Apre la grande mostra di Forlì sull’autoritratto, da Tintoretto a Marina Abramović

Un saggio in immagini dall’Antico al Novecento. Dal 23 febbraio al 29 giugno a San Domenico

La Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e il Museo Civico San Domenico presentano la mostra Il Ritratto dell’Artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie (23 febbraio – 29 giugno 2025). L’esposizione, diretta da Gianfranco Brunelli e curata da Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, celebra il ventennale delle grandi mostre promosse dalla fondazione bancaria forlivese, in collaborazione con l’Amministrazione cittadina, iniziate nel 2005 con la rassegna dedicata a Marco Palmezzano.

Il percorso espositivo si sviluppa dall’ex Chiesa del San Giacomo fino alle grandi sale del primo piano che costituirono la biblioteca del Convento di San Domenico. Il progetto di allestimento e la direzione artistica sono a cura dello Studio Lucchi & Biserni.

«Il primo è stato Narciso, che guardandosi nello specchio dell’acqua ha conosciuto il proprio volto. Il primo autoritratto. Poi è arrivato il selfie – sottolinea Gianfranco Brunelli, Direttore delle Grandi Mostre della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì –. Nei secoli, ritrarre il proprio volto, la propria immagine è stato per ogni artista una sfida, un tributo, un messaggio, una proiezione, un esercizio di analisi profonda che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive, ma che rivela anche la maestria e il talento. Poi serve uno specchio. Timore, prudenza o desiderio, persino bramosia di guardarsi. Allegoria di vizi e virtù».

Il percorso espositivo si apre proprio con la sezione Il mito dell’artista. Narciso e la nascita del ritratto, animata da opere come il Narciso alla fonte del Tintoretto dalla Galleria Colonna di Roma, il Narciso di Paul Dubois dal Museo D’Orsay o il grande arazzo raffigurante Narciso firmato da Corrado Cagli della collezione del Senato della Repubblica, che ben rappresentano l’articolata riflessione sviluppata dalla mostra, che ambisce a svelare attraverso il tema dell’autoritratto la progressiva definizione della consapevolezza di sé dell’artista nella storia dell’arte. Si prosegue con Persona. Lo specchio, la maschera e il volto, una sorta di preludio alle sale successive, che raccoglie oggetti fortemente simbolici, come due splendidi Emblemi di maschere teatrali (10-50 d.C.) dal Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma. Accanto a questi manufatti anche alcuni specchi incisi riportano al tema della riflessione, di cui lo specchio, da oggetto privo di intenzionalità, diviene spunto di riflessione, simbolo e metafora. Il tema dello specchio, centrale a partire dal Medioevo, quando viene inventato il vetro riflettente (1250) da strumento diventa allegoria, e il volto specchiato, lungo tutto il Rinascimento, genera una lunga serie di allegorie – specchiata virtù, vanità, bramosia – spesso a soggetto femminile. Nelle due sezioni Allegorie dell’immagine – La prudenza, virtù specchiata e Vanitas/Veritas – troviamo dunque opere come l’Allegoria della Prudenza di Marcello Venusti e di Donato Creti o La Sapienza e la Prudenza del Rustichino, la Venere di Tiziano o Venere e Amore di Jacob de Backer.

Il tema dello specchio torna nell’autoritratto, un genere speciale di ritratto in cui l’artista rappresenta sé stesso e insieme il suo stato sociale, i suoi gusti, il suo mondo. Fra quelli in mostra, un nucleo proviene dalla collezione di autoritratti più prestigiosa al mondo, nelle Gallerie degli Uffizi a Firenze. Come l’autoritratto dell’artista possa assumere significati e farsi portavoce di istanze anche molto diverse è il tema al centro di “Ad acquistar nome”, anche in questo caso declinato secondo due prospettive: L’artista soggetto narrante e L’immagine di sé tra gli uomini illustri. Nel XV secolo per la prima volta gli artisti sentono la necessità di autorappresentarsi introducendo i propri ritratti in scene collettive, dove compaiono come commentatori del significato morale dell’opera o testimoni dei fatti rappresentati, scrollandosi di dosso il ruolo di semplice artigiano, come ad esempio nella Presentazione al Tempio di Giovanni Bellini. Nel Cinquecento invece, parallelamente allo sviluppo del genere biografico, l’autoritratto diventa un genere a sé, spesso accompagnato anche da una meditazione sull’esistenza e sul significato dell’arte, come in Testa di giovane con acconciatura del Parmigianino dalle Collezioni d’Arte Fondazione Cariparma, nel Doppio ritratto del Pontormo e in Autoritratto con spinetta di Sofonisba Anguissola del Museo e Real Bosco di Capodimonte. Nel XVII secolo prende piede la rappresentazione dell’artista nel suo ambiente di lavoro, nel momento della creazione artistica, una moda sostenuta dallo stesso collezionismo a partire dalla metà del XVI secolo, anche se l’artista resta in bilico tra intellettuale, ausiliare del potere, cortigiano, attore, buffone. È questo il tema affrontato nella sezione Trasfigurazioni dell’artista dove, accanto al tema del ritratto intimo e colloquiale si fa strada il modello dell’intellettuale gentiluomo, del pictor doctus. Qui incontriamo il disegno con cui un giovane Lorenzo Bernini si ritrae per la prima volta, Erodiade di Simon Vouet, alcune incisioni di Rembrandt, il Ritratto di Juan de Cordoba di Diego Velázquez dai Musei Capitolini e Artemisia Gentileschi da Palazzo Barberini.

Gli artisti del XVIII secolo sono i protagonisti della sezione L’autoritratto indeciso. Tra il bello ideale e il sentimento del sublime, che racconta di un crocevia di diverse linee di sviluppo del pensiero, tra idealità e storia, ragione e sentimento, tra la ricerca del bello ideale e l’irrompere del sublime. Nel suo autoritratto, proveniente dagli Uffizi, Anne Seymour Damer appone orgogliosamente la sua firma in caratteri greci, per affermare una cultura normalmente preclusa all’universo femminile e dichiararsi erede dei grandi scultori antichi.

Autobiografie. Le passioni e la storia racconta l’autoritratto con una valenza romantica, l’elaborazione di un mito dell’artista eroe solitario e profeta dell’arte. La generazione tra la fine del Settecento e i primi trent’anni dell’Ottocento si mostra in una sequenza di volti da fermo immagine, in un turbinio di eventi storici e emozioni, un’incredibile galleria di autoritratti che raccontano la ricerca dell’io fino all’arrivo della fotografia che se ne impossesserà. Paradigmatico in questo contesto l’Autoritratto di Gustave Moreau. Con l’aumento del soggettivismo, l’esito simbolista dell’autoritratto segna, complice la fotografia, la contestazione dei riti collettivi e la costruzione di una mitologia personale, tanto da giungere nel cuore del Novecento. L’Autoritratto di Juana Romani, la Testa di Medusa di Arnold Böcklin o l’Autoritratto con turbante giallo di Emile Bernard, sono alcune delle opere protagoniste della sezione Il linguaggio segreto dei simboli, mentre Autosmorfia di Giacomo Balla, Autoritratto con corazza di Armando Spadini accompagnano il pubblico nell’ultima parte della mostra con Narciso nello specchio del Novecento.

Nel XX secolo diventa importante la somma di tutte le immagini con cui l’artista cerca di farsi conoscere e di conoscersi, producendo un attento, continuo, quasi ossessivo studio di sé. Il Novecento scopre nell’orrore della propria storia, che l’uomo è l’enigma e il mostro. De Chirico – presente con Autoritratto nudo – si interroga, attraverso quella innumerevole produzione di autoimmagini, sulla natura dell’uomo e del mondo, assumendo l’enigma come cifra interpretativa dell’umano, con un esito inizialmente nichilista. E anche il Ritorno all’Ordine dei primi novecentisti – come nell’imbronciato Autoritratto di Sironi del 1908, con quella bipartizione tra «chiaro» e «scuro» in una luce senza calore, con la sua solenne sospensione neo-quattrocentesca della figura e del gesto – sembra cercare di ritrovare quella dispersa armonia tra l’uomo e la realtà. Conclude l’esposizione la sezione Il volto e lo sguardo, in cui troviamo declinazioni disparate della rappresentazione di sé, che spaziano da L’uomo nero di Michelangelo Pistoletto a Mario Ceroli che nel suo Autoritratto del 1968, proveniente dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati – Intesa Sanpaolo, si presenta con le sue classiche sagome di legno, in affinità dunque con gli altri suoi soggetti. In questa ultima sezione è presente anche Self Portrait, Submerged di Bill Viola e l’opera Ecstasy II dalla serie Eyes Closed di Marina Abramović che indaga come la rappresentazione del sé possa contenere anche un grido di dolore, la sofferenza sul viso dell’artista che diventa martire e simbolo dell’Umanità e dei suoi travagli.

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