La bella (e apprezzata) mostra di trenta grandi fotografe internazionali

Tra i nomi più noti Lee Miller, Gerda Taro, Tina Modotti, Letizia Battaglia, oltre trecento opere ai Musei San Domenico di Forlì per la collettiva curata da Walter Guadagnini. Un insieme di lavori e vite fuori dall’ordinario

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Uno scatto in mostra di Letizia Battaglia

Bella e molto apprezzata dal pubblico: un giudizio favorevole e lapidario apre questa recensione a Essere umane – allestita a Forlì e curata da Walter Guadagnini – una mostra che raccoglie circa 300 fotografie realizzate da 30 grandi fotografe internazionali, attive dagli anni ’30 ad oggi.

Cito fra i nomi delle più conosciute Lee Miller, Gerda Taro, Tina Modotti, Letizia Battaglia, Paola Mattioli, Lisetta Carmi ma in realtà tutte sono importanti e famose, tanto che i loro scatti in molti casi appartengono già all’immaginario collettivo come la madre di Dorothea Lange o i freaks di Diane Arbus. Ciascuna delle fotografe selezionate avrebbe avuto bisogno di maggiore spazio, di un’analisi più estesa dei lavori nella evoluzione artistica o nell’analisi della contemporaneità che spesso si dirige attraverso piani politici, intimistici, sociali, spaziando da uno sguardo dentro la propria casa (Silvia Camporesi) fino ad indagini ai margini del mondo conosciuto (Nanna Heitmann).

Occorrono tre ore circa per leggere in modo integrale le loro sintesi biografiche e professionali sul sito della mostra: tutte le fotografe meritano questo tempo che racconta di vite fuori dall’ordinario, spinte a rompere frontiere reali e sociali, ad affrontare momenti difficili come la II guerra mondiale, la grande depressione, gli anni di piombo in Italia, le lotte armate in Nicaragua o in Colombia, il mondo dei diversi in tutte le possibili estensioni, dai transgender e carcerati ai reclusi in manicomio, dai freaks agli emarginati del sottoproletariato urbano siciliano.

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Uno scatto di Gerda Taro

Impossibile parlare di tutte, per cui è possibile solo creare una ragnatela che unisce queste visionarie al di là di tempo, nazionalità e stile di lavoro. Alcune fotografe sono unite da un forte impegno politico che dagli scatti di Gerda Taro durante la guerra civile in Spagna rimbalza nelle foto in Messico di Tina Modotti – che proprio per l’attivismo scelse di abbandonare la fotografia – e trova eco nel lavoro contemporaneo dell’iraniana Newsha Tavakolian (1981) basato sulle vite e le figure delle donne militari dei gruppi rivoluzionari in Colombia, Kurdistan, Siria e Iraq. La tensione per la verità si estende a raccontare la povertà rurale degli Stati Uniti in Dorothea Lange dopo la grande depressione e il contrasto al razzismo negli scatti di Arnold Eve degli anni ’50, raccolti in un inaccettabile servizio su una sfilata ad Harlem poco prima che Eve dia attenzione a Malcom X e ai movimenti di rivendicazione afroamericana.

Fotografare per testimoniare: è quanto fa Letizia Battaglia coi suoi reportage sulla Sicilia degli anni più bui mentre il fotoreportage spinge Margaret Bourke-White ad assecondare una visione più eroica degli eventi. Al contrario, Lee Miller segue un istinto ironico e surrealista riprendendosi mentre fa il bagno nella vasca privata di Hitler ma mancano in mostra le sue immagini sconvolgenti all’apertura dei campi di sterminio. Ed è proprio questo registro ironico e agrodolce, contenente sempre sfida e critica sociale, a comparire anche nelle recenti immagini seppiate dell’iraniana Shadi Gadirian (1974), nella serie Afronauti della spagnola Cristina De Middel (1975), nelle immagini (non in mostra ma virali sulla rete) delle donne velate e nascoste da oggetti casalinghi della già citata Tavalokian.

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Uno scatto di Cristina De Middel

L’interesse della Modotti per la società matriarcale della regione messicana dello Tehuantepec viene raccolto da Graciela Iturbide (1942) che fra gli anni ’70 e ’80 dedica numerosi scatti alle donne della medesima regione.

Nonostante distanza di tempo e luoghi l’interesse per la figura femminile è un obbligo per molte fotografe ma dagli scatti complici e a disagio eseguiti da Ruth Orkin nell’Italia del dopoguerra si passa negli anni ’70 a una esplicita critica patriarcale nella serie Strippers di Susan Meiselas e al lavoro identitario profondo e politicamente consapevole di Paola Mattioli.

Va espresso anche l’interesse di molte fotografe verso gli ultimi – un’umanità agita che risulta l’unico aggancio al titolo un po’ stretto della mostra – che accomuna in modo transgenerazionale gli scatti di Lisetta Carmi (1924), Dayanita Singh (1961) e Zanele Muholi (1972) che registrano il mondo della diversità sessuale e di genere con partecipazione, affetto, complicità oppure viva rivendicazione.

In poche parole, la creatività femminile nel campo della fotografia di questi ultimi 90 anni appare più una galassia non liquidabile con una – se pur apprezzabile – collettiva: dopo le estese e meritate personali dei fotografi internazionali Erwitt, McCurry, Salgado e Scianna, il pubblico è pronto per veder approfondito il lavoro di qualcuna di queste grandi fotografe internazionali.

“Essere Umane. Le grandi fotografe raccontano il mondo”; fino a 30 gennaio 2022; Forlì, Musei di San Domenico; orari: martedì-domenica 9.30-19.

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