Ai musei di San Domenico di Forlì una mostra d’eccezione per indagare il Cinquecento

La visita merita tempo non solo per alcune opere di Michelangelo, Correggio, Tiziano e Caravaggio, ma per la ricognizione sul periodo

1 Caravaggio Madonna Dei Pellegrini RID Copia

1 Caravaggio Madonna Dei Pellegrini

Prendetevi molto tempo per gustare la bella mostra dedicata all’arte del ’500 aperta fino al 17 giugno ai Musei di San Domenico di Forlì: non solo alcune delle opere in mostra varrebbero da sole la visita – esposti Michelangelo, Correggio, Tiziano e Caravaggio – ma la ricognizione voluta dal comitato scientifico d’eccezione condotto da Paolucci riesce perfettamente nell’intento di ricostruire quel periodo difficile che va dagli anni precedenti alla Controriforma all’alba del nuovo secolo. Se può spaventare la lunghezza dell’esposizione suddivisa in dodici sezioni e la presenza di artisti sconosciuti al grande pubblico, consigliamo di munirvi di una guida o un’audioguida senza perdere questa occasione.

La prima sezione allestita nella chiesa annessa ai musei illustra la situazione artistica italiana prima del Concilio di Trento a partire dai due modelli a cui nessun artista dell’epoca poteva sottrarsi: Raffaello e Michelangelo. Data la difficoltà di spostare opere dei due maestri la scelta è caduta su un famoso arazzo vaticano realizzato sui cartoni dell’urbinate con la “Pesca miracolosa” e alcuni calchi antichi dei “Prigioni” e del “Cristo portacroce” di Michelangelo, esposto assieme a una prima versione non portata a termine dall’artista. Nella navata si possono ammirare le opere degli artisti che si rifecero a questi modelli per tracciare percorsi differenti: chi rimase fedele al verbo di un classicismo rigoroso come gli scultori bolognesi Alfonso Lombardi e Antonio Begarelli, chi diede inizio a un approfondimento naturalistico come il bresciano Moretto, e chi infine, ispirato anche dagli esempi artistici del nord Europa, cominciò a imbastire un linguaggio anticlassico che paradossalmente superava i principi dello stile rinascimentale da cui era nato. Fra questi il Lotto, Beccafumi, Rosso Fiorentino e Pontormo, del quale si ammira una Sacra Conversazione in cui i due modelli – Raffaello per la sforbiciata delle gambe del Bambino e Michelangelo per le volumetrie e i colori tratti dalla volta della Sistina – vengono incalzati da un movimento e un’espressività che superano l’equilibrio rinascimentale. Altrettanto emozionante è la “Pietà” del Correggio, un’opera matura che accosta la dolcezza del modellato a una drammatica intensità espressiva quasi fiamminga. Più colta è la “Deposizione di Camaldoli” dipinta dal Vasari, il campione della corrente del Manierismo italiano che proseguendo l’anticlassicismo approda all’uso della “licenza” ovvero distorsioni, esagerazioni, complessità compositive e colori inusuali a scelta dell’artista.

Pontormo Sacra Conversazione

Pontormo Sacra Conversazione

Un busto bronzeo di Michelangelo introduce la sezione seguente dedicata agli influssi scaturiti dalle invenzioni dell’artista: alcuni disegni permettono di analizzare il suo interesse verso l’anatomia e gli studi per alcune opere scomparse mentre copie a disegno o dipinte di altri collaboratori restituiscono le sue invenzioni donate a Vittoria Colonna, l’amica scrittrice legata a un circolo vicino a tesi non pienamente ortodosse.

I testi di Juan de Valdés, religioso in stretto contatto con Erasmo da Rotterdam che fu a Roma e Napoli, costituiscono il filo rosso della sezione dedicata al movimento dei cosiddetti spirituali a cui si avvicinarono diversi artisti prima del Concilio di Trento: non solo Michelangelo e Sebastiano del Piombo ma anche Pontormo di cui in mostra sono i disegni preparatori per il ciclo di San Lorenzo a Firenze, poi scialbato a causa di un’iconografia eretica sul tema della giustificazione per sola fede. Gli influssi “tedeschi” criticati da Vasari non andavano solo in direzione di uno stile esageratamente nordico ma sottolineavano la mancanza di ortodossia.

L’azione della Controriforma si dispiegò non solo attraverso le precise indicazioni dei trattati sulle opere d’arte ma anche nella definizione di un linguaggio architettonico attento alle tesi conciliari. I protagonisti della quarta sezione in mostra sono gli architetti al servizio dei Farnese per i palazzi a Roma e Caprarola, a cui si aggiungono le progettazioni per gli spazi sacri che rinnovarono la concezione delle chiese in epoca postridentina come la Chiesa del Gesù e quella di S. Andrea in Vallicella a Roma. Abbandonate la varietà e le stranezze delle architetture manieriste, lo spazio sacro ripartiva da una concezione unitaria e fedele all’ortodossia: fra le regole troviamo l’utilizzo degli ordini classici e l’abbattimento di qualsiasi ostacolo visivo fra lo spazio riservato ai fedeli e l’altare.

Tiziano Paolo III E Nipoti CapodimonteNonostante la difficoltà per vedere i ritratti dei papi della Controriforma collocati sul pianerottolo nella quinta sezione che fa da svincolo fra i due piani della mostra, si riesce a sostare il tempo dovuto davanti ai busti di Paolo III e Gregorio XIII, scolpiti rispettivamente di Guglielmo della Porta e Alessandro Menganti. Al potere dei Farnese è dedicata la sala successiva che si apre col famosissimo ritratto di papa Paolo III coi nipoti di mano di Tiziano. Se le sole committenze farnesiane varrebbero un’intera esposizione, lo stesso si colgono in mostra alcune delle collaborazioni prestate alla potente famiglia fra cui emergono opere diverse come il bellissimo “Ragazzo che soffia su un tizzone” di El Greco o la pala della Pietà, eseguita da Federico Zuccari su invenzione del fratello, che anticipa il patetismo e la chiarezza compositiva richiesti all’arte dai lavori conciliari appena conclusi.
Le opere devono d’ora in poi essere i libri degli analfabeti e dei poveri, dei Biblia pauperum in grado di spiegare alle masse le verità della fede: la mostra illustra bene le norme di aderenza ai testi sacri, chiarezza didascalica, naturalismo e coinvolgimento emotivo che i pittori dovevano seguire nei soggetti da porre in ambienti religiosi.
Fra questi qualcuno rimane legato ai modi della Maniera, espunta dai più pericolosi intellettualismi, mentre la maggioranza degli artisti giunge perfino a espressioni talmente auliche e purificate da apparire fuori dal tempo, come nel caso delle opere di Scipione Pulzone o del teatrale ed empatico “Cristo bendato” di Gaspare Celio. Il registro emotivo rimane importante per numerosi artisti che riescono a superare le griglie del rigido controllo formale ecclesiastico: illuminanti, carismatiche, trascinanti sono le opere dell’urbinate Federico Barocci, fra i pochi a mantenere un forte registro teatrale senza apparire mai stucchevole o artificioso.

Altre due sezioni dedicate all’arte bolognese della seconda metà del ‘500 illustrano le strade differenti intraprese dagli artisti per convergere verso l’adesione al naturalismo e all’osservazione pre-scientifica: dai dipinti realistici alla maniera fiamminga di Bartolomeo Passerotti alle tavole degli artisti al servizio del naturalista Ulisse Aldrovandi, grande collezionista e osservatore di animali, pietre, erbe, si comprende quanto fosse stato preparato il percorso verso il realismo delle prime opere dei Carracci e dell’intero percorso di Caravaggio. Le opere del grande lombardo in mostra scoprono una fede popolare, umile e insieme teatrale, che emerge dal buio assecondando la metafora di uno scontro interno all’uomo fra parte spirituale e materiale che Michelangelo avrebbe probabilmente apprezzato.

“L’eterno e il tempo, Tra Michelangelo e Caravaggio”, Forlì, Musei San Domenico, piazza Guido da Montefeltro fino al 17 giugno. Da martedì a venerdì: 9.30 – 19 sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20. Lunedì chiuso. 2, 23 e 30 aprile apertura straordinaria

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