Il ravennate che ha giocato nel Manchester: «Che ricordi con Ibra. E piacevo a Mou»

Il 21enne Luca Ercolani è passato al Carpi dopo quasi cinque anni nello United. Il suo racconto

Luca ErcolaniÈ tornato in Italia dopo quasi cinque anni, nell’ambito di una delle operazioni di mercato più surreali degli ultimi tempi, dal Manchester United al Carpi, al termine di un’esperienza che non dimenticherà mai.

Luca Ercolani, 21enne calciatore ravennate, ha appena lasciato uno tra i club più importanti al mondo, che lo aveva clamorosamente acquistato (quando aveva solo 16 anni) dal Forlì, dove era approdato dopo una serie di cambi di casacca nei settori giovanili della Romagna. La sua carriera è partita infatti da bambino nel Classe, per poi continuare nel Ravenna fino al fallimento del 2012, poi al Rimini e a Forlì. Ora è tornato in Emilia-Romagna, al Carpi, in serie C convocato per la sua prima partita tra i“prof” il 17 gennaio, scherzo del destino, proprio contro il Ravenna (battuto 4-2, ma con Ercolani, arrivato da poche ore, rimasto tutto il tempo in panchina, mentre ha debuttato il 20 gennaio contro il Matelica). «È la squadra della mia città e sarò sempre un suo “supporter” – ci dice al telefono Luca, non perdendo l’abitudine di utilizzare espressioni inglesi –, ricordo da bambino che andavo sempre a fare il tifo al Benelli…».

Ma parliamo di Manchester. Com’è riuscito a diventare realtà, un sogno del genere?
«Tutto è nato nel 2015, al termine di una partita del mio Forlì contro il Bologna. Uscendo dagli spogliatoi c’era un osservatore delManchester United a farmi i complimenti e invitarmi a pranzo con la mia famiglia. Poi i pranzi sono continuati, fino a quando l’osservatore non è riuscito ad avere il consenso del Manchester per un provino, nell’agosto del2015».

Non hai avuto paura? Avrebbe voluto dire lasciare la famiglia, l’Italia…
«No, anche perché ho avuto il tempo di prepararmi. Da quel primo contatto al trasferimento vero e proprio è passato quasi un anno, nel corso del quale circolavano voci anche di interessamenti da parte di altre società importanti come Sampdoria o Inter, ma non ho voluto neanche prenderle in considerazione, ero già orientato a fare questa esperienza di vita».

Com’è stato l’impatto?
«Il primo anno e mezzo è stato sinceramente bello tosto. Sono dovuto entrare nei meccanismi del calcio inglese, mettermi “alla pari”fisicamente. Dal punto di vista extra calcistico ho legato molto soprattutto con gli altri ragazzi stranieri. Ho vissuto “in famiglia”, a spese del club, insieme a ragazzi provenienti da Belgio, Slovacchia e Repubblica Ceca. È stato un modo per vivere davvero all’inglese e anche per diventare autonomi, ci preparavamo noi la cena, facevamo la lavatrice, eccetera. Nel frattempo frequentavo un college, dove il Manchester mandava tutti i suoi ragazzi stranieri. La lingua, comunque, la impari anche non volendo. E anche il campo aiuta molto».

Hai avuto modo di conoscere anche l’Inghilterra fuori dai campi sportivi?
«Sì, è molto diversa dall’Italia, a partire dal clima e dal verde. In generale un po’ “monotona” come paesaggio, per quanto bello. Quello che mi è piaciuto di Manchester in particolare è la sua multietnicità, qui tutti stanno bene davvero con tutti, non ci sono differenze. E poi spicca l’attenzione verso lo sport, sia come interesse, che come pratica. Anche nei periodi di lockdown più rigidi, lo sport all’aperto è sempre stato consentito».

Quali esperienze ti porterai dentro?
«Innanzitutto ho avuto la fortuna di viaggiare molto, in Inghilterra ma anche nel resto del Regno Unito. E poi ricorderò sempre il torneo a Dallas, in America, o quelli in Germania nell’headquarter dell’Adidas, nostro sponsor, o il ritiro tra le montagne dell’Austria…».

Quali pressioni comporta indossare una maglia tanto prestigiosa?
«La società non ci ha mai messo pressione, ma credo che se sei un minimo intelligente le pressioni arrivano da te stesso. E la fan base del Manchester fa il resto: ci scrivevano dall’Arabia, dall’Australia, dall’India, era davvero impressionante. Quello che mi ha colpito è che anche il tifo, là, non mette pressioni: il Manchester in questi anni non è stato vincente come in passato, ma nonostante questo si respirava sempre un clima di entusiasmo attorno alla squadra, di speranza e fiducia per il futuro».

Cosa ricordi degli allenamenti in prima squadra?
«Con Van Gaal (nel 2016, ndr) non ho avuto la possibilità ma con l’attuale allenatore (che è da fine 2018 Solskjær, ndr) e soprattutto con Mourinho ne ho fatti parecchi. Ero entrato un po’ nelle sue simpatie, diciamo. Mourinho scambiava sempre due parole con me, ogni volta che entravo in campo mi dava un segnale di attenzione, diceva a tutti “occhio che arriva l’italiano”, mi ha inquadrato come un difensore che non si tira mai indietro».

Ricordi particolari di quegli allenamenti?
«Uno fantastico: la prima partitina 11 contro 11, in cui mi sono ritrovato a marcare Ibrahimovic. L’altro che mi viene in mente invece non l’avevo ancora mai raccontato: ho creato mio malgrado un po’ di casino. Durante una partita di allenamento la mia squadra stava stradominando e contro avevamo un attacco composto dallo stesso Ibra, Rushford (talento anche della nazionale inglese, ndr) e Martial (vicecampione d’Europa con la nazionale francese nel 2016, ndr). Probabilmente il mio allenamento migliore di sempre in prima squadra. E così dopo il terzo, quarto, quinto tackle vincente contro Martial, dopo essere caduti insieme, lui si rialza e si arrabbia, mi viene addosso spingendomi e urlandomi di smettere di entrare in tackle. Si creò un po’ di scompiglio, non dico altro, al punto che Mourinho interruppe l’allenamento. Ricordo come tutti i compagni vennero a tranquillizzarmi, anche Mourinho stesso, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse di stare tranquillo. Martial si è invece scusato solo qualche giorno dopo».

Quali giocatori ti hanno stupito di più, tra i campioni con cui ti sei potuto allenare?
«Ibra mi ha stupito per quello che è, penso che sia sotto gli occhi di tutti. Non fa distinzioni tra giovani o esperti, ci tiene a fare sentire tutti importanti. Più in generale ho notato una caratteristica comune: la costanza che questi campioni mettono tutti i giorni negli allenamenti e la loro professionalità dentro e fuori dal campo. E poi sembra una banalità, ma fanno pochissimi errori. Mi piace citare anche Juan Mata (trequartista spagnolo ex Valencia e Chelsea, ndr), non solo come calciatore.È un grande uomo: ha molti interessi, legge molto, ha creato una fondazione per aiutare bambini in giro per il mondo; un vero e proprio esempio. Aiutava sempre i più giovani a inserirsi e per me in particolare è stato fonda-mentale. Mi ha emozionato tanto ricevere un suo messaggio vocale qualche giorno fa, quando è diventato ufficiale il mio trasferimento».

Hai rimpianti per non aver debuttato in prima squadra a Manchester?
«Sicuramente gli infortuni sono arrivati nei momenti sbagliati. Prima quello al piede, che mi ha fatto saltare i mondiali under 20 con l’Italia (nel 2019, ndr). E poi purtroppo quello al crociato del ginocchio, proprio quando le cose stavano andando bene e si stava prospettando per me la possibilità di esordire (e che di fatto gli ha fatto  invecesaltare la stagione 2019/2020, ndr). Una volta rientrato, non mi sono sentito così tanto aspettato dalla società, che giustamente ha fatto crescere e spinto nel frattempo altri ragazzi, che hanno fatto il loro esordio».

Da qui la decisione di tornare in Italia?
«Nell’ultimo anno a Manchester ho avuto appunto la sensazione che non mi stessero più spingendo, che non credessero più in me. Ho quindi chiamato il mio agente, gli ho detto che era stata un’esperienza magnifica ma che era arrivato il momento di giocare con i “grandi” (Ercolani infatti a Manchester giocava nel campionato nazionale giovanile, che in Inghilterra è un Under23, ndr). Gli ho detto che sarei stato disposto a interrompere in anticipo il contratto con il Manchester (che sarebbe scaduto la prossima estate, ndr) se fosse arrivata l’occasione anche di fare solo 10 presenze nel frattempo nel calcio professionistico…».

E così è arrivato il Carpi, in serie C, nonostante sembrava potessero esserci occasioni anche in B, leggendo i giornali…
«Mi hanno convinto il mio procuratore e poi le parole del direttore sportivo (Andrea Mussi, ndr), che mi hanno prefigurato prospettive molto buone. Credo che a questo punto del mio percorso non sia tanto importante guardare il campionato, che sia B o C, ma farmi rivedere. In Italia ormai stavo uscendo dai radar. E poi alla mia età e nel mio ruolo (difensore centrale, ndr) c’è bisogno di fare esperienza, di giocare partite. È una nuova sfida, con l’obiettivo certo di crescere di livello, anno dopo anno. Magari cercando di attirare su di me per la prossima stagione, o nel 2022, gli interessi di società di serie B. E poi chissà».

Prime differenze rispetto all’Inghilterra, sul campo?
«Sicuramente è quella legata ai risultati. Si capisce subito che i 3 punti qui sono importanti, vitali. Negli allenamenti tutti vanno ai 200 all’ora per cercare di raggiungere l’obiettivo, magari sopperendo anche alla minor tecnica. Questo sono convinto che mi farà crescere molto»

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