Quel campo da padel del ’94, l’idea di un odontotecnico che l’aveva visto in Uruguay

A Lido di Savio il nono in Italia. Tutto partì da Mauro Zanzi, un lughese appassionato di tennis: «Siamo arrivati troppo presto, ma avevo ragione: il gioco era destinato a piacere». Costò 36 milioni di lire, già in vetro mentre gli altri erano in calcestruzzo: promozione con filmati in Vhs

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Il campo da padel montato nel 1994 a Lido di Savio

Sembra la novità dell’ultima ora per gli sport con la racchetta in Italia, ma in provincia di Ravenna il padel c’era già trent’anni fa. Nel 1994 venne montato un campo da gioco, il nono in Italia secondo le cronache dell’epoca, accanto ai quattordici campi da tennis dello Sporting Club a Lido di Savio. «Forse ci siamo arrivati troppo presto», sorride il 55enne Mauro Zanzi che ricorda bene tutto: «Aveva già le pareti in vetro quando gli altri erano per lo più in calcestruzzo, costò 36 milioni di lire più Iva e il fondo era di cemento e non erba sintetica. Per montarlo ci chiesero altri cinque milioni e rispondemmo che potevamo farcela anche da soli. Così è stato, ma fu un’avventura: prendemmo in prestito le ventose da un amico carrozziere per sostenere i vetri…».

Zanzi è originario di Lugo e lavora come odontotecnico, il mestiere che già faceva all’epoca. Nel 1993 andò alla ricerca delle sue origini in Sud America: «Dopo la morte di mia madre andai a conoscere mia nonna che non avevo mai visto, era nata a Massa Lombarda ed era emigrata in Uruguay dopo la guerra. A Montevideo vidi molti negozi che vendevano delle strane racchette, pensai che fossero evoluzioni del beach tennis che si stava diffondendo in Romagna…».

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Mauro Zanzi in campo in una foto degli anni ’90

E invece dai parenti uruguaiani sentì pronunciare per la prima volta la parola “padel”: «Mi portarono a vedere i campi che avevano le pareti in muratura. Da loro era già uno sport comune, lo davano in tv». Zanzi, appassionato di tennis, si innamorò di questa versione giocata come un flipper e tornò in Italia con due racchette da padel pagate quasi cento dollari ognuna: «Era tantissimo per quei tempi e per gli standard dell’Uruguay. Infatti è davvero un peccato che siano andate perse».

Al rientro in patria il lughese scoprì che qualche pioniere già c’era in Italia: «Due campi con pareti in calcestruzzo in provincia di Vicenza, a Bologna c’era una federazione privata non riconosciuta dal Coni con un centinaio di iscritti ma senza campo». A quel punto la missione diventò solo una: montare il primo in Romagna. L’occasione arrivò quando una ditta abruzzese firmò una commessa per la realizzazione di un campo da spedire in Spagna, lo Stato europeo dove il gioco era già radicato: «Ne ordinammo uno anche noi per sfruttare uno sconto nella produzione e poi trovammo la disponibilità dello Sporting Club per installarlo grazie all’interesse di un maestro di tennis argentino che conosceva quel gioco». Zanzi si ritrovò addirittura a far parte della spedizione azzurra al Campionato del Mondo in Argentina nel 1994: «Ero là per la federazione e mi inserirono come riserva della squadra, perché non c’erano altri, mica ero un campione. Non ho mai esordito».

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Il campo di Lido di Savio

La passione è talmente tanta che Zanzi decide di metterci l’impegno massimo: «Non volevo avere rimpianti per non aver fatto tutto il possibile. E così lasciai il lavoro da odontotecnico e andai a lavorare allo Sporting, iniziai come barista e arrivai a direttore sportivo». Non c’erano hashtag sui social per diventare virali, la promozione di questo nuovo sport era tutta in salita: «Avevamo fatto una videocassetta Vhs con le riprese di alcune partite a Lido di Savio e la portavo in giro cercando di far conoscere il gioco. A qualche tennista piaceva quando lo provava, ma la concorrenza del calcetto in ascesa in quel periodo era troppo forte».

Nel 1995 però sembrava arrivata la volta buona: «A Bologna si doveva giocare il primo campionato europeo ma i campi non erano pronti e ospitammo la competizione a Lido di Savio. Mi ricordo l’arrivo della squadra francese in piena notte. Ci chiesero di vedere il campo e accendemmo le luci apposta. Non ne avevano mai visto uno in vetro e vollero giocare a tutti i costi. Non so come mai nessuno del campeggio vicino si sia lamentato per il rumore». In quell’occasione, per avere una seconda piastra di appoggio, venne costruito un campo con pareti in legno sulla pista da pattinaggio a Porto Fuori, dove nel 2016 arriveranno i campi da padel.

WhatsApp Image 2022 05 03 At 07.28.20Il campo di Lido di Savio diventa nomade. «Prima lo spostammo in un bagno al mare, poi andò a Bologna al circolo Torre Verde e infine San Savino di Fusignano nel 2001. E poi mi dissi che avevo fatto tutto il possibile e mollai il mondo del padel per tornare a fare l’odontotecnico». Vent’anni dopo Zanzi si gode la fioritura del movimento senza rabbia: «Non ho rimpianti e mi piace constatare che avevo ragione, era uno sport destinato a prendere piede».

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