche se dotato di un corpo che si avvicina ai 14 gradi alcolici ha un notevole equilibrio e può evolversi pienamente».
«Il Pinot Nero 2102 (Colombo) è un piemontese, affinato in tonneau. Rosso granato, trasparente, ha un’ottima densità che lo rivela ricco e pieno. Al naso richiama intensi ed eleganti profumi fruttati di ciliegie e lamponi, spezie pungenti e sentori di torrefazione. All’assaggio troviamo tannini dolci ed evidente il frutto della ciliegia. All’impatto allarga il palato, in modo sferico e molto equilibrato anche nel contenuto di alcol. Un vino di grande personalità capace di invecchiare bene e sposarsi anche con corposi piatti di pesce».
«Dulcis in fundo, il Passito Sciacchetrà 2009 (Lu­nae) è un vino ligure di limitata produzione, un vera chicca italiana. Di colore ambrato ha una spiccata densità oleosa. Al naso è strepitoso con odori intensi di frutta secca, confetture, tamarindo, caramello. Ampio e ricco, in bocca è dolce pastoso, alcolico ma sostenuto da note di freschezza. Un vino lunghissimo che sembra non finire mai, dotato di un’armonia che rasenta la perfezione. Da abbinare a biscotti e formaggi erborinati, un vino fuoriclasse da centellinare».

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