L’aviatore che visse tra due epoche: nella casa museo di Francesco Baracca

A Lugo, tra storia e fascinazione tecnologica. Da qui nasce il cavallino rampante della Ferrari, simbolo di un alter ego dell’Italia capace

SPAD VII Lugo

Nel 2018 saranno cento anni dalla fine della Grande Guerra e cento anni dalla morte dell’aviatore Francesco Baracca, l’asso del volo lughese a cui è dedicato un museo profondamente rinnovato nella concezione, ma non nell’affetto.
Sembra che Baracca sia stato una di quelle personalità destinate a farsi amare: già nel 1926 fu inaugurato il primo museo e il regime fascista gli dedicò più di un momento pubblico. Viene più volte ricordata la sua cavalleria, nei confronti degli avversari colpiti: segno del suo essere un giovane uomo a cavallo di due mondi, un ottocento ancora profondamente ancorato alla società delle maniere e un novecento che si era aperto, come ci racconterà poi con lucida chiarezza Hobsbawm, con la catastrafe epocale che si concluderà parzialmente con le bombe di Nagasaki e Hiroshima, sganciate dalle pance di aerei divenuti elemento comune nella guerra.

Baracca25

La polvere dell’interesse dello stato totalitario italiano per il giovane caduto ancora si trova sul suo nome e diventa difficile guardare con occhi storici la traiettoria di un pioniere dell’aeronautica. Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna ricordare che l’utilizzo degli aerei in conflitto fu una innovazione tutta ancora da perseguire durante la Grande Guerra, che rimase comunque nella sostanza una guerra di trincea e di posizione. Eppure i nomi di Baracca, del Barone Rosso, ovvero l’asso degli assi, morto qualche mese di prima del lughese, risuonano ancora come nomi mitologici di Icari caduti come coriandoli. Se il pilota tedesco si è meritato la fama passando anche attraverso il disegno di Schultz nei Peanuts (chi non ricorda Snoopy che lo emula…), quello del nobile aviatore romagnolo ha donato l’immagine all’intramontabile Ferrari.
Malgrado le varie versioni sulla forma originaria del cavallino rampante adottato sullo scafo, è storicamente comprovato che fu la madre del maggiore caduto ad autorizzare  Enzo Ferrari ad usare l’effige che Baracca aveva utilizzato sui suoi aerei. Così in qualche modo continua correre la sua immagine e ad essere presente nel mondo come alter ego di un’Italia capace

Aveva da poco compiuto 30 anni l’audace militare arruolato in cavalleria e finito a cavalcare sulle nubi quando scomparve durante una missione: per alcuni giorni il suo destino rimase un mistero, anche se era facilmente intuibile l’esito. E anche sulla effettiva dinamica dell’accaduto ci sono ancora alcuni dubbi, che difficilmente si potranno dirimere, visto che è passato l’aspirapolvere della propaganda fascista, interessata a creare un mito oltre il mito, a proprio uso e consumo. Che non poteva prevedere, ad esempio, che il giovane ustionato per evitare l’agonia si fosse suicidato con la propria pistola. E poi, non cambia molto: quello che c’è di questa traiettoria vitale è che il rampollo aitante e di buona famiglia aveva rotto gli ormeggi con il passato. Aveva rischiato e aveva conquistato un posto nella memoria non solo militare: la vita media di un aviatore durante la guerra del ’14-’18 era di tre settimane. Baracca resistette ben più a lungo, ma certo non poteva immaginare che nel giro di un secolo i suoi eredi avrebbero comandato sofisticati velivoli bellici da lontano. È quindi una sorta di figura anticipatrice, un giovane uomo nella cui breve traiettoria si leggono i presagi dei decenni a venire.

Quando si entra al museo di Lugo, riallestito nel 2015, nella vecchia sede alla casa Liberty della famiglia d’origine (dove si trova dal 1990), c’è lo  Spad VII S 2489, l’aereo francese dello stesso modello guidato da Baracca e restaurato nel 1990. Un cimelio piuttosto raro, che attira l’attenzione per la sua forma quasi archeologica, un dinosauro tecnologico, affascinante proprio per questa sua forma primaria. La fascinazione per l’evoluzione tecnologica è presente in tutto il piano terra: nella nuova visione espositiva curata da Ballestracci (che ha allestito anche la Casa Rossa di Panzini di cui abbiamo parlato in agosto), gli elementi quasi allegorici degli oggetti presenti (una vettura Ferrari, i resti del motore dell’aereo pilotato da Baracca, un FIAT G91Y che ci mostra un passaggio successivo dell’aviazione) ci conducono in un viaggio che sta nei sogni e nelle aspettative del lughese innamorato del cielo, raccontati nelle sue lettere e materializzati davanti a noi in forma di fossile.

Dicevamo che quello che rimane della vicenda dell’ufficiale è il mito: che viene evocato al primo piano, dove troviamo la ricostruzione della camera da letto, la voce di Franco Costantini che propone a intervalli le parole pronunciate da D’Annunzio sulla salma del giovane, mentre l’ultimo piano allarga lo sguardo dalla vicenda individuale a quella del paesaggio e a quella storica più ampia, non risparmiandoci le ombre lunghe della Grande Guerra. Manca ancora una parte di museo che verrà inaugurata in occasione del centenario e che vedrà ancora la mano e lo sguardo dell’artista Ballestracci dialogare con i fantasmi di questo recente passato. E se si vuole completare l’esperienza, osservare con attenzione la scultura di Domenico Rambelli e visitare la cappella sepolcrale del cimitero cittadino, decorata da Roberto Sella.

Aperto dal martedì alla domenica 10-12/16-18, chiuso il lunedì. Info:via Baracca,65 Lugo 48022 (RA). e-mail:  museobaracca@comune.lugo.ra.it – www.museobaracca.it

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