Tessere per le tre dimensioni. «Riscopriremo la storia della scultura in mosaico»

Intervista ad Alfonso Panzetta, curatore della mostra “Montezuma, Fontana, Mirko” al Mar di Ravenna fino al 7 gennaio

Panzetta

Alfonso Panzetta

Afonso Panzetta è il nuovo “uomo del mosaico” di Ravenna: sotto la direzione di Maurizio Tarantino e in collaborazione con Daniele Torcellini, sta per inaugurare quella che sarà di fatto la mostra di punta della rassegna biennale di mosaico contemporaneo RavennaMosaico (in vari luoghi della città dal 7 ottobre al 26 novembre).
Non solo: con lui si apre il nuovo corso del Mar, il Museo d’Arte della città di Ravenna, che punta sulla scelta di curatori diversificati, fortemente specializzati ed esperti dei differenti ambiti indagati dai singoli progetti espositivi che via via si succederanno nel tempo.

Classe ’58, per metà salentino e per metà ferrarese, Panzetta è allievo di Enrico Castelnuovo ed esperto di scultura e mosaico, con una spiccata attenzione anche per le arti decorative e applicate. Prolifico e premiato saggista, è l’autore del Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

“Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi”, al Mar di Ravenna dal 7 ottobre fino al 7 gennaio, promette di essere una mostra a carattere enciclopedico… Com’è stato possibile collegare ambiti cronologici e geografici così ampi e disparati?
«In mostra saranno presenti ben 67 artisti di tutte le generazioni – fino ai giovanissimi – per circa 150 opere di ambito nazionale e internazionale e il percorso espositivo interesserà tutti e tre i piani del Museo. Sarà una mostra molto ricca di contenuti e con un focus storico molto preciso, rigorosamente basata su uno studio delle fonti. Indagherà in modo inedito la storia della scultura in mosaico dalla sua nascita – negli Anni ’30 – fino ad oggi, affrontandone le origini».

Mimmo Paladino1988

Mimmo Paladino, Vanità,1988

Com’è riuscito a risalire al “padre nobile” della scultura in mosaico?
«Attraverso una riflessione a ritroso: dalla tomba di Nureyev, passando dalla Transavanguardia, fino a Mirko e Fontana, mi sono chiesto quale fosse il modello. Ci fu un grande dibattito sul mosaico negli Anni ‘30 quando Severini lavorava ai “palazzi del potere” e a un certo punto compaiono le sperimentazioni tridimensionali di Fontana. E anche di Mirko, che fa riferimento ai modelli aulici del passato, ma non parla mai di scultura. Ho proseguito quindi gli studi nella direzione della Scuola romana e poi ancora dei primitivi e incrociando le fonti che parlavano di convegni sulle culture amerinde a Roma negli Anni ‘30, quando Mirko si trovava là, ho ipotizzato che dovesse aver visto quattro pezzi mosaicati rarissimi giunti al Museo Pigorini nel 1880. Ebbi successivamente la conferma della mia tesi in un articolo di Fortunato Bellonzi che attestava come le maschere di Mirko avessero fatto tesoro proprio di quei pezzi aztechi».
Come prenderà forma questo approccio dal punto di vista del progetto espositivo e dell’allestimento?
«Da un cortocircuito iniziale più creativo, in cui verrà accostata l’arte primitiva mesoamericana a quella di Mirko, si passerà poi a una sezione marcatamente curatoriale. Verranno messi in luce anche i diversi approcci alla tessera e la sua conseguente metamorfosi. Vedremo infatti chi interpreta materiali tradizionali in modo fortemente innovativo e chi, viceversa, si avvale di nuove materie riportandole a metodologie del passato. Ci sarà anche una parte “immersiva”: quindici passi in un caleidoscopio onirico firmato dal digital artist Giannella, ispirato alle opere del mosaicista Marco Bravura».

Albero

Adolf Wild, L’Albero della vita (La fontanella santa),1921

Una domanda forse retorica: perché una mostra così a Ravenna?
«Perché non è mai stata realizzata prima: la scultura in mosaico è un’arte giovane, esiste solo dagli Anni ’30 del Novecento ed è anche un tema fondamentale per l’arte contemporanea tout court. A Ravenna c’è un’importantissima tradizione dell’arte musiva: è qui che negli Anni ’80 fu realizzato un vero capolavoro della scultura in mosaico, il monumento funebre di Rudolf Nureyev che oggi si trova a Parigi. Inoltre il linguaggio musivo è fondamentale nella lettura dell’arte di oggi perché, se ci  si pensa, gran parte della produzione recente è concettualmente musiva. Alla Biennale di Venezia, ad esempio, è evidente come i temi dell’accumulo e della parcellizzazione, intrinseci al mosaico, ricorrano in moltissime opere realizzate con linguaggi differenti».
Se l’arte contemporanea è musiva e se il mosaico è un linguaggio che può avvalersi pressoché di tutti i materiali, qual è allora il confine? Dove si colloca la scultura in mosaico vera e propria?
«Il mosaico è un linguaggio con una sua poetica ben precisa, non è una semplice ricopertura della superficie, una “cosa rivestita”. Chi fa mosaico pensa prima di tutto in mosaico e dà forma a un pensiero che si traduce nelle potenzialità espressive della materia. Per quel che riguarda in particolare la scultura in mosaico, a questo si devono aggiungere le caratteristiche della scultura in generale, come la tridimensionalità. E per l’aspetto del contemporaneo si deve pensare – esattamente come accade nella scultura contemporanea – che anche la scultura in mosaico possa avere la forma, ad esempio, di un’installazione».

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