Dürer, l’artista che esprime il mondo del visibile e dell’invisible con l’incisione

Al Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo in mostra 120 opere del genio di Norimberga che per Erasmo da Rotterdam «valeva più di un maestro antico»

Natività Duhrer

“Natività”

Oltre 120 opere grafiche sono state raccolte al Museo delle Capuccine di Bagnacavallo per la mostra inaugurata il 21 settembre dal titolo “Albrecht Dürer. Il privilegio dell’inquietudine” a cura di Diego Galizzi e Patrizia Foglia. In attesa dell’arrivo della Madonna del Patrocinio – una tavola che rappresenterà l’unico capolavoro pittorico della esposizione che ritorna alla sede per cui era nata nel ‘500 ovvero il Monastero delle Clarisse Capuccine di Bagnacavallo (oggi il Museo che ospita questa mostra) – la visita permette di vedere un gran numero di incisioni di Dürer provenienti da varie collezioni provate e pubbliche italiane.

Per quanto la mostra appaia legata a tecniche meno conosciute al grande pubblico – bulini e xilografie – è proprio su questa grande esperienza dell’artista, nato il 21 maggio 1471 a Norimberga, che si basa il giudizio Erasmo da Rotterdam: per il grande umanista Dürer di Norimberga valeva più di un grande maestro antico come Apelle perché con semplici linee, senza usare nessun colore, riusciva a dare espressione al mondo del visibile e dell’invisibile. Il concetto potrebbe apparire criptico ma guadando bene le incisioni non si può che rimanere abbagliati dalla sapienza in cui l’artista tedesco riesce a rielaborare le forme naturali del mondo, superando le freddezze nordiche di cui si era nutrito nella prima formazione, per dare volto a un capolavoro come le immagini dell’Apocalisse di San Giovanni, il testo più difficile e spirituale dell’intera Bibbia.

Al di là dell’attesa dell’opera pittorica sopra accennata che arriverà da Parma a Bagnacavallo a metà dicembre, è il linguaggio grafico che costituisce la centralità del lavoro di Dürer, che esprimerà compiutamente il proprio genio rendendo questa tecnica completamente autonoma dagli altri linguaggi, innanzandola al livello della pittura. Non è forse un caso che il primo processo per i diritti d’autore venne intentato da Dürer contro un collega italiano, Marcantonio Raimondi, che aveva copiato le sue xilografie traducendole su rame rubando il monogramma “AD”. Il primo processo a difesa del copyright avvenne proprio a Venezia, nella città in cui l’artista si era recato per studiare meglio il Rinascimento italiano.

La permanenza in Italia, dove Dürer soggiornò due volte – la prima poco più che ventenne e la seconda già artista maturo – era stata stimolata dalle frequentazioni più care: fu l’amico umanista Willibald Pirckheimer a illustrargli le basilari scoperte del nuovo linguaggio italiano – dalla centralità dell’uomo al recupero della classicità, dalla prospettiva agli influssi della filosofia neoplatonica – spingendolo a superare il linguaggio ancora gotico che aveva imparato dal padre e dai primi maestri Michael Wolgemut e Wilhelm Pleydenwurff. In patria raffina l’arte xilografica, ovvero l’intaglio del disegno a rovescio su una matrice di legno che inchiostrata permette di realizzare numerose copie dal prototipo, ma l’indole curiosa dell’artista lo spinge a viaggiare attraverso la Germania del nord e l’Olanda. Vuole studiare presso il principe del bulino, Martin Schongauer, ma a causa della sua morte Dürer si metterà in contatto con i suoi allievi e a Basilea andrà a bottega da Georg Schongauer come illustratore. Nella prima sala della mostra di Bagnacavallo si possono vedere queste opere degli esordi fra cui alcune tavole incise per La nave dei folli scritta dall’umanista Sebastian Brant. Pubblicato nel 1493, il testo, che narra vari esempi della follia umana, presenta le illustrazioni di vari artisti: a Dürer appartengono alcune tavole che illustrano il gioco a carte in cui sono manifesti lo spirito moraleggiante dell’epoca, una grande capacità tecnica e una totale assenza di conoscenze prospettiche di cui l’artista non aveva ancora mai sentito parlare.

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Un particolare della Madonna che tornerà a Bagnacavallo a metà dicembre

Di questo periodo affascina l’utilizzo tutto nordico di figure fantastiche e grottesche – si vedano ad esempio le figure umane e diaboliche che affollano le scene delle “Cronache di Norimberga” precedenti al 1493 – debitrici dell’universo figurativo nordico ancora del tutto medievale. Di queste figure – di cui un buon pittore deve essere ricco “dentro”, come afferma l’artista – Dürer non farà mai a meno: nati sotto Saturno, gli artisti hanno questa prolificità di immaginazione che va tenuta a bada grazie alla tecnica, al lavoro, a un solido regime alimentare, altrimenti il rischio è quello di finire in preda ai propri fantasmi, come sosteneva il medico neoplatonico Marsilio Ficino.

Sarà dopo un primo viaggio in Italia nel 1495 che il maestro tedesco approfondirà alcuni fondamenti del Rinascimento come lo spazio prospettico. Al ritorno, aperta la sua bottega a Norimberga, Dürer dimostra di essere a conoscenza delle regole brunelleschiane e dell’antropocentrismo che applica nel mezzo grafico, tecnica prediletta perchè libera dai vincoli imposti dalla committenza ed estremamente renumerativa. Tra le prime incisioni di questo periodo compare la Sacra Famiglia con la libellula in mostra, in cui il ricchissimo panneggio della veste della Vergine tradisce l’osservanza alla tradizione gotica tedesca. Apparentemente non c’è nulla di italiano in questo piccolo e delizioso bulino anche se il collegamento fra figure in primo piano e il paesaggio – l’elemento che più sbalordiva i colleghi del nord – è in effetti uno dei motivi principali proposti dalla pittura veneta da Bellini in poi.

A questo stesso periodo appartengono le xilografie della serie dell’Apocalisse e della Grande Passione che rappresentano fra le sue più alte creazioni grafiche dell’artista. Scelto il formato verticale per raccontare le visioni di San Giovanni, Dürer impone un registro drammatico al testo religioso senza svincolare le figure da una corporeità visibile affidata ad un chiaroscuro plastico ottenuto tramite un tratteggio parallelo. La scelta tecnica apparentemente facile pretende invece una realizzazione complessa, che fino a questa opera era stata impiegata solo nell’incisione su rame. Questa tecnica, che comprende bulini e acquaforti, dava la possibilità di correggere gli eventuali errori, di dettagliare fin nei minimi particolari una scena e di operare sulla matrice con uno strumento più sottile e adatto ad evidenziare i chiaroscuri. Sarà proprio la serie xilografica dell’Apocalisse a decretare la fama di Dürer che saccheggiando il serbatoio fantastico interiore riesce a tradurre in scene reali le descrizioni spirituali del santo. La capacità dell’artista sta anche in questo dar vita all’invisibile, un’operazione che fino ad ora sembrava esser stata realizzata solo dalla visionarietà poetica di Dante.

INSEGNE DELLA MORTE Durer

Insegne della morte di Dürer

Non ha ancora terminato il lavoro dell’Apocalisse che il maestro si accinge a realizzare la Grande Passione, un’opera che può dirsi conclusa solo più di dieci anni dopo con la realizzazione del frontespizio. Gli influssi italiani sono evidenti in questa serie in cui i corpi risultano debitori delle conoscenze anatomiche rinascimentali e la fisicità plastica e monumentale è tutta italiana; di tutt’altro segno è invece la presenza di panneggi contorti gotici, dell’espressività irrinunciabile del mondo nordico, accentuata proprio grazie al mezzo calcografico. Lo stile di Dürer unisce qui due mondi in modo perfetto e armonico creando uno stile personalissimo, che prende il meglio da due interpretazioni artistiche diametralmente opposte.

Nella tarda estate o nell’autunno del 1505 Dürer riapproda in Italia: Venezia e Bologna, Firenze e Roma rappresentano alcune delle mete di un viaggio durato un paio di anni allo scopo di approfondire l’universo rinascimentale e in particolare lo studio prospettico che continuerà ad interessarlo per anni una volta rientrato in patria.
Ancora lontano dalla crisi religiosa che modificherà la sua visione interiore con l’avvicinamento alla predicazione luterana, le opere realizzate dall’artista dopo il viaggio in Italia e prima del 1519 – quando abbandonerà i soggetti umanistici per dedicarsi a scene religiose, al ritratto e all’illustrazione scientifica – rappresentano una summa magistrale del mondo umanistico dell’Europa del tempo. Senza disturbare la famossima Melencolia I su cui hanno speso pagine superbe studiosi come Warburg e Panofskij, basta osservare il San Girolamo nello studio eseguito nello stesso anno per rendersene conto: non solo il santo era il prediletto dagli umanisti del tempo ma lo spazio esattamente prospettico dimostrava la totale comprensione dell’antropocentrismo mentre lo studio della luce che entra dalle finestre e si riflette negli stipiti e nel soffitto è una delle traduzioni più affascinanti da quando il mondo fiammingo si era espresso per la verità della luce e quello veneziano se ne era fatto il diretto erede. La centralità dell’uomo è la chiave simbolica di questo universo destinato a scomparire poco dopo la morte di Dürer, in breve tempo.

Albrecht Dürer. Il privilegio dell’inquietudine, fino al 19 gennaio 2020, Bagnacavallo Museo delle Cappuccine; orari: martedì e mercoledì dalle 15 alle 18; giovedì dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18; dal venerdì alla domenica dalle  10 alle 12 e dalle 15 alle 19 (chiuso il lunedì e i postfestivi), ingresso libero.

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