«Renzi ci ha fregato» Il rottamatore Roccafiorita esce dal Pd

Il 38enne se ne va dopo vent’anni di militanza: «Dove sono merito
e pulizia?». Critiche al partito locale: «Ha sommato nuovi difetti»

Giuseppe Roccafiorita è stato uno dei primi renziani in città, uno dei fondatori dei comitati che appoggiarono da subito la scalata di Matteo Renzi al Pd in un territorio dove tutti, ma proprio tutti, erano bersaniani doc. Faceva parte di quell’esiguo gruppo di trentacinquenni che parteciparono alla prima Leopolda e diedero vita all’associazione politica Agora. Oggi, mentre anche in città (come lui stesso peraltro aveva previsto all’indomani della vittoria di Renzi all’ultimo congresso) sono ormai tutti renziani o quasi, annuncia che intende uscire dal partito. «Esatto, non rinnovo la tessera perché quella battaglia politica non è andata a buon fine, il Renzi di oggi che in effetti è all’apice del potere, non è il Renzi della Leopolda. All’epoca si parlava di meritocrazia, pulizia, futuro nell’azione di governo e nel partito e non mi pare che né al governo, né nel partito si sia visto nulla del genere. Dalla presenza di persone come Madia o Picierno, che non mi pare abbiamo molto di meritocratico, fino agli impresentabile nelle liste. Io non sono uomo per tutte le stagioni. Per ora mi dedicherò al mio mestiere (Roccafiorita è avvocato, ndr), almeno fino a che non ci saranno nuove sfide politiche interessanti a cui riterrò di poter dare il mio piccolo contributo, perché certo la passione politica, quella non è scomparsa».

Renziano appunto della prima ora, per Roccafiorita l’alternativa non può stare a sinistra del Pd, con Civati e Landini, né nell’attuale minoranza. «Tra loro ci sono molte persone che rispetto, per la passione e tradizione, ma credo che le loro idee siano perdenti. Nel partito adesso è in atto uno scontro tra una tradizione vincente, che è quella democristiana, e l’altra che non è stata in grado di stare al passo con i tempi e di capire e interpretare i mutamenti. Il problema è anche che Renzi ha molti nemici ma al momento nessuna alternativa. E personalmente aborro l’idea del Partito della Nazione».

La domanda a questo punto è inevitabile: ma quindi Renzi vi ha in qualche modo fregati? «Sì, si può dire di sì. Allora sapevo che, una volta vinta la battaglia tutti sarebbero diventati renziani, ma non pensavo che lui li avrebbe accolti a braccia aperte facendo del trasformismo una delle caratteristiche del Pd. E quello è stato forse il mio più grosso errore».

Il suo addio arriva dopo vent’anni di militanza (in cui è stato anche, dal 2001 al 2004, segretario provinciale della Sinistra giovanile), pochi giorni dopo la nomina di uno dei suoi compagni della prima avventura renziana, Roberto Fagnani, a coordinatore della segreteria provinciale, nominato dal segretario Michele De Pascale. Una coincidenza? «Io non voglio far polemica né litigare con nessuno, ognuno fa le proprie scelte e rispetto ogni posizione. Personalmente trovo che sul piano locale il partito non abbia cambiato difetti, ma semmai ne ha assommati altri: mi pare che ci sia una tradizione politica che tira le fila, attraverso anche il contatto diretto con Renzi. Non mi sembra il partito di persone libere e plurali. Rispetto ogni posizione. Ma un partito dove tutto è lecito purché si abbia il consenso del capo non è il partito in cui mi interessa restare».

E le amministrative per Ravenna tra un anno? «Vedremo che cosa maturerà da qui a un anno, se ci saranno le condizioni è chiaro che mi piacerebbe dare un contributo, trattandosi del governo della mia città. Attualmente però non vedo nulla di particolare in alternativa, sono sempre speranzoso che qualcosa succeda, ma non sta a me costruire adesso».

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