lunedì
07 Luglio 2025
l'intervento

Esplosione metanodotto nel Vicentino: «Sempre più rischi per la sicurezza»

Il coordinamento ravennate "Per il Clima - Fuori dal Fossile": «Pensiamo alla Linea Adriatica, con tubi di un metro e venti...»

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Gallio Vicenza Esplosione
La casa incendiata a Gallio

Nei giorni scorsi una persona (l’ex medico del paese Luigi Rossato) è morta a Gallio, nell’altopiano di Asiago, per l’esplosione di un metanodotto a causa di una fuga di gas provocata da un escavatore impegnato nella posa di alcuni cavi nel sottosuolo. L’esplosione ha poi causato il crollo di un’intera abitazione.

Il coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile”, nel porgere le condoglianze alla famiglia, in una nota inviata alla stampa lancia quindi un nuovo allarme per «il soffocante reticolo di strutture deputate a perpetuare il mortifero sistema delle fonti fossili», che «comporterà sempre più rischi per l’incolumità e la salute delle persone, oltre che un legame sempre più stretto con la dipendenza dal profitto dei colossi dell’estrattivismo, anziché la costruzione dell’alternativa ecologica, fondata sul risparmio, l’efficientamento, il convinto e celere passaggio alle rinnovabili, il rispetto dei territori, del suolo e delle popolazioni».

«Si tenga conto che il gasdotto esploso è una conduttura di diametro di forse dieci centimetri, al servizio di una frazione abitata – continua la nota -. Ben altre dimensioni incontriamo se esaminiamo altre infrastrutture deputate al trasporto del metano: il gasdotto al servizio del rigassificatore che arriverà a Ravenna fra pochi mesi consiste in un tubo del diametro quattro o cinque volte superiore, che circonderà Ravenna per quaranta chilometri, passando anche in prossimità di abitazioni e in zone di pregio come i reperti archeologici di Classe. E ancor più, pensiamo al gasdotto della Linea Adriatica attualmente in costruzione, proveniente da sud (attualmente l’opera è ferma in Abruzzo) e che attraverserà diverse regioni, fra cui la Romagna e l’Emilia, percorrendo alcune decine di chilometri in territorio ravennate, un tubo di un metro e venti di diametro, che necessita di profonde escavazioni e di un “corridoio” di servitù della larghezza media di quaranta metri. Un’opera la cui utilità è quanto meno dubbia, dal momento che il consumo di gas da anni sta continuamente calando, e che comporta spese ingenti e un costo ambientale enorme (si pensi alla necessità di abbattere milioni di alberi, e danneggiare un’infinità di aree agricole, per fare posto al tracciato). Mentre i rischi di incidenti gravi (con buona pace di Snam che parla tranquillamente di opera  altamente sicura) sono ampiamente dimostrati da importanti eventi occorsi negli anni in varie strutture similari, in Russia, in Austria, in Iran e in altri luoghi ancora, comprese regioni del nostro Paese anche di recente».

«Mentre i cantieri della Linea Adriatica, senza rispettare la sentenza del Consiglio di Stato che indicava la necessità di ripetere le procedure di valutazione di impatto ambientale, continuano a sventrare le nostre campagne – continua la nota del coordinamento -, le istituzioni locali hanno fatto ben poco per rendere edotta la popolazione del reale impatto di quest’opera, e chi, come la Campagna “Per il Clima–Fuori dal Fossile”, ha cercato e sta cercando di svolgere un’opera di contrasto e di informazione si è scontrato contro un vero e proprio muro di gomma. Lo scorso sabato 28 settembre il nostro Coordinamento aveva in programma di tenere una manifestazione di protesta su uno dei cantieri della Linea Adriatica, quello che attraversa la Statale San Vitale nei pressi di Russi. Questa iniziativa non è stata autorizzata, adducendo opinabili motivi di sicurezza stradale. Per non innalzare inutilmente la tensione abbiamo responsabilmente deciso di annullare l’appuntamento, ma tutto si inserisce nel quadro di torsione autoritaria e repressiva in atto contro l’espressione del dissenso in generale, in linea con il Disegno di Legge 1660 (cosiddetto Decreto Sicurezza) e – guarda caso – soprattutto di chi si muove nell’ambito della giustizia climatica, forse perché i colossi dell’estrattivismo e i loro profitti sono i veri “padroni del vapore” della vita civile».

«Le istituzioni e le forze politiche locali farebbero solo bella figura (anche in vista di prossime tornate elettorali) se mostrassero la disponibilità a iniziare un ripensamento delle scelte fin qui compiute, e contemporaneamente avviare un ragionamento sulla necessità di una profonda trasformazione del mercato energetico, che trasferisca l’energia dall’ambito del profitto a quello dei beni comuni. È necessario un altro modello di produzione, distribuzione e gestione, decentralizzato, efficiente, basato soprattutto su impianti di energia rinnovabile di piccola scala, che avvicini la produzione al consumo, riducendo la necessità di grandi linee di trasmissione, e che preveda l’effettiva partecipazione delle comunità locali nei processi decisionali di pianificazione, senza danneggiare la salute delle persone  e l’ambiente».

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