“Adotta un progetto sociale, diventa un’azienda solidale” è arrivato quest’anno alla quattordicesima edizione e questa mattina (13 dicembre) si è svolta la cerimonia conclusiva di ringraziamento da parte dell’Amministrazione comunale di Ravenna ai soggetti che hanno deciso di adottare i progetti presentati dalle diverse associazioni del territorio.
Sono stati adottati 21 progetti, presentati da altrettante associazioni, grazie al contributo di 19 soggetti tra aziende, istituti bancari, attività commerciali e privati cittadini, per un totale di oltre 44 mila euro raccolti.
Quest’anno nuove realtà hanno deciso di partecipare, così come alcune associazioni di volontariato che sono presenti per la prima volta. Nel complesso, nelle sue quattordici edizioni, l’iniziativa ha raccolto circa 645 mila euro, risorse che hanno permesso di sostenere nel tempo progetti realizzati sul territorio comunale in vari ambiti: sociale, sanitario, culturale, ricreativo, di riqualificazione urbana e a tutela dei diritti degli animali.
«Con questa cerimonia – hanno dichiarato gli assessori Federica Moschini, Francesca Impellizzeri e Massimo Cameliani – desideriamo ringraziare imprese, attività e cittadini che hanno scelto di sostenere i progetti delle nostre associazioni, confermando il forte senso di responsabilità sociale che caratterizza il territorio ravennate. Un grazie sincero va anche alle volontarie, ai volontari e alle associazioni, il cui impegno quotidiano rappresenta un patrimonio prezioso per tutta la comunità».
Le aziende alle quali è andato oggi il riconoscimento sono:
Alma Petroli
Andrea Frontali
Azimut
Bcc
Bunge
Camst
Circolo velico ravennate
Con.s.a.r.
Deco
Ferrari srl
Pet village
Pizza Futura
Safari Ravenna
Sapir
Tozzi green
Si tratta di aziende legate a questo progetto da diversi anni, che nel tempo non hanno fatto mancare il loro contributo. A queste, nell’edizione di quest’anno si sono aggiunte quattro nuove aziende.
Si tratta di: Bsi consulting srl, Cgil Ravenna, Eurospar Ravenna, Gruppo Cosmi.
Le associazioni “adottate” in questa edizione sono:
La prima raccolta delle trascrizioni dei diari manoscritti del Cardinale Ersilio Tonini verrà presentata, mercoledì 17 dicembre, alle ore 18, dall’Arcivescovo della Diocesi di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni, all’Agorà (ex teatrino) dell’Opera di Santa Teresa del Bambino Gesù di Ravenna, dove Tonini ha vissuto quasi 40 anni. L’evento è organizzato dall’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e dall’Opera di Santa Teresa in occasione del 50° anniversario dell’ingresso di Tonini come Arcivescovo di Ravenna-Cervia, avvenuto il 17 dicembre del 1975.
Il titolo della raccolta, “È davvero vero!”, riprende un’espressione che Tonini utilizzava spesso per condividere il suo stupore «di fronte alla grandezza dei doni che Dio ha riservato alle sue creature» ed è per questo che il sottotitolo “Inno allo stupore”, vuole comunicare questo senso di incredulità, provocato da qualcosa di inatteso.
«Si tratta di un evento eccezionale – commentano da Santa Teresa – che ci rivela il lato forse più nascosto di Ersilio Tonini, la sua spiritualità, gli aspetti più intimi del suo cammino di fede e il suo essere costantemente in dialogo con Dio al quale egli si rivolge direttamente in molti dei testi trascritti. È un Tonini che appare profondamente diverso da quello che abbiamo ascoltato, apprezzato e ammirato nei suoi interventi pubblici, nelle interviste televisive, soprattutto negli anni successivi alla sua esperienza da Vescovo, presenza incisiva e profetica anche sulle questioni della sua attualità. Ma in realtà da questi testi si intuisce come quella forza che usciva prorompente da una figura così minuta, esile e leggera, non poteva che avere origine da una fede gigantesca, dalla fiducia incondizionata, dall’abbandono totale di un figlio alla volontà del suo Creatore».
I diari manoscritti di monsignor Tonini sono custoditi dalla Diocesi che ha provveduto alla loro trascrizione integrale, ma questa prima raccolta copre solo un periodo di circa 20 anni che vanno dall’ingresso di Tonini come parroco di Salsomaggiore fino alla conclusione del suo episcopato nella Diocesi di Macerata e Tolentino, subito prima del suo arrivo a Ravenna.
Durante l’evento, si susseguiranno la lettura e il commento di brani del libro e alcune testimonianze di persone che hanno conosciuto il Cardinale. «È un momento davvero speciale e di grazia per la nostra Chiesa e per la nostra comunità diocesana – afferma l’Arcivescovo Lorenzo Ghizzoni – perché ci siamo accorti leggendo i diari del Cardinal Tonini, di quante cose egli abbia ancora da dirci e di quanto la sua testimonianza possa ancora essere determinante per il nostro cammino. Anche dietro ad un uomo che saputo svolgere così efficacemente la propria missione, che ha saputo testimoniare pubblicamente e con così grande efficacia la forza del messaggio evangelico, che ha saputo utilizzare con saggezza gli strumenti della comunicazione, troviamo, in realtà, la forza e la capacità, che scopriamo in questi scritti, di mettersi in continuazione di fronte al proprio Signore, per chiedere umilmente la grazia di essere suo servo appassionato e fedele, di superare i propri limiti, le proprie miserie».
Le offerte raccolte in occasione della presentazione del libro, che sarà disponibile per i presenti, saranno destinate al dormitorio dell’Opera, intitolato proprio a Tonini e inaugurato lo scorso 2 ottobre.
Roberta Casadei (Forlì 1985) è un’artista multidisciplinare che da una decina di anni opera con la fotografia ottenendo risultati nazionali lusinghieri oltre alla pubblicazione di sue opere in riviste internazionali.
Sulla piattaforma di fotografia Percorsi fotosensibili, fondata da Silvia Bigi, un’altra artista ravennate molto stimata per i suoi lavori fotografici, sono visibili anche lavori di Roberta, che condivide con la collega un utilizzo particolare della fotografia: per entrambe non semplice registrazione estetica del visibile ma uno sviluppo aderente a un progetto, a uno sguardo sul mondo che parte da una riflessione di natura concettuale, culturale, emotiva. Probabilmente, oltre alla perizia tecnica si deve a soprattutto questo tipo di procedimento il successo del loro lavoro. Nel testo di presentazione della personale di Casadei, curata dall’associazione Marte per la direzione artistica di Eleonora Savorelli, si sottolinea il processo e il tema. Potremmo definirli una sorta di “sliding doors”, un termine applicato in vari campi che è diventato noto al grande pubblico grazie all’omonimo film del 1998 di Peter Howitt: le “porte scorrevoli” denominano quel meccanismo in cui un avvenimento banale di una vita diventa cruciale e cambia il percorso e il destino di una persona.
Scegliendo o lasciando al destino la scelta, talvolta senza accorgersene o senza dare importanza all’evento, si definiscono svolte alla vita da cui derivano tragitti consequenziali differenti. Probabilmente a molte persone è capitato di chiedersi cosa ne sarebbe stato dei possibili futuri facendo una scelta piuttosto che un’altra, per quanto banale. Portando all’eccesso il ragionamento, si può affermare che anche la nostra esistenza è frutto di scelte di persone che si sono incontrate e hanno determinato la nostra nascita, quella dei nostri genitori, dei nonni e così all’indietro nel tempo, fino a comprendere un intero albero genealogico. Nelle tre serie di opere esposte, Casadei focalizza l’attenzione sugli album fotografici familiari – in questa mostra del proprio nucleo ma con l’interesse la porta anche verso storie di genealogie di sconosciuti – evidenziando gli scarti fra ciò che siamo e ciò che saremmo potute/potuti essere. Si crea così un dialogo fra il presente e il passato in cui si incrociano gli sguardi che provengono da un luogo e da qui, ora. Alcuni lavori seguono il filo conduttore delle genealogie più vicine – i genitori, i nonni, i bisnonni – creando una trama di rimandi fra discendenze consaguinee, rapporti di luoghi ma anche memorie ed emozioni. L’indagine si sofferma su un ritratto ricordandoci quanto siano state importanti le vecchie foto analogiche come costruzioni e mantenimento di memorie.
Nelle serie dal titolo Infinito e uno (2020) l’artista replica l’immagine con un uso maniacale dell’acquerello in modo da restituire la replica verosimile del retro dell’immagine, talmente precisa da imitarne perfettamente le pieghe, le smarginature, le macchie determinate dall’usura o dalle muffe. Le persone ritratte nella prima foto possono anche scomparire nella serie replicata accanto in cui sono lo sfondo e la linea dell’orizzonte a costituirsi come soggetto. Il contesto diventa così la sostanza quasi eterea del luogo che ha accolto quel momento, quelle persone, collegate per via segmentata temporale al presente. In Oscillazione verticale (2025) le immagini vengono invece sottoposte a pilette di vetri delle stesse dimensioni definendo metaforicamente la sovrapposizioni di momenti – le sliding doors – che si interpongono fra quel momento del passato e le vite future con le loro ramificazioni di scelte, forse sconosciute ma del tutto determinanti il presente. In quegli strati di vetri si ancorano anche le percezioni o le proiezioni del presente: chi guardiamo – anche con affetto o rispetto di memoria – rimane una persona che fondamentalmente è quasi del tutto sconosciuta.
In sostanza, che si tratti di repliche di luoghi o dei retri della sostanza fisica delle fotografie, il lavoro considera l’insieme – fatto di immagini, persone, materiali reali, contesti – come confini di una riflessione sugli archi del tempo e sul rapporto spurio, eppure caro, che si instaura fra chi ci ha precedeuto e la nostra attuale esistenza. In tutto ciò esiste anche un elemento perturbante nella serie Inluce (2025), in cui alcuni ritratti opacizzati, posti sotto piccoli schermi riflettenti, rimangono del tutto invisibili: qui, chi guarda non è chi osserva dall’oggi, da questo tempo presente, ma chi è ormai per sempre dietro allo specchio.
Infinito e uno. Personale di Roberta Casadei Fino a 18 gennaio 2026 Spazio Marte, via Sant’Alberto 19 orari: sa-do 15-20 su appuntamento (martedirettivo@gmail.com, Wa: 3315006266
Arriva la risposta della Regione Emilia-Romagna alla lettera, ricevuta dai ministeri dell’Istruzione e del Merito e degli Affari europei, che conteneva la diffida ad adottare entro il termine del 18 dicembre la delibera sul dimensionamento della rete scolastica regionale.
«Per l’ennesima volta – affermano il presidente Michele de Pascale e l’assessora alla Scuola, Isabella Conti – chiediamo al Governo di ripensarci. La richiesta di tagli alla scuola è immotivata su scala nazionale, dove non ci dovrebbe essere alcuna esigenza di riduzioni e tagli, e a maggior ragione per l’Emilia-Romagna. I parametri discrezionali adottati dal Governo, infatti, penalizzano ulteriormente la nostra regione, che è già una delle più penalizzate d’Italia. Non possiamo e non vogliamo apporre la nostra firma e avere corresponsabilità in una scelta sbagliata e iniqua, assunta in totale autonomia dal Governo. Non si possono scaricare sui territori decisioni che vengono prese esclusivamente a livello centrale, senza nessuna condivisione».
Dopo la decisione assunta in Giunta, e formalizzata con una delibera nell’ultima seduta, è stata inviata una missiva, a firma di presidente e assessora, ai ministeri. Nella lettera la Regione, nel rispetto del principio di lealtà interistituzionale, rinuncia al termine che le veniva concesso nella nota di diffida e si rende disponibile a collaborare con il Commissario che il Consiglio dei ministri volesse nominare.
«Come sempre siamo disponibili alla massima collaborazione istituzionale, anche con un incontro immediato – scrivono de Pascale e Conti -, per fornire tutte le informazioni e i dati necessari. La mancata adozione del piano è tecnicamente determinata dall’impossibilità di coniugare il parametro imposto normativamente con la realtà organizzativa regionale, se non a scapito del buon funzionamento di un sistema tra i più efficienti a livello nazionale».
L’Emilia-Romagna, con l’attuale numero di istituzioni scolastiche, 532 autonomie, ha un rapporto medio di 994 alunni per istituzione, abbondantemente superiore al parametro ministeriale che è di 938; la contrazione a 515 autonomie imposta dal decreto «non è pertanto giustificata da inefficienze regionali e non risponde a esigenze organizzative territoriali, ma unicamente a obiettivi di redistribuzione numerica nazionale, derivanti dall’applicazione di un meccanismo di riequilibrio interregionale del contingente Dirigenti Scolastici/ Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi deciso unilateralmente a livello ministeriale», si legge in una nota della Regione.
La lettera giunge dopo molteplici contatti intercorsi tra Regione e autorità statali competenti, in cui viale Aldo Moro aveva manifestato le criticità evidenziate dal piano e chiesto di valutare l’introduzione di deroghe ai parametri di dimensionamento regionale.
Grande avvio, siete primi in classifica. Nel gruppo c’è la sensazione che si possa fare qualcosa di importante?
«L’inizio è forse anche sorprendente se ripenso a qualche mese fa. Siamo un gruppo che lavora intensamente in palestra ogni settimana, curando ogni dettaglio e di conseguenza i risultati arrivano. C’è sicuramente la voglia di fare qualcosa di bello, di significativo, ma siamo consapevoli che la stagione è lunga e il campionato di A2 è particolare: tutto si decide ai playoff. Quindi il focus principale non è guardare la classifica, ma prepararsi al meglio per affrontare ogni partita e arrivare pronti ai momenti decisivi».
Avete cambiato molto in estate. Quali differenze noti con la rosa della passata stagione?
«Abbiamo meno giocatori con esperienza in categoria, ma dal punto di vista della qualità e intensità settimanale stiamo proseguendo il lavoro cominciato la scorsa stagione».
Da queste prime partite come valuti il livello del campionato e quali avversarie vedi più attrezzate per la promozione in Superlega? «Il livello complessivo del campionato mi sembra più alto, con squadre più attrezzate e roster più profondi. Prata è sicuramente una delle squadre più solide, hanno confermato gran parte del roster dell’anno scorso e il loro gioco è già collaudato. Poi ci sono Brescia, Aversa e Taranto, anche se non ha iniziato bene. Sono squadre che sulla carta hanno puntato forte alla promozione, con giocatori che da anni militano in questa categoria a un alto livello. Anche Siena, con Randazzo e Nelli, è competitiva. Ma il campionato è imprevedibile: i risultati visti fino ad oggi non sono definitivi. Come provato sulla nostra pelle l’anno scorso (la Consar fu eliminata ai quarti, nonostante il terzo posto in classifica nella regular season, ndr), ai playoff tutto può cambiare. Si tratta a tutti gli effetti di un altro campionato dove subentra anche più pressione».
Ti aspetteresti una risposta maggiore dal pubblico dato il buon momento?
«La speranza di un giocatore è sempre quella di vedere il palazzetto pieno. Il pubblico è una spinta in più e penso che quest’anno stia rispondendo in maniera adeguata, ma non ci vogliamo accontentare: più gente c’è, meglio è».
Hai 33 anni ma sei protagonista in un campionato competitivo come l’A2. Qual è il tuo segreto per stare al passo con ragazzi che hanno anche 10-15 anni in meno?
«Il segreto è il lavoro quotidiano e la passione per quello che faccio. Non sono dotato di un talento tecnico straordinario, quindi devo compensare con dedizione, cura del corpo e attenzione ai dettagli. La fortuna di restare in forma e di avere un ruolo meno traumatico rispetto ad altri contribuisce, ma il lavoro e la disciplina devono essere costanti».
Si sta parlando tanto di Manuel Zlatanov, classe 2008. Che rapporto hai con lui e che consigli sei solito dargli?
«Zlatanov è un ragazzo raro. Abbiamo tanti giovani bravi, però sicuramente la natura ha dato a Manuel un grande talento. Ci mette anche tanto del suo, nel senso che di testa è più grande della sua età: non fa cose normali per un ragazzo di 17 anni. Al di là del lato tecnico che è sotto gli occhi di tutti, mentalmente è focalizzato su tanti aspetti che solo apparentemente sembrano inutili, ma che in realtà possono far restare ad alto livello per tanto tempo un pallavolista».
Pensi che ci sia lo zampino del padre Hristo?
«Sicuramente il fatto che suo padre sia stato giocatore è un bell’aiuto. Penso che in generale sia cresciuto in una famiglia in cui gli è stato insegnato l’approccio al lavoro e al corretto rapporto con i compagni».
A proposito di giovani di talento, negli anni a Ravenna ne sono passati tanti. Quali ti hanno colpito di più?
«I due esempi più lampanti sono Lavia e Russo, che ora hanno vinto tutto con la Nazionale. Si vedeva che avevano qualcosina di speciale. Per via di tanti fattori non è automatico che chi ha talento arrivi nel grande palcoscenico. Ma con loro ero sicuro. A entrambi dicevo spesso di non aver fretta perché sarebbe stato solo questione di tempo».
È la tua undicesima stagione a Ravenna dal 2013, esclusa la parentesi 2019-2021 a Milano e Taranto. Che rapporto hai con la città?
«Posso dire che è casa mia, ho piantato le radici qui e sto benissimo. Ci vivo con la mia famiglia e ho comprato casa. Quando sono arrivato a 19 anni, non immaginavo che sarebbe diventata così centrale nella mia vita».
Che ricordo hai della Challenge Cup vinta nel 2018 al Pireo davanti a 12mila spettatori?
«Quella stagione è indimenticabile. Un po’ di nostalgia c’è ancora: era un gruppo fantastico, una squadra unita dentro e fuori dal campo. È stato un trionfo che ha chiuso una stagione straordinaria e che ci ha lasciato tanti ricordi bellissimi anche dal punto di vista umano. Vincere in un palazzetto così imponente, che di pallavolo aveva poco, è qualcosa che resta dentro per sempre. Sul momento non mi rendevo completamente conto dell’ambiente, ero concentrato sulla partita. A distanza di anni, rivedendo i video, mi vengono ancora i brividi».
Ravenna vive un momento magico nello sport. Tre squadre tra calcio e volley sono capoliste. Pensi che la città sia fatta su misura per lo sport?
«Sono un grande appassionato di sport e seguo con piacere i successi delle altre realtà cittadine. Sono qui da tanti anni quindi non ho più uno sguardo oggettivo, ma fin dal primo giorno ho capito come Ravenna sia dotata di una cultura sportiva che permette ai giovani di crescere senza pressione. Porto l’esempio del volley: chi arriva da fuori nota subito che la società, la città e il pubblico ti mettono nelle condizioni ideali per crescere come giocatori e come persone».
Paura nella mattinata di oggi (13 dicembre) al distributore Eni di via Faentina (zona Mediaworld). Un furgone parcheggiato vicino al bar della stazione di servizio ha infatti preso fuoco, davanti a diverse persone che stavano facendo colazione. Gli operai scesi dal furgone per fare a loro volta colazione si sono accorti del fumo che stava uscendo dal vano motore, trasformatosi poi in fiamme che hanno avvolto presto il mezzo, distruggendolo.
Due operai del furgone e uno dei gestori del distributore hanno tentato in un primo momento di domare l’incendio con un estintore ma non ci sono riusciti e sono anzi finiti in ospedale con una leggera intossicazione per il fumo respirato. Sul posto per mettere in sicurezza l’area i vigili del fuoco. Leggeri danni, solo superficiali, per la struttura del bar.
Continua il lavoro di riallestimento e arricchimento del percorso permanente del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Oggi, 13 dicembre, inaugura il riallestimento della collezione asiatica del Mic, con ceramiche appartenenti a culture che hanno influenzato a lungo lo sviluppo della ceramica del mondo. L’Asia ha affascinato l’Europa entrando con i suoi canoni estetici nelle arti e, in particolare, nell’arte ceramica. Il riallestimento valorizza il grande patrimonio del Museo, con alcuni inediti provenienti da recenti acquisizioni.
Il nuovo percorso, curato da Eline van den Berg, ricercatrice di arte e cultura asiatica, con la collaborazione di Fiorella Rispoli e Roberto Ciarla, espone circa 230 manufatti dal II secolo (opere dalle Dinastie Han, Tang, Song, Ming, Qing) fino ad oggi, con diverse novità: un racconto organizzato per temi e l’inclusione nel percorso di opere d’arte contemporanea che hanno radici profonde nella pratica tradizionale.
«L’ultima riorganizzazione della sezione dedicata all’Asia orientale del Mic risaliva al 2011 – spiega Eline van den Berg -. Nonostante l’accurata disposizione degli oggetti, la vista era affaticata dall’eccessivo numero di reperti esposti e mancavano riferimenti che li contestualizzassero. Per questo motivo è stata sviluppata una nuova esposizione che risponde meglio alle esigenze dei visitatori, fornendo informazioni più concise e incentrate sui singoli oggetti».
Nel nuovo allestimento il racconto, abbandona la rigida narrazione cronologica, per concentrarsi su opere significative in grado di ricostruire i contesti storici, sociali e culturali, mettendo in luce vari aspetti, come ad esempio la loro funzione, il loro carattere distintivo e i procedimenti per la loro realizzazione.
IL PERCORSO
La parte iniziale della sezione si focalizza su opere dell’Asia orientale come culla della produzione della porcellana. Una svolta nella storia della ceramica è data infatti dallo sviluppo della porcellana in Cina, che in seguito l’ha resa un prodotto “globale”.
La mostra prosegue poi con una panoramica della ceramica cinese e giapponese, seguita da un’esposizione tematica che copre la cultura del tè, la vita accademica, i rituali e le sepolture, il simbolismo e il celadon. Questi argomenti mettono in evidenza l’uso, il significato e l’apprezzamento della ceramica in tutta l’Asia orientale con oggetti di vari periodi storici, anche contemporanei e provenienti da aree come la Corea e la Thailandia.
Successivamente alcune ceramiche thailandesi e vietnamite sottolineano il ruolo chiave che hanno svolto nel commercio intra-asiatico durante il XV e il XVI secolo. Durante questo periodo, il commercio della ceramica cinese subì un temporaneo declino a causa dei divieti di esportazione imposti da vari imperatori cinesi. In risposta le fornaci in Thailandia e Vietnam soddisfano la domanda di oggetti in blu e bianco e celadon.
Segue un’ampia panoramica sull’esportazione della porcellana in Europa da parte delle varie Compagnie delle Indie Orientali a partire dal XVII secolo, quando suscitò un fascino diffuso che culminò in una vera e propria mania durante il XVIII secolo.
Proseguendo vengono messi in risalto alcuni importanti donatori al Mic di ceramiche asiatiche. La collezione asiatica del Museo fu gravemente danneggiata dopo il bombardamento del 1944 durante la seconda guerra mondiale. In mostra è raccontata la ricostruzione delle collezioni avvenuta grazie a queste generose donazioni.
Infine, una selezione di opere d’arte contemporanee – che prima non erano incluse nel percorso – dimostra come la produzione ceramica in Asia orientale continui a prosperare ancora oggi con radici profonde nelle pratiche tradizionali.
L’ALLESTIMENTO
Il nuovo allestimento – che ha vinto il Bando PNRR M1C3 del Ministero della Cultura finalizzato alla realizzazione di allestimenti accessibili, finanziato dall’Unione europea Next Generation EU – pone inoltre una grande attenzione all’accessibilità e fruibilità del patrimonio da parte di un pubblico eterogeneo che comprende anche persone con disabilità fisiche e cognitive nel rispetto del “diritto alla cultura” con l’obiettivo di favorire il dialogo fra le culture del mondo.
Oltre ai lavori edili per il superamento di dislivelli fisici, la realizzazione di apparati didattici accessibili, introduzioni in braille, percorsi tattili e audio guide per le persone con difficoltà visive, percorsi video in LIS per le persone sorde e l’utilizzo di pannelli con info-grafiche realizzate con il metodo CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa) grande attenzione è stata fornita alle tecnologie multimediali che permettono di superare le barriere cognitive e fisiche.
Lungo il percorso sono previsti apparati multimediali in grado di fornire al visitatore un’esperienza virtuale di apprendimento emotivo. Essi verranno completati in primavera con l’inserimento di un touch screen per l’approfondimento di contenuti.
«Questo riallestimento si inserisce in un progetto di valorizzazione del patrimonio del Museo che abbiamo avviato in un’ottica di modernizzazione della fruizione, dei contenuti e della multimedialità. – commenta la direttrice Claudia Casali – Grazie al bando PNRR possiamo realizzare una sezione che presenta elementi di accessibilità oggi necessari alla fruizione ampliata. Da sempre il nostro Museo è attento alle tematiche dell’inclusione e dell’accessibilità: con questa sezione facciamo un passo avanti. Questo riallestimento sarà anche l’occasione per rivedere l’impianto strutturale dello spazio che tornerà alla sua originale dimensione architettonica».
Per l’occasione verrà pubblicata una guida, edita da Silvana editoriale, della collana del Mic, utile per approfondimenti e contenuti di sala.
Visite guidate gratuite (incluse nel prezzo del biglietto) domenica 14 e 21 dicembre e 11 e 18 gennaio, ore 16.
Il cinema Mariani di Ravenna e il cinema Sarti di Faenza avranno un’ospite d’eccezione: Monica Guerritore. L’attrice e regista sarà presente a Ravenna, in via Ponte Marino, domenica 14 dicembre alle 21, e a Faenza, lunedì 15 dicembre, sempre alle 21, per incontrare il pubblico in sala prima della proiezione del film “Anna” scritto, diretto e interpretato dalla stessa Monica Guerritore.
Il primo film sulla grande interprete italiana amata in tutto il mondo, Anna Magnani, si concentra nella notte del 21 marzo 1956 quando vinse il Premio Oscar come miglior attrice per “La rosa tatuata”.
Il film è molto atteso dal pubblico anche per il grande successo di “Inganno” di cui Monica Guerritore è protagonista, l’unica serie Netflix italiana nella top 20 tra le più viste al mondo nel 2024 con oltre 27 milioni di streaming.
Nel 2023 Andrea Purgatori, conquistato dalla sceneggiatura si è messo accanto all’autrice, ha collaborato alla revisione e a lui la pellicola è stata dedicata. La Guerritore amata dal pubblico per le sue donne ‘forti e passionali’, ha voluto accanto a sé Tommaso Ragno, protagonista del film “Vermiglio” candidato al Premio Oscar, nelle vesti di Roberto Rossellini. Coprotagonista una giovane attrice Beatrice Grannò che ha conquistato il pubblico americano con “White Lotus”.
Serata storica per la cultura ravennate. L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, diretta dal maestro Riccardo Muti, ha suonato al Vaticano. Lo ha fatto davanti a circa 6mila persone della Sala Nervi per il Concerto di Natale in onore del Santo Padre. Ciò che ha reso la serata indimenticabile per i 70 giovani musicisti dell’ensemble ravennate è stata infatti la presenza di Papa Leone XIV, catturato per 60 minuti dalle note dirette dal maestro Muti e accompagnate dal Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini”.
Che per i talenti della Cherubini non fosse una giornata come le altre lo si era capito a circa un’ora dal concerto: in un contesto di spessore mondiale con tanto di diretta nazionale su Rai 2, gli archi dell’Orchestra “mutiana” si sono radunati nei bagni sotterranei della Sala Nervi per limare gli ultimi dettagli prima di salire sul palco. Il pubblico della serata ha dovuto quindi slalomeggiare piacevolmente tra viole, violini e contrabbassi prima di recarsi al Wc. Probabilmente per i musicisti under 30 provenienti da ogni parte d’Italia è stato il modo migliore per stemperare la tensione.
Una volta saliti sul palco i 140 artisti, divisi equamente tra coristi e orchestra, hanno atteso qualche minuto prima di veder apparire Papa Leone. Il Pontefice è entrato nella moderna Sala Nervi (o Aula Paolo VI) tra gli applausi e gli sguardi emozionati di cardinali, ospiti, istituzioni e personale del Vaticano. Il capo della Chiesa Cattolica si è accomodato nella sua centralissima seduta, solo pochi istanti dopo la conclusione della messa da lui celebrata all’interno dell’adiacente, quanto imponente, Basilica di San Pietro. Appena si sono spenti gli ultimi flash dei telefoni, il maestro Muti ha “preso parola” musicalmente parlando. La Troisième Messe solennelle in La maggiore per l’Inconorazione di Carlo X con la musica di Luigi Cherubini ha tenuto in ostaggio i seimila respiri della Sala Nervi, tanto da far (quasi) dimenticare la presenza del Papa.
Dopo poco meno di un’ora di esibizione, il maestro Muti ha ringraziato prima il pubblico, poi l’orchestra e infine si è diretto verso il Papa, guidato dal sottofondo assordante di applausi. Il direttore è stato quindi omaggiato con il Premio Ratzinger, riconoscimento attribuito ogni anno a personalità eminenti nel campo della cultura e dell’arte. «È il momento più difficile della serata – esordisce Muti prima di riferirsi al Vescovo di Roma –. Sono del segno del Leone e mi piace il suo nome e anche per questo l’ho amata fin da subito. Ci accomuna anche Chicago che è la sua città natale e dove sono stato per molti anni il direttore dell’orchestra». Ha poi parlato dell’amicizia con Papa Benedetto XVI, grande appassionato di musica. «Il mio rapporto con lui è stato quello di un grande e devoto cattolico. Parlavamo molto di Mozart, che io ritengo un’espressione tangibile dell’esistenza di Dio». Muti nel suo discorso ha chiuso citando prima Dante Alighieri e poi Cassiodoro: “Se continuate così Dio vi punirà e vi punirà togliendo a voi la musica”.
Successivamente ha preso la parola Papa Leone XIV: «Rivolgo il mio saluto a Riccardo Muti, segno di una vita dedicata alla musica. Papa Benedetto amava ricordare che la vera bellezza ferisce e apre il cuore. Il Premio che oggi riceve Muti è la prosecuzione di quel loro rapporto, rivolto al bene comune e all’armonia. Armonizzare, atto tipico della musica, significa tenere insieme differenze che possono scontrarsi e anche il silenzio concorre a questo scopo. Perché nella pausa affiora la verità. Il suo modo di dirigere (riferendosi a Muti ndr) si inclina alla formazione. L’attribuzione del Premio Ratzinger va a Muti, che ha contribuito a costudire ciò che stava a cuore al Papa, ovvero la musica».
Per quanto riguarda la sfera politica ravennate, in Vaticano si sono recati il sindaco Alessandro Barattoni, l’assessore Fabio Sbaraglia, il vicesindaco Eugenio Fusignani, oltre alla presidente provinciale Valentina Palli e alla sindaca di Lugo Elena Zannoni. I politici ravennati si sono “mischiati” in platea con i politici dell’attuale Governo come Antonio Tajani, seduto proprio alle spalle del Pontefice, e altri personaggi noti come Bruno Vespa. Tra i tanti ravennati presenti anche Antonio Patuelli e Mirella Falconi, sostenitori del concerto con la Cassa di Risparmio. L’assessore alla Cultura Fabio Sbaraglia, intercettato poco prima di entrare nelle colonne di San Pietro, ha dichiarato con orgoglio: «Il concerto dell’Orchestra Cherubini in Vaticano testimonia ancora una volta l’assoluta eccellenza che questa orchestra rappresenta in Italia e nel mondo. Un successo che deve tanto alla generosità, alla visione e all’impegno del Maestro Muti, un impegno davanti al quale la città non può che sentirsi coinvolta e responsabilizzata. Anche per questo Ravenna è orgogliosa di accompagnare questo evento unico ed eccezionale alla presenza del Papa».
Il concerto è stato organizzato dalla Fondazione Pontificia “Gravissimum Educationis – Cultura per l’educazione”, con il patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede; principal supporter del concerto è la “Galileo Foundation”. L’iniziativa si inserisce infatti anche nel progetto di sensibilizzazione sull’emergenza educativa globale, tema particolarmente caro a Papa Leone XIV, che vede nel mondo 60 milioni di bambini privi d’istruzione.
La vittoria del Ravenna contro il Pontedera di domenica scorsa, arrivata in rimonta al 102’ con un gol di tacco di Okaka, ha lasciato pesanti strascichi tra i tifosi di Arezzo e Ascoli, con i classici sfottò da social, tra meme con la chiamata del recupero “fino a quando non fa gol il Ravenna” al più classico dei “Braida-League”, chiaro riferimento al potente vicepresidente dei giallorossi.
Ma chi contesta il maxi recupero di domenica, di certo non avrà visto la partita. Noi, per cercare di riportare tutto alla realtà, abbiamo deciso di farci del male e di rivedere il secondo tempo di Ravenna-Pontedera, cronometro in mano.
Ebbene, quando è scoccato il fatidico 90esimo, su 45 minuti del secondo tempo se ne erano giocati circa 15. Un dato da record negativo con pochi paragoni nella storia, probabilmente, considerando che la media di tempo effettivo nel campionato di serie A – già molto, troppo, bassa rispetto a quella europea – è attorno ai 53 minuti su 90.
In particolare, nel secondo tempo di Ravenna-Pontedera 11 minuti e mezzo si sono persi aspettando che l’arbitro analizzasse al monitor due episodi discussi (uno dei quali era un rigore prima concesso al Ravenna e poi annullato e un’espulsione ai danni del Pontedera poi trasformata in ammonizione, a proposito di Braida-league…). 11 minuti e mezzo di totale assurdità, davvero ingiustificabili. Altri (quasi) 2 minuti si sono persi per aspettare di capire se fosse stato giusto annullare per fuorigioco un gol di Luciani (sì, era stato giusto annullarlo). In totale, oltre 13 minuti di attesa totale, con i giocatori fermi in mezzo al campo. Non bastassero, c’è stata poi la solita serie di crampi veri o presunti, tuffi, perdite di tempo (incredibile che il portiere ospite abbia finito la gara senza ammonizioni…) che ha portato appunto a giocare effettivamente solo 15 minuti su 45.
Il recupero di 10 minuti era obiettivamente il minimo sindacale. Recupero che è stato chiamato però in concomitanza con due cambi del Pontedera al novantesimo. La partita è così ricominciata solo al 91esimo e 40 secondi e da qui (come chiaramente indicato anche dall’arbitro) sono inevitabilmente partiti i 10 minuti di recupero segnalati poco prima. Il gol di Okaka è arrivato al 101esimo e 56 secondi, quindi 16 secondi dopo l’ipotetico scadere. Ma nel mezzo – oltre alle solite perdite di tempo – c’è stato anche il gol del pareggio di Luciani, con tanto di revisione e circa 1 minuto e 15 secondi di pausa. Ecco che quindi almeno (e ribadiamo, almeno) altri trenta secondi aggiuntivi erano inevitabili (con il finale da far slittare quindi almeno al 102esimo e 10 secondi) così come il gol di Okaka perfettamente “in tempo”. E in effetti dopo la rete del Ravenna, il Pontedera ha auto quasi altri 30 secondi di tempo per provare a pareggiare (riuscendo pure a tirare una volta in porta, senza esiti).
La speranza non è tanto che si possa rivedere al Benelli una rimonta del genere, ma che non ci tocchi più assistere a una frazione di gioco da 15 minuti effettivi (poi diventati circa 22 con il recupero, almeno).
Torna a Ravenna (al Teatro Socjale di Piangipane domenica 14 dicembre alle 11, lunedì 15 dicembre alle 20 e martedì 16 dicembre alle 10) L’Europa non cade dal cielo. Cronistoria sentimentale di un sogno, di un’idea, di un progetto, uno spettacolo prodotto dalle Albe/Ravenna Teatro che, dopo il debutto nel 2023, ha girato tutta l’Italia e viene ora riproposto per un’occasione speciale. Tre giorni dedicati a un affondo sulla storia dell’Unione Europea, pensati e organizzati anche grazie alla collaborazione con Europe Direct Romagna nell’ambito del progetto Sounds of Europe.
Lunedì 15 dicembre dopo lo spettacolo interverrà Pier Virgilio Dastoli, giurista, già assistente di Altiero Spinelli e oggi presidente del Movimento Europeo Italia, per un incontro sull’Unione Europea e sul suo futuro. Lo abbiamo intervistato.
Camilla Berardi e Massimo Giordani in scena
Come ha trovato lo spettacolo? «Devo dire di averlo visto un po’ di tempo fa ormai e non ricordo molto, ma ritengo efficace la modalità di racconto, con due giovani attori molto bravi».
Cosa significa secondo lei “Non cade dal cielo”? Quali sono stati i momenti fondamentali della storia degli ultimi secoli, non solo del 900, che hanno portato all’Unione Europea? «L’idea di Unione non è figlia del XX secolo, Dante Alighieri vedeva l’ipotesi di un continente unito già nel medioevo, l’università ha giocato un ruolo fondamentale, facendo circolare saperi da regioni divise, e l’illuminismo va rivalutato. Papa Prevost ha da poco incontrato un gruppo parlamentare europeo di conservatori e ha ribadito le radici giudaico-cristiane del nostro continente, ma secondo me dimentica un aspetto fondamentale: l’integrazione è iniziata, prima che con la religione, con la scienza e la filosofia. Gli articoli 10 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea parlano di libertà di coscienza, non di cristianesimo. Un cardinale una volta mi disse che non sono importanti le radici, ma i frutti, dobbiamo difendere l’albero e ciò che ci dà».
Secondo lei sta funzionando secondo le idee che avevano Spinelli, Rossi e Colorni e gli uomini che l’hanno fondata? «Oggi siamo lontani dalle idee che avevano gli uomini che hanno scritto il Manifesto di Ventotene. Viviamo in un’Unione che sta rinnegando forse il più importante dei principi fondativi, ovvero la pace. Spinelli non parlava solo di istituzioni, ma di una dimensione sociale, culturale comune. Sono parti del Manifesto che spesso dimentichiamo. Quando aveva le deleghe europee all’industria e alla tecnologia fu uno dei primi, cinquant’anni fa, a parlare di ambiente, anche questo deve tornare al centro del dibattito. Quella frase, “Non cade dal cielo”, che Spinelli ha coniato, richiede una mobilitazione su più fronti e oggi non sta succedendo. Questo 19 marzo la premier Meloni ha polemizzato sull’idea di rivoluzione di Ventotene, ma si parlava di democrazia non di rovesciamento del sistema; date le tendenze nazionalistiche di oggi quelle idee sono ancora più attuali».
I popoli europei si sentono europei? Si sono mai sentiti europei? E oggi come vivono questa Unione?
«I sondaggi d’opinione sono chiari: molti europei vorrebbero più Europa. Opposizioni e tabloid cercano di raccontare che esiste un gap ma non è così. Poi è chiaro che i cittadini sentono un’appartenenza profonda al loro Stato o alla regione se non alla città, ma vorrebbero più interventi europei. Non esiste un “patriottismo costituzionale” come quello di cui parla Habermas (sociologo e politologo tra i fondatori della scuola di Francoforte, ndr), non ci si identifica nell’Ue o nella Commissione, che ultimamente sta facendo scelte profondamente divisive, penso al ReArm Europe per esempio, ma molti vorrebbero più presenza politica e sociale dell’Europa. In tedesco ci sono due parole per descrivere la patria: Vaterland e Heimat, la prima è la madrepatria in senso stretto, la seconda appartiene all’anima; noi dovremmo cercare una Heimat europea, i movimenti transitori, le istituzioni non ce l’hanno fatta a crearla. Per esempio la marcia per la pace Perugia-Assisi non è europea, è italiana. La “Vecchia Europa”, pacifista e costruttiva, che i francesi hanno invocato nel 2003 al momento dell’invasione Usa in Iraq, non esiste più ma i cittadini la rivorrebbero».
Proprio Jurgen Habermas ha scritto nel suo ultimo saggio L’Europa deve ballare da sola: “[Parlando di un’ulteriore integrazione europea] … non credo sia mai stata così vitale per noi come oggi. E mai così improbabile”. Cosa ne pensa? «Io credo sia un’affermazione troppo pessimista, non siamo ancora a questo stadio. Noi abbiamo bisogno di una “dichiarazione di indipendenza” da Washington; Kennedy nel 1962 parlava di interdipendenza, oggi non vale più, non se gli Stati Uniti producono documenti come il National Security Strategy dove ci descrivono deboli e incapaci. Ricordiamoci di essere le più avanzate democrazie del mondo e i migliori esempi di giustizia e protezione sociale che siano mai esistiti e ripartiamo per riunire le coscienze contro il nazionalismo e la tirannia».
Oggi una delle narrazioni dominanti vede l’Europa fuori dalla storia degli imperi, che si nutre solo di una dottrina economicistica, che vive fuori dal mondo, mentre Cina, Russia, Usa si spartiscono la Terra. Cosa ne pensa?
«Noi non siamo Stati autonomi, non abbiamo materie prime o minerali rari fondamentali, siamo costretti nella situazione in cui siamo. Dovremmo a mio avviso stringere partenariati con stati africani che rischiano di essere colonizzati dalla Cina per ragioni di risorse e aprirci alla Cina, ora che gli Stati Uniti stanno diventando un rivale, dovremmo ritrovare un’autonomia operativa che abbiamo perso delegando difesa e produzione».
Siamo in pericolo? Mark Rutte, Segretario Generale della Nato, ha appena detto che siamo il prossimo obiettivo della Russia, come Europa. È d’accordo? Questa potenziale minaccia giustifica il ReArm Europe e l’obiettivo al 5% del Pil in spese militari imposto dalla Nato?
«Io non credo ci attaccheranno, e dobbiamo anche capire che non serve spendere di più e basta: i paesi dell’Unione Europea sommati spendono in armi come Russia e Cina messe insieme, non abbiamo bisogno di più denaro ma di spenderlo meglio. Occorre investire nei rapporti tra forze armate, abbiamo 27 eserciti, 26 aviazioni e 23 marine che non si coordinano per davvero, dovremmo lavorare insieme senza comprare dagli americani, dovremmo pensare a strumenti di deterrenza per evitare la guerra a tutti i costi creando una sorta di Schengen per la difesa, solo così arriveremo a una reale autonomia».
Qual è il futuro dell’Unione Europea?
«Se non si cambia rotta si va dritti verso l’iceberg. Abbiamo quaranta mesi prima delle elezioni del 2029, bisognerebbe essere in grado di costruire forze costituenti che cambino le regole del gioco, che riportino le idee fondamentali al centro del tavolo, altrimenti, nella migliore delle ipotesi si rimane fermi, ma noi stiamo già vivendo un regresso».
La città di Faenza si prepara a celebrare i grandi traguardi internazionali di una delle realtà motoristiche più amate del territorio con una serata speciale. Martedì 16 dicembre, alle ore 18.30, il Cinema Sarti in via Scaletta 10, ospiterà l’incontro “Gresini Racing: un anno di emozioni da record”, appuntamento pensato per ripercorrere le storie e i successi che hanno caratterizzato la straordinaria stagione agonistica 2025 del team motociclistico faentino, con 33 podi generali ottenuti, 7 vittorie conquistate da Alex Marquez, divenuto vice-campione del mondo alle spalle del fratello Marc. La squadra faentina ha inoltre trionfato in altre, specifiche classifiche di grande prestigio, come quella del Miglior Team Indipendente. In aggiunta, i successi di Alex Marquez hanno permesso allo spagnolo di sollevare il trofeo di Miglior Pilota Indipendente, senza dimenticare quanto fatto dal suo compagno di squadra Fermin Aldeguer. Quest’ultimo, al suo esordio in MotoGP, è divenuto Rookie of the Year.
L’evento si svilupperà attraverso un’ora di racconti e approfondimenti curati dai protagonisti della scuderia, che offriranno al pubblico una prospettiva privilegiata sulla vita all’interno del paddock e sulle sfide affrontate nei campionati mondiali. Sul palco interverranno Nadia Padovani, Team Owner di Gresini Racing, insieme a Michele Masini, Team Manager del Team BK8 Gresini MotoGP, e Luca Gresini, Team Manager di ITALJET Gresini Moto2. La conduzione della serata sarà affidata al giornalista sportivo Boris Casadio, che modererà il dialogo tra gli ospiti e gestirà lo spazio dedicato alle domande provenienti direttamente dalla platea.
L’ingresso alla serata sarà libero fino ad esaurimento dei posti disponibili, offrendo così a tutti i cittadini e agli appassionati l’opportunità di vivere da vicino le emozioni di una stagione che rimarrà nella storia del motociclismo romagnolo.