Formaggio, quando latte e caglio creano un pilastro dell’alimentazione

Nasce con la pastorizia e se ne parla già nel 3000 a.C.

Formaggio2La produzione del formaggio si basa unicamente sull’utilizzo di 2 ingredienti, il latte e il caglio. A questi vanno poi aggiunti il calore e il sale, ma tecnicamente non sono indispensabili.

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Anticamente tutto partì da una scoperta: si notò che il latte di pecora o di capra, lasciato per un certo periodo in alcuni recipienti, coagulava spontaneamente. Poi si vide che questo avveniva con più efficacia se si aggiungeva del lattice di fico o di altro vegetale come il cardo o il carciofo. A seguito di questa reazione si ottenevano 2 masse ben distinte, una liquida, il siero, e una in forma di pasta, la cagliata. Quest’ultima, scolata dal siero, aumentava di consistenza fino a prendere la forma del contenitore in cui veniva riposta. È proprio per questo motivo che i primi formaggi vennero chiamati giuncate, dai canestri intrecciati con rami di giunco nei quali veniva messa a sgrondare la cagliata.

E parlando sempre di terminologia, sul sostantivo “formaggio” non si hanno ancora le idee ben chiare: secondo alcuni deriva dal greco formos (messo in forma), secondo altri da formaticum, termine latino che potremmo tradurre con de caseus formatus, cioè formato da formaggio (caseus in latino è il formaggio). Ancora, il termine toma proviene dal taglio della pasta per darle forma, la pasta mozzata in piccoli pezzi dà il nome alla mozzarella, le forme di cacio messe a maturare a cavallo di un bastone diventa caciocavallo, i primi formaggi primaverili fatti con il latte di marzo sono marzolini. Infine, molti altri come il gorgonzola, il parmigiano e l’asiago, prendono il nome dalla loro zona di origine.

Torniamo alla storia del formaggio, a quella più recente. Qui troviamo 2 grandi scoperte che ne modificarono il corso. La prima: nel 1865 Joseph Hording, uno dei più famosi produttori di formaggio in Inghilterra, studiò e utilizzò il siero acido del giorno precedente per arricchire la popolazione microbica del latte da trasformare in formaggio, un metodo che Giuseppe Notari (1863 – 1936) applicò con successo al Parmigiano. E la seconda è di Louis Pasteur (1822 – 1895) che introdusse la pastorizzazione (processo termico che da lui prende nome): in altre parole il risanamento termico applicato al latte minimizzava (e lo fa tuttora!) i rischi per la salute causati da microrganismi patogeni, senza modificare le proprietà nutritive e organolettiche dell’alimento.

In quegli anni l’attività casearia era ancora unicamente artigianale e condotta da una o più persone nella propria bottega o masseria di campagna ma, il passaggio al processo industriale in una nuova struttura adibita a tale scopo, il caseificio appunto, non era lontano. Arrivò nel XX secolo, a seguito di un continuo processo di perfezionamento tecnologico e di una aumentata sicurezza igienico-sanitaria del formaggio. In quegli anni però, le norme che limitavano l’utilizzo di latte crudo e la vendita al dettaglio senza un minimo di tracciabilità, stavano compromettendo la secolare tradizione lattiero-casearia, a scapito soprattutto delle piccole realtà produttive tipiche del territorio. Per cercare di porre rimedio a questa situazione, nel secondo dopoguerra nacquero le Denominazioni Tipiche e di Origine, mentre le Denominazioni di Origine Protetta (DOP) si svilupparono tra la fine del 1990 e l’inizio del 2000.

Oggi la produzione italiana di formaggi è approssimativamente di due milioni di quintali annui e il consumo pro capite è di circa 23 chilogrammi, un poco superiore a quello dei salumi. E non ci si deve stupire di questo successo: l’arte casearia fa parte di una tradizione alimentare antica propria delle nostre genti, fortemente radicata in consuetudini gastronomiche sia dell’areale alpino che mediterraneo (siamo la nazione con il più alto numero – 57 – di formaggi DOP).

Poi c’è anche un aspetto più scientifico: il successo dei formaggi in cucina, particolarmente di quelli stagionati, deriva dal potere di esaltare di sapidità loro attribuito dall’acido glutammico e dal glutammato.

Solo per fare qualche esempio, citiamo la cacio e pepe della tradizione laziale, il formaggio con le fave di tutto il meridione, la polenta concia piemontese…. Ancora, i formaggi sono i condimenti indispensabili per le paste e le pizze dell’Italia centromeridionale e delle paste ripiene sia asciutte che in brodo del settentrione, e quasi infinite sono le ricette di verdure sposate ai formaggi che troviamo lungo tutti i menù di tutto lo stivale.

 

 

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