mercoledì
27 Agosto 2025

La garzetta che mangia dalle mani della pescivendola a Marina di Ravenna – VIDEO

L’uccello si è avvicinato senza timori, tra lo stupore dei passanti

È diventato virale il video registrato nel weekend a Marina di Ravenna, dove una garzetta – uccello della famiglia degli ardeidi (di cui fa parte anche il più noto airone) diffuso nelle zone paludose e in particolare nelle piallasse ravennati – si è avvicinata senza timori alle attività commerciali.

In particolare, l’uccello si è avvicinato alla pescheria Lucia, vicino al canale, mangiando pesce direttamente dalle mani della pescivendola.

Ecco il video.

Basket, la capolista Ravenna fuori dalla A1. Il sindaco contro la Lega: «Umiliante»

Proposta invece la promozione di Torino, capolista nell’altro girone della A2

Tifosi Basket RavennaRavenna non ci sta e contesta la decisione dei giorni scorsi dell’assemblea della Lega Basket Serie A, che ha scelto Torino come 18esima squadra del prossimo campionato di A1 di pallacanestro, oltre alle 17 che stavano partecipando a quello in corso prima dello scoppio della pandemia.

Torino era la capolista del girone Ovest di serie A2 ed è stata preferita a Ravenna, che allo stesso modo capolista lo era del girone Est. Decisivo il punteggio più alto in un ranking che prende in considerazione non solo meriti sportivi, ma anche criteri come quello del bacino d’utenza.

Ravenna, quindi, avrebbe possibilità di entrare per la prima volta nella sua storia nella massima serie del basket nazionale solo nel caso qualcuna delle altre 17 società decidesse di “auto-retrocedersi”.

Una decisione, quella dell’assemblea, che non è però andata giù a Ravenna. «È un’indecenza, una vergogna – ha dichiarato il presidente del Basket Ravenna “Piero Manetti”, Roberto Vianello –. E non dico che Torino non abbia i requisiti per salire di categoria, anzi forse li ha più di noi, ma le regole sono fatte per essere rispettate. Una delibera della Fip ha stabilito che entro il 15 giugno i club possono chiedere il riposizionamento e la Lega di A che fa? Sancisce un mese prima chi deve essere ripescato. È un atteggiamento arrogante e prepotente. Poi, se avesse comunicato i parametri del ranking, avremmo potuto in queste settimane presentare la nostra candidatura nel miglior modo possibile e invece niente. Ravenna è una piccola provincia ma non ci sta ad essere presa a schiaffi. Non voglio andare in paradiso a dispetto dei santi, ma non accetteremo passivamente un’ingiustizia del genere».

«Condivido pienamente la posizione del presidente dell’OraSì Ravenna Roberto Vianello in merito alla decisione della Lega Basket di assegnare al Torino il diciottesimo posto utile per partecipare al prossimo campionato di serie A – è invece la dichiarazione inviata alla stampa dal sindaco di Ravenna, Michele de Pascale –. Ravenna merita rispetto, siamo una città che crede profondamente nei valori dello sport, lo dimostra il lavoro straordinario delle tante società sportive, che rivestono un ruolo fondamentale nella nostra comunità, e anche l’impegno costante dell’amministrazione comunale negli investimenti sugli impianti sportivi. La realtà del basket ravennate è solida e sana e ha saputo coinvolgere in questi anni tantissime persone, giovani e famiglie che hanno partecipato con entusiasmo e fiducia alla crescita e all’ascesa della squadra. Quella della Lega Basket è un’accelerazione incomprensibile e umiliante, ci auguriamo sinceramente che si torni su questa decisione presa ad imperium e che l’OraSì Ravenna possa presentare la propria candidatura nel rispetto delle indicazioni contenute nella delibera della Fip che stabilisce che entro il 15 giugno i club possano chiedere il riposizionamento».

Punto per punto le regole in Regione, da rispettare fino all’8 giugno

Ecco le attività che possono ripartire e come comportarsi. Tutti i dettagli nell’ORDINANZA firmata dal presidente Bonaccini

Stefano Bonaccini Presidente Emilia RomagnaDi seguito, in accordo con il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’elenco delle attività che possono riaprire da lunedì 18 maggio, in seguito dal 25 maggio e dall’8 giugno, secondo l’ordinanza firmata  e divulgata ufficialmente questa sera 17 maggio dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.

Per tutti i particolari della normativa, in fondo al’articolo è scaricabile il documento integrale dell’Ordinanza regionale di 176 pagine.

Le misure adottate partono dall’attuale situazione epidemiologica del contagio da Coronavirus nel territorio emiliano-romagnolo, tale da consentire la riapertura e l’autorizzazione di diverse attività ma sempre nel rispetto del principio del distanziamento sociale. Così come bisognerà seguire le regole di prevenzione, igiene e protezione, a partire dall’uso della mascherina, il cui obbligo viene confermato dall’ordinanza nei locali aperti al pubblico e nei luoghi all’aperto dove non sia possibile mantenere la distanza di un metro.

Rispetto agli spostamenti, da domani cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all’interno del territorio regionale.

Inoltre, è ammesso lo spostamento anche al di fuori della Regione Emilia-Romagna, non oltre la provincia o il comune confinante, da parte di residenti in province o comuni collocati a confine tra Emilia-Romagna e altre regioni, previa però comunicazione congiunta ai Prefetti competenti da parte dei presidenti delle Regioni, dei presidenti delle Province o dei sindaci dei Comuni tra loro confinanti. Saranno queste stesse comunicazioni a circostanziare tali possibilità.

Sulla base dell’ordinanza, dal 18 maggio sono consentite le seguenti attività, sulla base dei protocolli regionali adottati:

  • commercio al dettaglio in sede fissa, commercio su aree pubbliche (mercati, posteggi fuori mercato e chioschi), agenzie di servizi (a titolo di esempio: agenzie di viaggio e agenzie immobiliari);
  • servizi di somministrazione di alimenti e bevande e attività, anche artigianali, che prevedono l’asporto e il consumo sul posto (a titolo esemplificativo: bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie);
  • servizi alla persona (barbieri, parrucchieri centri estetici, centri tatuatori e piercing) e attività artigianali;
  • attività ricettive alberghiere ;
  • strutture ricettive all’aria aperta;
  • tirocini extracurriculari a mercato, laddove il soggetto promotore, quello ospitante e il tirocinante concordino sul riavvio del tirocinio, ferma restando la possibilità di avviare o proseguire il percorso formativo con modalità a distanza. Il tirocinio in presenza deve essere svolto, in ogni caso, nel rispetto delle indicazioni tecniche e operative definite nelle linee guida nazionali o nei protocolli regionali previsti per il settore e per lo specifico luogo di lavoro ove si realizza l’attività;
  • apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio – biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali – nel rispetto dei principi contenuti nelle linee guida nazionali.

Dal 25 maggio sono consentite le seguenti attività, sulla base di protocolli regionali che andranno adottati (a eccezione degli stabilimenti balneari, per i quali è già stato approvato):

  • stabilimenti balneari;
  • palestre, piscine, centri e circoli sportivi, pubblici e privati, altre strutture nelle quali si svolgano attività sportive in forma singola o di squadra dirette al benessere dell’individuo attraverso l’esercizio fisico;
  • attività corsistiche (a titolo di esempio lingue straniere, musica, fotografia, nautica);
  • attività dei centri sociali, culturali e ricreativi;
  • attività dei parchi tematici, parchi divertimento, e luna park.
  • attività ricettive extralberghiere e altre tipologie ricettive. Queste strutture possono comunque esercitare l’attività dal 18 maggio nel rispetto dei principi contenuti nelle linee guida nazionali.

Dall’8 giugno 2020 sono consentite le attività dei centri estivi e per i minori di età superiore a tre anni, anche qui previa adozione del protocollo regionale.

Di seguito il documento integrale dell’ordinanza regionale (clicca per leggere o scaricare)

ORDINANZA 17 MAGGIO 2020 DECRETO N. 82 2020

 

 

Virus ancora attivo in provincia di Ravenna: riscontrati 5 positivi e un morto

Complessivamente in Emilia-Romagna prosegue un certo miglioramento con 50 nuovi contagi e 13 vittime

Tampone Covid 19Restano bassi, ma non mollano del tutto i contagi nel Ravennate: oggi se ne contano 5 in più e si registra anche una nuova vittima.

Per quanto riguarda i positivi si tratta si tratta di una paziente di sesso femminile e di 4 pazienti di sesso maschile. Uno di essi è ricoverato non in terapia intensiva, gli altri sono in isolamento domiciliare. Le positività derivano da contatti con casi accertati e contatti con altri territori.
La persona deceduta è una donna di di 88 anni.
D’altra parte si segnalano anche 4 guarigioni complete.
In totale, in provincia di Ravenna i casi di corononavirus verificati da inizio epidemia salgono a 1.012.

In Emilia-Romagna le positività riscontrate alle 12 di oggi 17 maggio sono 50 in più rispetto a ieri; 13 i decessi; 233 i nuovi guariti. I malati effettivi scendono a 5.656. Effettuati 2.832 tamponi, che raggiungono così complessivamente quota 261.106. I casi lievi in isolamento a domicilio sono 4.824 (-176), in diminuzione i ricoverati nei reparti Covid (-19) e nelle terapie intensive (-1).

«Ho rivisto le mie priorità tra essere donna, mamma, dottoressa, ricercatrice»

Il “diario” della lughese Laura Cristoferi in prima linea in Lombardia: «Questa emergenza ha unito i colleghi tra loro e i medici ai pazienti in un senso di solidarietà ritrovato o forse mai perduto, solo un po’ sbiadito»

Laura CristoferiLaura Cristoferi è un medico al quinto anno di specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente all’Università di Milano Bicocca e lavora all’Ospedale San Gerardo di Monza, uno degli ospedali più grandi della Lombardia, coinvolto in prima linea nell’emergenza da Covid 19. Inoltre, è studentessa al primo anno del dottorato di ricerca in Sanità Pubblica curriculum biostatistica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Nata a Lugo nel 1988, ora vive a Milano da ormai 5 anni. Le abbiamo chiesto di raccontarci le sue ultime settimane e ciò che vede e auspica nel futuro dopo Covid.

«Ero da poco rientrata dalla maternità e l’idea di riprendere a lavorare mi elettrizzava. La maternità è un cambiamento radicale nella vita di una donna ed è tra le emozioni più belle che abbia mai sperimentato, ma ero sicura che rientrare al lavoro mi avrebbe reso una mamma più completa. Amo profondamente il mio lavoro e tutto quello che gira intorno ad esso. Ero preoccupata per i ritmi serrati, per le numerose guardie; ero preoccupata che il mio bambino mi vedesse meno e che mi dimenticasse. Mi mancavano pochi mesi per diventare specialista in Gastroenterologia, ma da qualche anno avevo capito che volevo completare il mio percorso con un dottorato di ricerca perché non riuscivo a immaginare la mia professione senza la “benzina” della ricerca a tenermi viva ed entusiasta per quello che facevo.

Per cui mi sono detta: “perché non iniziare il dottorato di ricerca al rientro dalla maternità e mentre finisco la scuola di specializzazione?”. Quando lo avevo proposto a mio marito, anche lui ricercatore all’Università Statale di Milano, avevo notato in lui un po’ di preoccupazione, ma anche desiderio di non tarpare le ali ai miei desideri. Quando ho scoperto di essere stata ammessa al dottorato ero felicissima; dopo pochi mesi, a inizio gennaio, stanchissima. Mi ricordo chiaramente che una sera prima di dormire pensai: “se capita un qualsiasi imprevisto che richiede il mio tempo e le mie attenzioni sarà estremamente difficile riuscire ad affrontarlo”.

Quell’imprevisto è arrivato come un uragano nelle nostre vite a fine febbraio e le ha modificate profondamente. In quel momento rimanevo: dottoressa, ricercatrice, madre. O meglio: dottoressa, madre e ricercatrice. Non sapevo trovare un ordine di priorità. La mia priorità era sicuramente mio figlio, ma la vita mi imponeva ogni giorno di ridefinire la mia classifica. Quando arrivavo in ospedale e non c’erano dispositivi di protezione per vedere i malati diventavo madre per l’enorme paura di fare del male alla mia famiglia; quando aumentavano i letti a vista d’occhio e vedevo i miei colleghi stremati diventavo dottoressa; quando vedevo la gente morire senza poter fare più di tanto non volevo far altro che cercare di capire il perché e dedicarmi nuovamente alla ricerca.

In quei due mesi di inferno, il mio “inferno” più grande era definire quale fosse la priorità della mia vita. Poi arriva la notizia: quattro colleghi sono positivi al Sars Cov2 e sono febbrili; uno di essi condivide i 7mq. di studio con me e lo ha condiviso per settimane senza nessun tipo di protezione. Dovevo isolarmi, non potevo più condividere la casa con mio figlio e mio marito, era troppo pericoloso.
La madre va in panchina, scende in campo la dottoressa. Una settimana di turni massacranti, logorata dal senso di colpa di aver infettato mio marito, mio figlio e la babysitter; con la paura che da un momento all’altro mi chiamassero per raccontarmi di qualche sintomo insorto.  Dopo giorni di pianti e difficoltà, mi ero resa conto che definendo le tre figure da prioritizzare mi ero dimenticata di me stessa; se non fossi partita da me stessa sarebbe crollato tutto: la dottoressa, la mamma e la ricercatrice. Una donna, vicina ogni giorno all’esperienza della morte e dell’impotenza della scienza, non poteva stare lontano dalla sua benzina: la sua famiglia.
Per cui ho preso la decisione più difficile da quando sono madre, insieme a mio marito: meglio infetti che separati.

La dottoressa va in panchina: scende in campo la donna. Da lì è cambiato tutto: ho avuto la forza di andare avanti, di farmi delle domande, di trovare un po’ del mio tempo per tutti. Man mano che la dottoressa era meno necessaria mi trasformavo piano piano nella ricercatrice, pur continuando a fare la mamma e la moglie. Un collega un giorno mi ha detto: “impariamo quanto più possibile da questa esperienza, non viviamola con paura e negatività; usiamola per diventare migliori”. Era difficile, ogni giorno le amministrazioni mettevano a dura prova la nostra pazienza: chiamandoci eroi, ma non dandoci le armi per combattere, chiedendoci sacrifici senza la minima gratificazione. Il tempo per raccogliere dati e cercare di capire l’effetto del virus sui malati più fragili e con più patologie pregresse e per capire l’efficacia delle terapie era poco e di scarsa qualità perché viziato da stanchezza e vortici di emozioni. Le domande di ricerca erano tante e si affollavano ogni giorno nelle nostre menti ed era difficile prioritizzare anche quelle.

Ora che il vortice è passato, e stiamo vivendo (si spera) le ultime folate di vento, bisogna guardarsi in tasca e guardare cosa si è portato a casa.
Gli ambiti in cui è richiesto un cambiamento e i punti critici del sistema sanitario e universitario si sono resi evidenti agli occhi di tutti. Gli operatori sanitari, i ricercatori e la popolazione stessa penso e spero che vorrà delle risposte. Io ad agosto finirò la scuola di specialità e continuerò a fare ricerca dopo 13 anni di studio con 1.200 euro al mese e 1.200 euro l’anno di tasse universitarie da pagare con una grande speranza di cambiamento e di una nuova definizione delle priorità.
Un’altra grande speranza è il cambiamento interiore di ognuno di noi; questa emergenza ha messo in luce una ritrovata collaborazione tra colleghi, ha soffocato molti atteggiamenti lamentosi e poco produttivi e ha unito i colleghi tra loro e i medici ai pazienti in un senso di solidarietà ritrovato o, forse mai perduto e solo un po’ sbiadito.

Purtroppo, questo secondo aspetto passa attraverso il primo: se non verrà data alla sanità il ruolo centrale che merita nel nostro paese e non verrà riconosciuta la professionalità e il rispetto agli operatori sanitari e ai ricercatori in ambito sanitario, la frustrazione e conseguentemente il malumore e la scarsa empatia saranno sempre erbacce pronte a ricrescere e a minare quella che per me, è la professione più emozionante esistente».

Dal piano B di tracciamento alle fake news, la propaganda ai tempi del covid

Il deputato Albero Pagani sull’app Immuni e la necessità di reti 5G: «È opportuno essere prudenti, da lì passerà tutta la nostra vita futura»

App ImmuniAlberto Pagani, nato nel 1971, di Alfonsine, è deputato per il Pd, dopo essere stato eletto alle scorse politiche nel collegio uninominale di Ravenna. Da tempo ormai si occupa in particolare di sicurezza internazionale. Nel 2019 ha dato alle stampe Manuale di intelligence e Servizi segreti, edito da Rubettino.

Nel suo ultimo articolo per Europaatlantica.it parla dell’app Immuni evidenziandone le possibile criticità. Quindi il dispositivo non la convince?
«Leggo di persone che utilizzano quotidianamente Google, Amazon, Facebook, Instagram e Whatsapp e si preoccupano tanto della propria privacy in relazione ad Immuni. È ridicolo, hanno autorizzato l’utilizzo dei loro dati personali per scopi commerciali nel momento in cui hanno sottoscritto i relativi contratti per scaricare tutte le applicazioni che hanno sul loro smartphone, di quale privacy parlano? Non si rendono conto che hanno già messo loro stessi tutti i loro dati nella rete e che i gestori dei social sanno già tutto di loro e li conoscono più della loro madre? Immuni non trasmette a un database centrale i dati relativi alla geolocalizzazione e ai contatti dei singoli utenti. Sono informazioni che restano conservate nella memoria dello smartphone dell’utente e non usciranno mai da quel dispositivo se non ce ne sarà bisogno per ragioni sanitarie. Sono trasmessi e utilizzati solo quando si verifica un caso di contagio, e in quel caso è necessario in ogni modo ricostruire la mappa delle persone che il malato accertato potrebbe aver contagiato, per informarle, proteggerle e verificare come stanno, non per ficcare il naso negli affari loro. Quei dati sono solo un aiuto per ricostruire quelle informazioni che il malato può avere scordato. Io ho probabilmente più necessità ed obblighi di riservatezza della maggior parte degli italiani tanto preoccupati della loro privacy, per ovvie ragioni di lavoro, ma scaricherò tranquillamente la App Immuni e spero che sia utile. Onestamente però devo dire che temo che un eccessiva fiducia nella tecnologia possa deludere un po’ le aspettative, perché per dare un buon risultato bisogna che la utilizzi correttamente più del 60% della popolazione. Non ce li vedo proprio i miei genitori con il telefonino sempre in tasca e la app che ne traccia i contatti. Sono sicuro che quando mia madre andrà dalla parrucchiera o al supermercato se lo dimenticherà a casa. Spero di sbagliarmi, ma nella realtà c’è chi usa abitualmente più telefoni, ci sono le interferenze che possono far perdere contatti, c’è il problema che la tecnologia Bluetooth non geolocalizza con precisione, perché ha un raggio di azione di circa trenta metri, mente il virus si trasmette nei contatti più ravvicinati. Potremmo registrare così milioni di dati inutili, o ingannevoli. Poi come si gestiscono questi dati? Si fa il tampone a tutti? Non sono ostile ad Immuni, ma non credo che sia saggio puntare tutte le nostre fiches su questo strumento, che non abbiamo ancora provato e non sappiamo se funzionerà bene. Bisogna sempre avere pronto anche un piano B, nel caso il piano A fallisse».

Il piano B che prefigura è molto “old style”. In questa pandemia abbiamo tutti fatto un salto in avanti dal punto di vista tecnologico, dobbiamo aspettarci un “post” Covid invece improvvisamente basato sul “tracciamento umano”?
«Il tracciamento umano è la raccolta dati che siamo più abituati a fare, non è un ritorno al passato. Non esclude anziani o persone ostili alla tecnologia, è più sicuro, ma comporta un gigantesco sforzo organizzativo. Negli altri Paese si stanno organizzando così: gli Usa stanno cercando 100 mila tracer, cacciatori di contatti, la sola città di Londra ne recluterà 18mila. Il ministro Speranza ha ipotizzato 6mila esperti in tutta Italia. Io suggerisco di coinvolgere i sindaci e lavorare con le municipalità, che conoscono meglio di tutti le persone e le famiglie a cui erogano i servizi anagrafici, educativi e sociali. In Romagna, dove ci sono comunità piccole e coese, molto senso civico e istituzioni locali efficienti, sono sicuro che funzionerebbe bene. Si tratta di affidare alle municipalità, insieme alle aziende sanitarie e alla protezione civile, il compito di implementare un database regionale e gestire i contatti relativi ai contagi. Nelle città grandi e complesse come Roma o Napoli non lo so, probabilmente è più problematico. Sicuramente il tracciamento manuale sul piano della privacy è meno sicuro della soluzione tutta tecnologica, ma credo sia comunque più efficace e preciso e a me pare un ottimo piano B».

Alberto Pagani
Il parlamentare ravennate Alberto Pagani

Che mondo tecnologico immagina per il dopo soprattutto in termini di sicurezza dei dati?
«Il coronavirus ha spostato tante nostre attività quotidiane sul web. Le mie figlie seguono le lezioni scolastiche su piattaforme on line, mia moglie lavora da casa nello stesso modo, e come loro lo fanno milioni di Italiani. C’è stato un grande ed improvviso spostamento della nostra vita dal reale al virtuale, con un conseguente sovraccarico delle reti, che impone un rapido potenziamento tecnologico delle infrastrutture. Fibra ottica e tecnologia 5G sono diventati una necessità dell’oggi. Questo comporta il rischio di implementare le infrastrutture di rete in modo troppo affrettato ed imprudente. Se non saranno governate da una politica chiara tutte le Teleco acquisiranno certamente solo tecnologia cinese. Huawei offre sistemi di rete che costano meno e sono tecnologicamente più avanzati, per altro sono anche più compatibili con la tecnologia utilizzata, ma io credo che sia opportino essere molto prudenti. Non sono preoccupato dei furti di dati degli utenti, o delle truffe telematiche, perché sotto questo profilo la rete 5g è più sicura del 4g che stiamo usando ora. Ma non mi fido a consegnare le chiavi di casa a un vicino che domani potrebbe non essere ben intenzionato nei miei confronti. Sulle reti 5g passerà tutta la nostra vita futura, e le backdoors previste per le manutenzioni sono come le chiavi di casa, chi ce le avrà potrà accedere alla nostra rete e operare in modi che oggi non immaginiamo nemmeno. Se fosse male intenzionato le potrebbe usare per interrompere servizi essenziali, attaccare infrastrutture critiche, o spegnerci la luce e lasciaci tutti al buio per molto tempo. Chi possiede quelle chiavi se vuole può mettere in ginocchio il Paese. Un cyber-attacco di questo tipo può fare più danni di un bombardamento, o di un attacco militare tradizionale. È un rischio che siamo disposti a correre per risparmiare un po’ di denaro?».

Lei si è già occupato di cybersecurity, ma soprattutto di propaganda politica che sfrutta i social per diffondere fake news con mandanti che hanno mittenti internazionali e che minano le basi di una democrazia. Secondo lei la pandemia ha accelerato o rallentato questi processi?
«Ci sono studi su fonti aperte ed evidenze di pubblico dominio, non rivelo certo dei segreti o informazioni classificate se dico che in questi ultimi due mesi le cosiddette operazioni psicologiche di matrice russa e cinese hanno stravinto la sfida sui social network. Un uso sapiente di fake news, bot ed astute iniziative di propaganda sul web 2.0 hanno convinto molte persone ad avere più fiducia nei cinesi e nei russi che nei nostri tradizionali alleati europei ed americani. I rischi per la tenuta delle democrazie liberali, che erano già emerse in passato con il caso di “Cambridge Analytica”, oggi sono molto più evidenti e chiari anche a chi non li voleva vedere. Un uso sapiente di Big Data, intelligenza artificiale e neuroscienze permette una manipolazione molto efficace dell’opinione pubblica, che non era possibile con le strategie di influenza e la guerra psicologica del passato. Non è poi così difficile convincere l’opinione pubblica che tutta la politica fa schifo, che le istituzioni democratiche non rappresentano i cittadini, che i politici sono tutti uguali. Se il popolo crede che la democrazia non sia più il modo di governare che può risolvere i suoi problemi tutto il resto viene di conseguenza. Chi ha interesse nello scacchiere mondiale e diffondere dati falsi? Chiunque possa ottenere vantaggi dalle nostre scelte ed azioni, che sono influenzabili dalle fake news. Oggi sulla rete forse vediamo più bugie che verità, e la maggior parte degli utenti cade facilmente nell’inganno di un post falso, al quale dedica appena pochi secondi di attenzione, quando ha le sue difese più abbassate. Tuttavia se il messaggio è ben studiato suscita quell’emozione di rabbia o indignazione che resta facilmente impressa nel subconscio, e predispone ad accogliere altri messaggi, che rispondono a quei sentimenti di rabbia o di indignazione. Io stesso se vedo una notizia pubblicata su Facebook da un mio amico, che so essere una brava persona, sono più propenso a credere che sia vera che se la sento al Tg4, del quale diffido molto. Non ci penso e mi sfugge il fatto che il mio amico può aver condiviso in buona fede una bugia, creata ad arte per ingannare entrambi. Se una potenza straniera avesse interesse a distruggere la coesione europea, per avere poi degli interlocutori divisi e deboli con cui confrontarsi, e quindi più deboli dal punto di vista negoziale, dovrebbe fare proprio così. Dovrebbe convincere gli elettori europei a distrugge l’Unione Europea, rappresentandola cinica matrigna, per ripiegare su di una velleitaria ed impotente sovranità nazionale. Lo insegnavano già duemila anni fa gli antichi romani, che ai tempi dell’Impero dominarono il mondo di allora per mezzo del “divide et impera”».

Rete G5Come saranno modificati i rapporti tra le potenze mondiali dalla pandemia?
«Non lo so. Non sono un veggente. Nessuno lo sa perché il nostro futuro non è scritto negli astri. Dipende dalle nostre scelte. Se saremo così ingenui e stupidi da distruggere la coesione e la solidarietà dell’Occidente, che oggi è garantita innanzitutto dall’Alleanza Atlantica e dall’Unione Europea, saremo noi stessi a decidere il nostro declino. Oggi ci è chiaro solo che dopo cinque secoli è finito il dominio dell’uomo bianco sul Pianeta. Dal tempo delle scoperte geografiche e delle conquiste coloniali fino al concludersi del Novecento, la nostra piccola parte di mondo ha conquistato tassi di crescita e di benessere economico enormemente maggiore di tutti gli altri. Questo ha prodotto una gigantesca sperequazione, che ha arricchito una piccola parte di umanità ai danni della grande parte che restava povera. Che ci piaccia o no, con l’inizio del nuovo millennio questa storia è finita. Negli ultimi vent’anni le cose sono profondamente cambiate. La crescita di una parte di mondo che prima era povera ed ora è progredita con una velocità mai vista prima nella storia dell’umanità, ha reso obsoleto il vecchio ordine mondiale, fondato sul Washington consensus. Oggi, dopo lo sconvolgimento prodotto dal coronavirus, questo processo subirà probabilmente un’accelerazione forte. Non lo dico io, lo ha scritto Henry Kissinger in un recente articolo apparso su “The Wall Street Journal”, che ha suscitato un grande dibattito internazionale. Il nuovo Ordine Mondiale però non è ancora nato, e questa fase di incertezza comporta enormi difficoltà e pericoli. L’Occidente, che io chiamo mondo libero per distinguerlo dai regimi non democratici e non liberali, potrebbe partecipare da protagonista alla costruzione di un nuovo Ordine Mondiale, di pace e concordia. Oppure potrebbe subire passivamente quel che decideranno gli altri, e sarà proprio così se sarà debole e diviso. In questo caso dovrà subire le conseguenze della propria incapacità di leadership. Oppure potrebbe anche provare a resistere ai cambiamenti, per conservare i privilegi del vecchio mondo, ma questa sarebbe la soluzione peggiore, perché ci porterebbe con ogni probabilità verso un conflitto, con rischi enormi. E quanto influirà il fatto che l’Italia sia stato uno dei paesi più colpiti o perlomeno colpito per primo? Poco o nulla. Chi prima o chi dopo sono tutti colpiti, perché si tratta di una pandemia, che per definizione è un fenomeno globale. L’Italia, Paese di poeti e navigatori che da sempre amano viaggiare per il mondo, ha avuto la sfortuna di contagiarsi subito, e quindi ha dovuto affrontare la minaccia prima degli altri, e con meno tempo a disposizione per prepararsi ed organizzarsi. È chiaro che nessuno era preparato per affrontare un’emergenza sanitaria di queste proporzioni. Il covid 19 comporta un bisogno della terapia intensiva così grande che nessun Paese aveva una dotazione di posti letto adeguata. L’Italia ha avuto meno tempo di altri per organizzarsi, ma ce l’ha fatta ugualmente. Non siamo fuori dall’emergenza sanitaria, c’è sempre il rischio di una ripresa del contagio e di un secondo picco, come insegnano le esperienze storiche di pandemie del passato, ma fino ad ora siamo rimasti in piedi. Credo che ce la faremo anche in futuro. Adesso però bisogna pensare all’economia del Paese, che ha subito danni enormi. Bisogna riconciare a lavorare per rimanere robusti abbastanza da poter affrontare altre eventuali difficoltà, se dovessero disgraziatamente arrivare».

Cosa la preoccupa di più nel prossimo futuro? C’è chi dice che rischiamo addirittura l’assetto democratico…
«Nessuna conquista è per sempre, nemmeno la democrazia lo è. Il nostro assetto democratico è una conquista uscita da una guerra, che è costata molto dolore e sangue, ma non bastano i sacrifici dei nostri genitori e dei nostri nonni per garantirne la sopravvivenza eterna. Per avere la democrazia e la libertà bisogna prima di tutto apprezzarla e volerla, e poi bisogna anche meritarsela. Il bello della democrazia è che il popolo è sovrano. Il paradosso è che come l’ha conquistata può rinunciarvi, se fosse tentato dalla suggestione illusoria dell’uomo forte al comando, che risolve tutti i problemi al posto suo. Non penso a un ritorno del vecchio fascismo, che oggi sarebbe solo una patetica caricatura del passato, ma oggi esistono forme più sottili e raffinate di autoritarismo e di totalitarismo. È un rischio che corriamo? Certamente sì, perché la crisi sanitaria produce crisi economica, la crisi economica produce crisi sociale e la crisi sociale produrrà rabbia e rancore sociale. La storia ci insegna che i totalitarismi nascono sempre dall’atomizzazione della socialdemocrazia e dalla delegittimazione delle istituzioni democratiche. Lo considero un processo facilmente prevedibile e probabilmente inevitabile. Tuttavia il nostro destino lo decidiamo noi, con le nostre azioni, ed io credo che davanti alle tentazioni autoritarie, che già serpeggiano nella società italiana e che forse aumenteranno, la maggior parte delle persone penseranno come Winston Churchill, “che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”».

Dal 25 maggio via libera a palestre e centri sportivi, dal 15 giugno cinema e teatri

L’annuncio del premier Conte. Dal 18 maggio invece confermato il via libera per negozi, ristoranti, parrucchieri…

Teatro Alighieri Ph ZAN#513Da negozi, bar e ristoranti, che riaprono lunedì, fino a cinema, teatri e centri estivi che riprenderanno le attività il 15 giugno.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, snocciola l’elenco delle riaperture che caratterizza la Fase 2.

«Da lunedì 18 maggio riaprono i negozi di vendita al dettaglio, immaginiamo i negozi di abbigliamento e tanti altri, tutti i servizi e le attività legate alla cura della persona: parrucchieri, barbieri, centri estetici. Riaprono ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie, pasticcerie, pub. Il tutto a condizione che le regioni accertino che la curva epidemiologica sia sotto controllo e adottino protocolli di sicurezza. La stessa cosa vale per gli stabilimenti balneari», dice il premier.

«Riprendono anche le celebrazioni liturgiche, ovviamente bisognerà rispettare le misure anticontagio stabilite nei vari protocolli. Riaprono anche i musei, sempre con il rispetto delle precrizioni di sicurezza», prosegue.

«Dal 25 maggio abbiamo programmato la riapertura di palestre, piscine, centri sportivi, con protocolli di sicurezza. Dal 15 giugno riaprono teatri, cinema e sarà a disposizione dei nostri bambini un ventaglio di offerte varie a carattere ludico-ricreativo. Devo ringraziare ancora una volta gli enti locali per aver collaborato proficuamente all’elaborazione di queste offerte – afferma –. Anche in questo caso le Regioni saranno libere, assumendosene la responsabilità, di ampliare queste misure o restringerle. Tutte le attività commerciali dovranno attenersi a linee guida e protocolli di sicurezza: servirà cautela e attenzione da parte di tutti». (Adnkronos)

Appena due casi positivi oggi nel Ravennate. Il totale ha raggiunto quota 1.007

Segnalata anche una nuova guarigione completa. Complessivamente sono 170 le persone ancora in quarantena

Test CoronavirusProsegue la tendenza alla diminuzione dell’impatto del Covid 19 in provincia di Ravenna e in regione. Nel Ravennate oggi si registrano appena 2 nuovi contagi e fortunatamente nessun decesso. La positività al coronavirus è stata riscontrata in due pazienti maschi, entrambi in isolamento domiciliare. I pazienti hanno avuto contatti, per motivi di lavoro, con altri territori in cui è il virus è ancora maggiormente diffuso. Sono state comunicate anche una una guarigione completa e 2 guarigioni cliniche per le quali i pazienti si dovranno sottoporre a tamponi di negativizzazione. Sono circa 170 ad oggi le persone in quarantena e sorveglianza attiva in quanto contatti stretti con casi positivi o rientrate in Italia dall’estero.
Complessivamente nel territorio di Ravenna il numero dei positivi ha raggiunto quota 1.007 alla data del 16 maggio.

In tutta l’Emilia-Romagna si sono registrati 72 casi postivi in più rispetto a ieri, mentre le nuove vittime sono 17. I guariti segnalati sono 204 che portano a 17.370 le guarigioni mentre scendono a 5.582 le persone attualmente malate. Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 4.777 tamponi , per un totale di 258.274 test verificati dall’inizio della crisi sanitaria. I casi lievi in isolamento a domicilio sono 5.000 (-124). In diminuzione i ricoverati nei reparti Covid (-23) e nelle terapie intensive (-2).

Alla banchina Sapir attraccata la più grande nave mai transitata in porto a Ravenna

L’arrivo questa mattina del colosso Ro-Ro della compagnia Messina, lungo 239 metri e largo oltre 37 metri. FOTO

Nave Gigante PortoQuesta mattina, 16 maggio, è entrato in porto a Ravenna ed è attraccata nel terminal nord del Gruppo Sapir, un vero e proprio colosso del mare, «a memoria degli operatori è la nave più imponente mai entrata nello scalo ravennate» si legge in una nota stampa dell’operatore portuale.

Si tratta della “Jolly Vanadio”, 239 metri di lunghezza (280 con la rampa di poppa estesa) e 37.5 di larghezza, che appartiene alla flotta della Ignazio Messina, storica compagnia di navigazione genovese.
Varata nel 2015, rappresenta – con altre sette unità gemelle di proprietà del gruppo armatoriale, uno dei fiori all’occhiello della società Messina. Le navi, battenti tutte bandiera italiana, sono della tipologia Ro-Ro portacontenitori, fra le più grandi mai costruite al mondo, progettate interamente in italia e dotate delle più sofisticate tecnologie e impianti per la salvaguardia dell’ambiente certificate “Greenplus” dal registro Rina.

«La Italteam Shipping, l’agenzia marittima rappresentante a Ravenna della Ignazio Messina, ha individuato nel Terminal Nord – precisa la Sapir – la migliore opzione per il trasporto in Iraq di 30 sottostazioni elettriche prodotte a Lodi; si tratta di trailer di peso variabile tra le 30 e le 80 tonnellate. Il carico è completato da altri 20 colli, tra cui due presse prodotte dalla Sacmi di Imola, da 125 tonnellate di peso ciascuna. Le operazioni di imbarco saranno svolte lunedì con modalità ro-ro utilizzando carrelli della Compagnia Portuale».

L’imbarco è agevolato dalle particolari caratteristiche della nave e alla sua grande versatilità nel trasportare qualsiasi tipologia di merce (contenitori, rotabili, merce varia, project cargo, pezzi eccezionali, yacht…) e in particolare alla rampa poppiera, che ha una portata di 350 tonnellate e una larghezza di 12,5 metri.

«È un onore per noi lavorare con una compagnia così prestigiosa, che per la prima volta approda nel nostro porto – commenta Riccardo Sabadini, presidente di Sapir e di Terminal Nord –. Le nostre banchine ben si prestano all’accoglienza di navi anche di grandi dimensioni in quanto ne consente la manovra, essendo sito in un ampio bacino in prossimità dello sbocco del canale».

Anche il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale di Ravenna, Daniele Rossi ha commentato l’evento: «La movimentazione di carichi eccezionali, projectcargo, come quello di lunedì prossimo è una operazione portuale di indubbia complessità, non solo per le dimensioni non convenzionali ma anche per la tipologia ed il valore dei materiali che si trasportano. Il porto di Ravenna è storicamente in grado di effettuare questo genere di operazioni in assoluta sicurezza sia per le merci che per i lavoratori. E oggi dimostra di esserlo anche in questo momento, a riprova della capacità dei porti di mantenere la propria operatività ed essere in grado di tutelare la salute pubblica e continuare a garantire la massima sicurezza dei lavoratori e delle operazioni portuali, così come è stato fatto a Ravenna sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria legata al Covid 19.
Ciò è possibile perché nel porto di Ravenna si dispone di mezzi, tecnologie e soprattutto maestranze specializzate che hanno raggiunto un livello di competenza e professionalità nello svolgimento, anche di questo tipo di movimentazioni, del quale dobbiamo andare orgogliosi. Credo che l’arrivo, questa mattina, della Jolly Vanadio, e le attività che si svolgeranno nelle prossime ore, rappresentino, con più di 30 lavoratori impiegati e oltre 20 aziende coinvolte, un bel segnale di quale straordinaria leva il sistema portuale ravennate nel suo insieme possa rappresentare in futuro per la ripresa economica di questo territorio».

Nella gallery fotografica l’ingresso e l’attracco della Jolly Vanadio nel porto di Ravenna

 

Da lunedì spostamenti liberi in tutta la regione. E “basterà” il metro di distanza

Le principali misure in vigore dal 18 maggio, con il via libera ai protocolli delle Regioni

APERTURA MERCATO CONTADINO PARCO STROCCHI VIA VICOLI EMERGENA COVID RAVENNASpostamenti, autocertificazione, spiagge, ristoranti, parrucchieri. Ecco cosa si potrà e dovrà fare dal 18 maggio, oltre alle regole già stabilite come il distanziamento tra le persone e l’uso di mascherine nei luoghi chiusi (e all’aperto, in Emilia-Romagna, quando non si può rispettare la distanza di un metro).

Citiamo un’agenzia della Adnkronos, che ricapitola le principali misure.

A QUESTO LINK TUTTI I PROTOCOLLI VALIDI IN EMILIA-ROMAGNA

Spostamenti tra regioni e autocertificazione. A partire dal 18 maggio gli spostamenti delle persone all’interno del territorio della stessa regione non saranno soggetti ad alcuna limitazione (si potranno quindi tornare a frequentare anche gli amici, non solo i “congiunti”). Nessun limite dunque a spostamenti nelle seconde case se situate nella regione di residenza. L’autocertificazione resterà per chi voglia spostarsi in altra regione, ma solo per “compravate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”. Resta in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Nei ristoranti. Distanze tra i clienti ridotta a un metro, uso di mascherina quando ci si alza dal tavolo, stop ai buffet e lista delle prenotazioni conservata per ben 14 giorni. È quanto prevede la proposta unitaria approvata dal Governo, presentata dalle Regioni. (A QUESTO LINK TUTTI I PROTOCOLLI) La consumazione al banco è consentita «solo se può essere assicurata la distanza interpersonale di almeno 1 metro tra i clienti, ad eccezione delle persone che in base alle disposizioni vigenti non siano soggette al distanziamento interpersonale; detto ultimo aspetto afferisce alla responsabilità individuale».

In spiaggia. Un metro distanza tra le persone sulle spiagge, anche quelle libere. Stop ai giochi di gruppo, per evitare assembramenti e contagi, ok a racchettoni (in singolo), surf, nuoto e windsurf. Mentre per “gli sport di squadra sarà necessario rispettare le disposizioni delle istituzioni competenti”. In provincia di Ravenna gli stabilimenti balneari riapriranno il 25 maggio, ma dal 18 sarà possibile andare comunque in spiaggia.

Parrucchieri e centri estetici. Nel settore della cura della persona – servizi degli acconciatori, barbieri ed estetisti – sarà consentito l’accesso dei clienti solo tramite prenotazione, bisognerà mantenere l’elenco delle presenze per un periodo di 14 giorni e potrà essere rilevata la temperatura corporea, impedendo l’accesso in caso di temperatura maggiore a 37,5 °C. Bisogna dunque prevedere di “riorganizzare gli spazi, per quanto possibile in ragione delle condizioni logistiche e strutturali, per assicurare il mantenimento di almeno 1 metro di separazione sia tra le singole postazioni di lavoro, sia tra i clienti. Verrà eliminata la disponibilità di riviste e materiale informativo di uso promiscuo”.

In hotel. Nelle strutture ricettive alberghiere, complementari e alloggi in agriturismo potrà essere rilevata la temperatura corporea e bisognerà garantire il rispetto del distanziamento interpersonale di almeno un metro in tutte le aree comuni e favorire la differenziazione dei percorsi all’interno delle strutture, con particolare attenzione alle zone di ingresso e uscita.

Le sanzioni. Sanzioni da 400 a 3.000 euro per chi viola le regole, aggirandole. È scritto nella nota emessa da Palazzo Chigi dopo il Cdm che ha dato il via libera al decreto legge quadro. E che prevede anche lo stop delle attività da 5 a 30 giorni.

Confagricoltura lancia l’allarme per i raccolti cerealicoli, a rischio siccità

Preoccupazione per i produttori di grano, mais e soia con rese stimate in calo di oltre il 20 percento

Agricoltura SiccitaTempi duri per i produttori di grano, mais e soia dell’Emilia-Romagna, i cui raccolti sono a rischio per il perdurante periodo di siccità. Lancia l’allarme la Coldiretti che per voce del presidente regionale Marcello Bonvicini che dichiara: «Finora le piogge sono state poche e scarse, la grave emergenza siccità sta mettendo in allerta gli agricoltori, si stimano rese del grano in calo del 20-25% rispetto al 2019; probabile flessione anche nella produzione di mais causata dalla prolungata assenza di piogge».

Ma pare che il peggio possa capitare alle coltivazioni di soia per cui – secondo il responsabile del settore delle colture “proteoleaginose” Marco Faccia – «i produttori fronteggiano serie difficoltà perché la siccità ha complicato notevolmente sia le semine appena terminate che la primissima fase di crescita. E c’è il timore che rimanga incolta parte della superficie dedicata quest’anno alla coltura, pari a 38 mila ettari complessivi in Emilia-Romagna, di cui 25 mila solo nel Ferrarese, in aumento del 5% su base annuale, a dimostrazione dell’importanza e del ritrovato interesse nei confronti delle coltivazioni proteiche che sono indispensabili per l’alimentazione zootecnica: una reale necessità per il Paese che importa circa l’80-85% del fabbisogno di soia».

D’altra parte non va meglio per le aziende produttrici di grano duro e tenero su una superficie coltivata di 220 mila ettari circa, di cui si teme un crollo importante della redditività.
«Ci saranno rese più basse dovute all’apporto idrico insufficiente nelle varie fasi di sviluppo fenologico della pianta. Se non piove neanche nei prossimi giorni, verrà compromessa pure la fase di maturazione cerosa e il raccolto potrebbe ulteriormente ridursi – dice Lorenzo Furini, presidente dei produttori di cereali di Confagricoltura Emilia Romagna –. Male anche il mais, su 80 mila ettari coltivati in regione  (29 mila ettari nel Ferrarese; 16 mila nel Piacentino; 9 mila in provincia di Bologna; 8 mila a Modena; 6.5 mila a Reggio Emilia; 6 mila a Ravenna e 5 mila a Parma; infine mille ettari a Forlì-Cesena e Rimini) una coltura già penalizzata dalle quotazioni poco soddisfacenti dell’ultimo periodo, che hanno via via disincentivato i coltivatori spingendoli a convertire gran parte della produzione in mais da biomassa».

L’infermiere: «Siamo professionisti, non eroi. Devono cambiare gli schemi mentali»

«L’emergenza Covid ci ha ricordato che il diritto a essere curati non andrebbe sacrificato a logiche di budget»

Infermiere Covid
foto di repertorio

«Partiamo dal mettere in chiaro una cosa: non siamo degli eroi».
A parlare è uno degli infermieri dell’Ausl della provincia di Ravenna, che preferisce restare anonimo, e che contattiamo proprio nella Giornata internazionale dell’infermiere, il 12 maggio, quando il picco dell’emergenza Covid da queste parti è ormai passato da alcune settimane.

Se non siete eroi, cosa siete?
«Persone che hanno scelto una professione. Una professione che in un momento come questo ci espone a maggiori pericoli rispetto a un tempo per via della natura di questa nuova malattia. Questa pandemia ha portato via tante persone, e tanti operatori. Non è semplice convivere con questa prospettiva».

Inizialmente gli stessi ospedali sono diventai focolai, cosa ci ha insegnato il Covid?
«Il Covid ci ha imposto una cosa: per assistere persone malate, proteggendole correttamente dal virus, non servono solo mascherine e guanti, ma anche comportamenti corretti. Questa emergenza ci ha imposto di uniformare comportamenti più sicuri, anche attraverso l’applicazione di nuovi modelli organizzativi. Ci impone una serie di approcci e di schemi mentali radicalmente diversi rispetto a prima. L’esempio più facile è quello delle sale d’attesa negli ospedali: se prima ci si potevano trovare 40 persone, oggi ce ne potranno restare al massimo dieci, a distanza. E questo vuol dire che bisogna cambiare la logistica, l’organizzazione e distribuzione dei percorsi e, magari che non si potranno più fare certe visite solo al mattino, per esempio. Questo, ovviamente, vuol dire che serviranno più risorse. Ma nel frattempo, in attesa di capire se queste risorse ci saranno, è importante innanzitutto cambiare mentalità sforzandosi di trasformare questa tragedia anche in un’occasione per cominciare a pensare a come migliorare l’erogazione delle cure».

Come è cambiato invece il lavoro dell’infermiere in queste settimane?
«È cambiato perché è cambiata, principalmente, la percezione del rischio. I gesti che prima potevano essere naturali, oggi richiedono una serie di barriere che non c’erano. Le mascherine, i vari dispositivi, impongono anche una modifica nella comunicazione con il paziente. Con la mascherina siamo un po’ tutti uguali e questo all’inizio lo abbiamo accusato. In queste settimane inoltre credo sia anche emerso come il nostro lavoro sia molto più strategico di quanto molti pensassero. Ci chiamano eroi, ma fino a poche settimane fa erano frequenti le segnalazioni di maltrattamenti ai danni di operatori sanitari. Una cosa molto interessante è che è significativamente aumentata la consapevolezza che il bene salute e il diritto a essere curati non sono così scontati come si credeva e non andrebbero sacrificati a logiche di budget».

In provincia di Ravenna com’è la situazione organici?
«Il problema è nazionale e anche qui mancano infermieri. Quelli che ci sono hanno cercato di fare il meglio che era possibile, a discapito di ferie e riposi. E secondo me il risultato è stato veramente notevole, anche grazie a un clima di integrazione e collaborazione multiprofessionale».

E lo stipendio di un infermiere è adeguato?
«Direi di no, ma personalmente piuttosto che un aumento dello stipendio preferirei avere più garanzie di usufruire di ferie e riposi, un aumento della qualità della vita, professionale ed extra-professionale…».

Infermiere Esausto
La foto che ha fatto il giro del mondo dell’infermiera stremata all’ospedale di Cremona, pubblicata da “NurseTimes”

Infermieri si nasce o si diventa?
«Personalmente credo di esserci nato, perché non mi immagino altro che potrei fare, ma credo che lo si diventi nel tempo. È un lavoro che ti cambia radicalmente la traiettoria di vita, non è una missione, ma una professione che ti cambia la prospettiva con cui vedi e vivi le cose».

Com’è cambiato invece il lavoro nel corso degli anni?
«È cambiata la percezione della responsabilità che questo lavoro comporta. La nostra normativa di riferimento si è evoluta radicalmente perché volevamo essere professionisti e non più solo esecutori. Nasciamo come personale di supporto alla figura del medico ma negli anni ci siamo ritagliati un ruolo ben preciso, non solo assistenziale. È cambiato il livello di responsabilità e di competenze che devi imparare a sostenere. La cosa più difficile però è che contemporaneamente sono calate le risorse ed è aumentata la richiesta, con utenti più aggiornati e più competenti».

E come cambierà in futuro?
«Secondo me nei prossimi anni, decenni, la grande sfida sarà sempre più quella dell’assistenza sul territorio alle persone anziane, sole e pluripatologiche. Credo che in questa prospettiva la professionalità degli infermieri potrebbe fare una differenza fondamentale per la sostenibilità del sistema».

Il percorso formativo, in Italia, è adeguato?
«Posso solo dire che da qualche anno a questa parte noto con piacere che abbiamo studenti sempre più preparati. Rispetto a un decennio fa arrivano più strutturati, più pronti. Forse bisognerebbe lavorare maggiormente sulla componente della dimensione relazionale, aspetto che nel triennio di studi mi pare non trovi ancora uno spazio sufficiente, mentre è imprescindibile. Ma sono fiducioso! Questo aspetto avrebbe inoltre bisogno di una sorta di “manutenzione” periodica nel tempo, anche post laurea. La nostra professione è estremamente usurante e, mettendoti costantemente a contatto con situazioni stressanti, complesse e dolorose, rischia talvolta di impattare sul mantenimento di certe competenze relazionali».

Tornando a questi mesi di emergenza, ci sono storie che vi hanno particolarmente toccato?
«In generale stiamo avendo molti riscontri positivi da parte dei famigliari, contro ogni aspettativa. Hanno capito che tutto questo stravolgimento delle prassi è una forma di tutela non solo degli operatori, ma di tutti. E stiamo ricevendo tanti ringraziamenti, con una profondità e un tono che prima non c’erano. Da parte nostra, so di infermieri di Rianimazione che sono scoppiati in lacrime alla morte dei propri pazienti, o al contrario per la gioia al risveglio di altri. Tra i tanti episodi, cito quello riportato anche sul sito dell’Azienda di un’infermiera che non si è accorta di avere inavvertitamente attivato il telefono di un paziente e dall’altra parte il nipote ha potuto così “origliare”, rendendosi conto davvero della vicinanza degli infermieri, di come vada a colmare a volte degli spazi, la solitudine. Noi siamo consapevoli di questo fardello non trascurabile e tentiamo di non far mai sentire il paziente completamente da solo».

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