Una mappa del contemporaneo a Ravenna per mantenere viva la memoria dell’adesso

Art and the City, curato e pubblicato da Danilo Montanari, porta all’attenzione una trentina di opere di autori come Alberto Burri, Mimmo Paladino, Giò Pomodoro e Invader nell’antica città dei mosaici

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Il cortile del tribunale di Ravenna la mattina del 2 marzo

Le statue di Giano bifronte presentavano due facce rivolte ai lati opposti: per i romani Janus simboleggiava l’anno passato che si apriva sul nuovo ma l’immagine avverte dell’importanza di non dimenticare ciò che è stato per le indicazioni sul futuro. Posizione difficile se a guardare nelle due direzione è non una persona ma un’intera città. Pensando a Ravenna, più volte si prova imbarazzo nei confronti di chi non ricorda ciò che è stato fatto – bene o male che sia stato – magari perchè il Giano di turno è arrivato o ritornato in città da poco o magari perchè, contando sulla memoria corta dei cittadini, in modo casuale o programmatico fa tabula rasa delle esperienze passate per segnare il cambiamento. Peggio quando dimentica per banale sciatteria.
A mantenere viva la memoria: è questo lo scopo principale del libro scritto e pubblicato da Danilo Montanari Art and the City che cita nel sottotitolo Ravenna contemporanea. Se non fosse un ossimoro – ricordare ciò che avviene, ora – si potrebbe pensare a un gioco concettuale; invece, con l’interesse per l’arte contemporanea che possiede da sempre, l’autore ha realizzato una guida che senza alcuna intenzione di catalogare propone all’attenzione di tutti le opere contemporanee sparse in città e appena fuori, alcune di queste realizzate da artisti noti a livello internazionale come Alberto Burri, Mimmo Paladino, Giò Pomodoro, Invader.
Dal bellissimo cavallo di Paladino davanti al Mar agli interventi di vari artisti al Parco della Pace, dal Grande Ferro R di Burri posizionato all’interno della recinzione del Pala De André fino ai pannelli musivi situati nel Piazzale Dora Markus a Marina, sono poco più di una trentina le opere o i luoghi con più interventi recensiti. Fra questi possiamo inserire alcuni lavori visibili e che già caratterizzano l’immaginario di Ravenna come testimoniano le foto su internet o sui depliant: è questo il caso dei gorilla nel cortile del Palazzo di Giustizia o delle bufale al pascolo nell’area verde davanti alla basilica di Sant’Apollinare in Classe eseguiti da Daniele Rivalta fra il 1998 e il 2012 grazie allo stanziamento tramite concorso del 2% riservato all’arte in caso di opere pubbliche. Ben evidenti sono la fontana Ardea Purpurea di Marco Bravura in Piazza della Resistenza o i dipinti di Cantafora nelle vetrate della sede universitaria sul lato di Via Diaz, un tempo sede del gruppo Ferruzzi, mentre risultano interventi quasi invisibili quelli di Nicola Carrino in piazza Kennedy, di lato alla gradinata di accesso all’ex Casa del Mutilato, o la fontana di Carlo Zauli nel giardino interno del vecchio ospedale, purtroppo ancora in attesa di restauri.
I lavori – che coprono un arco di tempo che va dalla metà degli anni ’70 ad oggi – non sono stati realizzati all’interno di un progetto complessivo come nel caso del Parco delle sculture di Santa Sofia le cui opere, collocate all’aperto dal parco cittadino al greto del Bidente, sono un’estensione del locale Museo di Arte Contemporanea. In quel caso infatti, il progetto senza soluzione di continuità segue l’idea originaria del 1993 di chiamare artisti, alcuni di grande richiamo internazionale, ad operare ispirandosi alla morfologia del territorio.
Diverso il caso di Ravenna dove le opere sono nate in occasioni e per committenze diverse: il Grande Ferro R di Burri fu voluto da Raul Gardini agli inizi degli anni ’90 grazie alla mediazione di Francesco Moschini, curatore d’arte, vincendo le resistenze dell’artista in cambio di una sponsorizzazione per la creazione della Fondazione Burri a Città di Castello. Il monumento a D’Attorre in piazza Gandhi, vicino a Porta Adriana, venne invece realizzato pochi anni dopo la sua scomparsa su richiesta del Comune: progettato da Mathias Bielher e realizzato a mosaico da Luciana Notturni con alcuni studenti della città, ha da sempre affascinato i passanti per la capacità di riassumere in pochi elementi – un soprabito, un libro e il cappello – la personalità del mai dimenticato sindaco di Ravenna. Ciò che unisce le due opere purtroppo è una storia di danni e incuria: il primo monumento è stato frequentemente danneggiato per sottrarne delle parti mentre il Grande Ferro ha subito un restauro imbarazzante, equivalente a stendere un colore improbabile su un dipinto di Raffaello.
Gli esempi negativi di inciviltà e pressapochismo potrebbero allargarsi a comprendere anche altre opere presenti nel testo, alcune invisibili, altre coperte da piante non curate, altre mai collegate all’illuminazione come richiesto fin dall’inizio dall’artista: a contrastare la mancanza di civiltà o la semplice diseducazione visiva vengono allora questo libro e l’intento del suo curatore che sta preparando una seconda edizione (la prima è già esaurita) probabilmente ad ottobre in cui verranno inserite anche alcune opere recentissime o sfuggite alla prima indagine.

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