L’ex sindaco Mercatali: «La mia Ravenna senza disoccupati, tra chimica e happy hour»

Una chiacchierata in occasione dei 20 anni di Ravenna&Dintorni: «Cementificazione? Forse un po’ di metri cubi ce li potevamo risparmiare ma abbiamo fatto nascere la cintura verde. Marinara? Non ha funzionato perché è stato bloccato lo sviluppo di Marina»

Vidmer Mercatali Redazione R&D 2022

Mercatali nella redazione di Ravenna&Dintorni durante l’intervista

La Ravenna di vent’anni fa, vista con gli occhi del sindaco di allora, Vidmer Mercatali, era una città in piena espansione, in grado di raccogliere i cocci della fine dell’impero Ferruzzi e di rilanciarsi puntando in particolare sul turismo. In quegli anni si stava consolidando Mirabilandia e si sono poste le basi per l’apertura dello zoosafari, partivano i lavori per Marinara, mentre delle feste in spiaggia di Marina di Ravenna se ne parlava in tutta Italia.

Di questo e di molto altro, parla Mercatali, che ci fa visita in quella redazione che vent’anni fa aveva lui stesso inaugurato, ora «scamiciato», in veste di semplice volontario. «Porto in giro i “vecchietti”, cerco di ridare alla comunità tutto quello che mi ha dato».

73 anni il prossimo maggio, Mercatali è stato sindaco di Ravenna dal 1997 al 2006, quando si candidò poi al Parlamento e venne eletto senatore, carica che ricoprì fino al 2013.

«Ma la mia esperienza inizia nel 1993, in giunta con il sindaco e amico Pier Paolo D’Attorre: lì comincio a lavorare per la mia città. Per uno scherzo del destino D’Attorre muore nel giorno in cui divento sindaco, la mia prima uscita pubblica fu il suo funerale».

Pierluigi Bersani Vidmer Mercatali

Mercatali con Bersani

Che voto si dà come sindaco?
«Credo si debba guardare la città: come la si prende e come la si lascia. La mia storia inizia da assessore, con la mucillagine, le presenze turistiche crollate da 2,6 milioni a 900mila. Muore Raul Gardini, il gruppo Ferruzzi entra in una crisi repentina: la città vive la sua più grande crisi dal Dopoguerra. Viviamo 4 anni drammatici, ogni mattina chiude un’azienda, la chimica passa da 11mila a 3-4mila addetti. Rimettere in piedi una città così è complicato. Ma la lascio nel 2006 con la popolazione in crescita (passando da 134mila a 150mila residenti), che è poi l’indicatore principale per analizzarne lo stato di salute».

Qual è stato il segreto della crescita?
«Negli anni novanta abbiamo iniziato a investire sul turismo. Abbiamo aperto la città di sera, i negozi, i monumenti e poi la spiaggia. Abbiamo investito sulla cultura. In questo senso, il problema di Ravenna all’inizio degli anni novanta era non essere considerata una città internazionale; lo diventa però grazie al riconoscimento Unesco, a cui abbiamo lavorato per anni (siamo a fine 1996, quando Mercatali era assessore, ndr). Grazie ai fondi del Giubileo, poi, abbiamo valorizzato il Mausoleo di Teodorico, l’area della basilica di S. Apollinare in Classe. Subito dopo è nata la fondazione Ravennantica e abbiamo investito sull’ex zuccherificio…».

Oggi, Museo Classis. Finito spesso, insieme alla fondazione, anche al centro delle polemiche…
«Io credo che la fondazione sia stata una scelta giusta, come quella ideata per il Ravenna Festival. Era un modo per convogliare in ambito culturale le risorse di aziende e sponsor. Ora Ravennantica deve completare il proprio percorso, con il parco archeologico, e il museo deve già ripartire: non deve diventare un deposito come spesso capita in ambito archeologico, deve mantenersi sempre vivo, una sorta di centro di ricerca».

Negli anni ‘90 però, non fu certo solo la cultura a trainare la crescita. Arrivò Marcegaglia…
«Investimmo anche sulla re-industrializzazione, certo, arrivò Marcegaglia, ma anche la Fassa Bortolo, per dire. E grazie anche forse all’operazione più importante mai fatta: il colpo alla burocrazia. A Marcegaglia in 38 giorni noi concedemmo la licenza per un investimento da 600 miliardi di lire: Steno andava a dire in giro per il mondo che a Ravenna si poteva! Il cosiddetto spezzatino della chimica ha poi portato la nostra a essere una delle tre città in Italia con i più alti investimenti stranieri, le aziende del distretto diventarono appetibili per i grandi gruppi internazionali. Allo stesso modo, in quegli anni, abbiamo ridotto da 6 a 2 mesi i tempi di attesa per le concessioni edilizie».

Lei è stato in effetti accusato di aver cementificato Ravenna…
«Ma ci si dimentica che facemmo un’operazione mai fatta prima. A Ravenna in quegli anni non c’era la “cintura verde”. Noi invece abbiamo deciso che chi costruiva doveva cedere al Comune una parte della futura serie di aree verdi. Un esempio unico in Italia di cittadini che quando si sono fatti la casa hanno contribuito ai parchi della loro città. Ora, senza di noi, non ci sarebbe il parco Teodorico, il parco Baronio, il parco Cesarea…».

Inaugurazione Domus Tappeti Pietra 2002

Mercatali all’inaugurazione della Domus dei Tappeti di Pietra con il presidente della Repubblica Ciampi

Ma non si è costruito troppo?
«Non ho fatto io il piano regolatore (il Prg, che prevedeva anche i grandi parchi urbani, fu approvato nel 1993 ndr), sicuramente c’erano troppi metri cubi previsti. Noi abbiamo cercato attraverso vari regolamenti di ridurli. In passato, però, c’è stato un periodo in cui si pensava che la città sarebbe dovuta arrivare a 200mila abitanti. Fu un errore, Ravenna è questa, un po’ di metri cubi ce li potevamo risparmiare».

Dove non sembra essere accaduto granché, dal punto di vista urbanistico in questi 20 anni, è purtroppo in Darsena.
«Noi avevamo presentato il primo progetto, curato dall’architetto Boeri (il cosiddetto master plan Boeri, che prevedeva uno sviluppo urbanistico in altezza, con torri sul canale, e parchi pubblici, un po’ come il nuovo Pug, ndr) e resto convinto che l’idea sia vincente. Ma fino a che non si riuscirà a bonificare il canale, la Darsena avrà sempre delle problematiche. E si svilupperà davvero solo quando si incrocerà con un altro momento di crescita dell’economia».

Lei è ricordato anche per il sindaco degli happy hour di Marina.
«Ci inventammo un nuovo modo di vivere la spiaggia, che era già tra le più belle d’Italia. In quel periodo i genitori mi fermavano per strada per dirmi che grazie a quelle feste i loro figli non erano più costretti a mettersi in auto, per andare in discoteca a Rimini. Sicuramente c’erano storture che andavano sistemate, anche noi avevamo chiuso la Duna degli Orsi per disordini. Ma credevamo in quel progetto, nel divertimento come attrazione turistica. Negli anni successivi invece le idee sono cambiate (il riferimento è al sindaco Matteucci, celebre per la sua battaglia contro lo sballo e per aver di fatto stoppato il fenomeno degli happy hour, ndr)».

Marinara invece non è mai decollata. C’è chi parla di speculazione edilizia.
«Al contrario, noi abbiamo ridotto i metri cubi, abbiamo fatto modificare il progetto: in origine era previsto un palazzone che avrebbe chiuso ogni visuale del mare. A me Marinara piace e sfido chiunque a dire che non sia un bel porto turistico. Agli inizi ha contribuito a rendere Marina di Ravenna un’eccellenza in Italia per la vela, con competizioni di caratura internazionale. In quel periodo i prezzi delle abitazioni erano saliti quasi ai livelli di Milano Marittima».

Poi cosa non ha funzionato?
«L’espansione turistica di Marina di Ravenna si è bloccata. Senza più il divertimento in spiaggia, si è fermato anche il resto della località. Bisognava cercare di tenere insieme le due anime, crederci. Il sindaco dopo di me non ci credeva, ma non è una critica: ognuno ha le sue idee».

Marcatali Errani Matteucci DS PD

Mercatali con Vasco Errani e (sullo sfondo) Fabrizio Matteucci, suo successore a Palazzo Merlato

Una fotografia della Ravenna del 2002?
«In quel periodo c’erano quasi 4 miliardi di euro di investimenti in corso, grazie alle aziende e ai lavori nel comparto della chimica programmati negli anni novanta. Nel 2001, non casualmente, inizia il boom della popolazione. Il turismo vola, si torna a 3 milioni di presenze, non c’è disoccupazione; le aziende facevano fatica a trovare i lavoratori. Un boom. E anche la città si anima: ci inventiamo “Ravenna bella di sera” e fu una rivoluzione, per cui devo ringraziare anche i commercianti del centro, categoria non sempre vicina alla sinistra. Hanno avuto coraggio. Il giovedì sera a Ravenna non si entrava, dalla gente che c’era».

E oggi com’è Ravenna?
«Una gran bella città, in cui è ben visibile il segno della continuità del governo delle sinistre. In Darsena per esempio c’era la Sarom. Qualcuno pensava di farci un rigassificatore, anche nella maggioranza. O un deposito di gas. Noi quelle cose lì, invece, non le abbiamo mica fatte. Durante quegli anni, piuttosto, abbiamo lavorato per creare il nuovo potabilizzatore, per esempio, abbiamo completato l’operazione Ridracoli, abbiamo fatto nascere Hera, siccome le municipalizzate non erano più in grado di gestire le cose. Per non parlare dei servizi sociali. Ravenna è questa».

E come si rilancia ora, la città?
«Negli anni novanta, siamo partiti dalle “materie prime”: i beni culturali, le ricchezze ambientali. Credo ci sia ancora spazio per fare lo stesso. Il parco del Delta del Po ha ancora potenzialità inesplorate. Bisogna puntare sul rilancio del turismo, delle grandi manifestazioni. Ecco, poi riprenderei in mano il Mar, per dare al museo un ruolo più preciso, che ha un po’ smarrito. Noi affidando la direzione a Claudio Spadoni avevamo fatto una scelta chiara: magari non facevamo numeri clamorosi, ma eravamo riconosciuti in tutta Italia per la qualità».

Lei è stato da sempre molto legato anche al mondo dello sport e in particolare al Ravenna Calcio. Cosa ne pensa del nuovo palazzetto? Ci sarebbe bisogno di un nuovo stadio?
«Il nuovo palazzetto credo che serva più per mantenere in città l’Omc che per altro; non abbiamo più squadre di vertice per giustificarlo. Idem per lo stadio, ci abbiamo pensato, ma quando il Ravenna era in serie B. Per tornare a livelli nazionali resto dell’idea che in Romagna bisognerebbe fare squadra e unirsi, abbandonando i campanilismi. Sul tema calcio mi piace sottolineare che avevo sempre ritenuto la vicenda che ha coinvolto Gianni Fabbri (in quel periodo Mercatali era presidente onorario, ndr) una bolla di sapone e infatti è appena stato assolto (per il crac del Ravenna Calcio, ndr)».

Come giudica il sindaco De Pascale?
«Un bravo sindaco. Ha fatto un primo mandato positivo, ma è adesso, con il secondo, che deve dimostrare che sa concretizzare».

Com’è cambiata la politica in questi vent’anni? Il “partitone”, da queste parti, non sembra essere più quello che decide…
«I partiti, in generale, sono un’altra cosa. Sono partiti di opinione. Una volta le decisioni passavano tutte dal partito, in maniera collettiva. Oggi invece il “leader”, a tutti i livelli, ha un peso molto più importante. E ogni tanto si fa una riunione per informare “gli altri”».

E la politica nazionale?
«È commissariata, al momento, in Italia. Speriamo che esca dal commissariamento in piedi. Sarebbe importante che i politici e i partiti fossero tutti, dal Pd alla Meloni, consapevoli che c’è un problema democratico. I cittadini non hanno più fiducia, affluenze al 50 percento sono una vergogna. Anche il Pd deve farsi un bagno di umiltà e ricollegarsi ai cittadini, sfruttando magari le nuove tecnologie».

Rimpianti da ex sindaco?
«Non ne ho, e non serbo rancori. Me ne sono andato a testa alta, senza mai voltarmi indietro. Orgoglioso di quello che avevo fatto e soprattutto di una cosa: né il sottoscritto né gli assessori con me sono stati mai sfiorati da un’indagine. Facendo il sindaco non mi sono arricchito, la mia vita è cambiata quando sono andato in Parlamento semmai. Ma mi sono dovuto difendere ugualmente da voci infondate, in particolare per la vicenda di mio figlio, che ha avuto la fortuna di ottenere un vincita miliardaria all’inizio del mio secondo mandato. Depositata dal notaio, per chi lo mettesse in dubbio…».

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