Un italiano nella New York di Keith Haring, per ripensare al senso della street art

Ai Magazzini del Sale, fino al 5 giugno, la mostra sul tragitto dell’artista Paolo Buggiani, con alcuni rari pezzi dell’esordio dell’artista-icona americano

Keith Haring Critica Alla Nudità 1982

Keith Haring, “Critica alla nudità” (1982)

Attenzione al titolo della mostra allestita ai Magazzini del Sale di Cervia: “Made in New York” non significa Keith Haring e nonostante il nome dell’artista compaia evidenziato sotto al titolo non significa che chi andrà in visita potrà vedere una monografica delle opere dell’artista-icona statunitense. Piuttosto vedrà alcuni suoi pezzi – di certo rari e interessanti, databili fra il 1982 e il 1984 – che sono stati raccolti e conservati da Paolo Buggiani, un artista italiano che ha vissuto e operato molti anni a NewYork.

Haring Lucky Strike 1987

Keith Haring, “Lucky Strike” (1987)

Di Buggiani, nato a Castel Fiorentino nel 1933, sono presenti in mostra numerose opere che illustrano gran parte del suo interessante tragitto artistico dagli anni ’60 fino ai lavori più recenti, eseguiti agli inizi del nuovo millennio. Il secondo sottotitolo dell’esposizione – la vera origine della street art – è ancora un po’ fuorviante: troppo pochi i pezzi in mostra degli artisti che hanno dato inizio a questa tendenza per legittimare la comprensione della “vera origine” del movimento. La mostra tutto sommato riesce ad illustrare il tragitto artistico di un italiano a New York in anni di creatività underground infuocata, dando dei flash su alcune personalità del tempo.

Fatti i dovuti chiarimenti, qualche informazione aggiuntiva è necessaria: la mostra non parla del graffitismo che è un fenomeno databile alla fine degli anni ’60, quando i treni di Philadelphia si coprono di scritte multicolori ad opera di giovani spesso anonimi, ostacolati e ricercati dalle forze dell’ordine. Qualche anno dopo la tendenza riaffiora a New York mescolandosi alla cultura hip-hop. Giunge all’apice nei primi anni ’80 evidenziando alcune differenze: alcuni utilizzano il writing puro (scritte), oppure le tags (firme) oppure frecce e veri e propri disegni (Aereosol Art), talvolta mescolando queste forme di espressione e utilizzando il mezzo comune delle bombolette spray. A testimonianza della varietà delle forme espressive si possono vedere in rete il film Wild Style di Charlie Ahearn e il documentario Style Wars di Tony Silver, entrambi del 1983, che registrano il repertorio visivo e musicale della cultura hip-hop. I ragazzi che praticano i graffiti – sono afro e bianchi, maschi e femmine, soli o in gruppo – non mirano a diffondere messaggi politici precisi: desiderano lasciare il proprio segno, amano sfidare il sistema senza imbracciare parole d’ordine precise, vogliono solo lasciare testimonianza della propria identità e cultura.

Nel giro di questi anni, e siamo nel 1980, comincia ad apparire a New York una sorta di evoluzione del graffitismo che comprende le Letter Racers di Rammellzee – ex writer sui treni – spesso assemblate su skateboard e telai in movimento alimentati da macchine elettriche. Se Rammellzee – assente in mostra – raccoglie oggetti di scarto nelle strade di New York per creare maschere e armature, Keith Haring dal 1982 inizia a lasciare i propri disegni nella metropolitana. Individuati come Graffiti Logo, sono tracciati col gessetto bianco sui fogli neri apposti sugli avvisi pubblicitari scaduti o sui margini delle locandine pubblicitarie. Rispetto al graffitismo precedente, il mezzo è indubbiamente diverso ma anche il contesto e il messaggio: Rammellzee non abbandona la cultura hip- hop d’orgine che pratica anche in musica ma amplia la dimensione del lavoro nell’interazione con la metropoli. Haring invece è interessato a comunicare con la massa anonima della città lasciando messaggi che veicolano una visione del mondo politica, anche se in senso allargato secondo una deriva molto più pop. In mostra possiamo vedere ad esempio questi primi e rari interventi di Haring nell’underground che presentano già l’inconfondibile immaginario visivo dell’artista per una diversa rappresentazione del sociale o per apostrofare ad esempio gli stereotipi sessisti della pubblicità massificata.
In effetti è forse questo il passaggio a una delle caratteristiche rivendicate in mostra come segno distintivo della street art, ovvero la necessità di lanciare un messaggio anonimo e visibile a tutti che prenda però una precisa posizione: politica in senso allargato.

Questo almeno per la street art di quegli anni a New York in cui opera Jenny Holzer – in mostra con una opera – con messaggi dichiaratamente politici: fin dal 1977 Holzer attacca abusivamente i suoi Truism – volantini scritti a mano con frasi secche che danno spunto alla riflessione dei singoli – negli spazi pubblici di Manhattan. Sono anni in cui gli spazi pubblici abbandonati della metropoli vengono occupati temporaneamente da numerosi artisti per mostre, installazioni, messaggi, performance in una totale libertà rispetto al mercato o alle gallerie. In questa versione più ampiamente politica entra anche la produzione di Buggiani che realizza vere e proprie performance metropolitane, stupefacenti per l’impiego di metalli di recupero con cui realizza macchine infuocate o crea personaggi urbani vicini all’immaginario cyberpunk di tendenza in quegli anni. Un breve filmato che raccoglie le sue performance in pieno centro a New York o l’esposizione delle sue sculture metalliche di animali, macchine volanti e armature rendono pienamente la libertà di creare nuove mitologie urbane.

Ogni nascita ha il suo racconto mitologico di fondazione e la mostra è interessante per ripensare allo sviluppo della street art così come la vediamo oggi sui muri della vecchia Europa, fra chi come Banksy (e tanti altri/e) prosegue una definita linea politica e chi semplicemente lascia il proprio segno identitario, talvolta senza sfuggire alla trappola di un facile decorativismo a parete.

“Made in New York. Keith Haring (subway drawings). Paolo Buggiani e la vera origine della Street Art” – Cervia, Magazzini del Sale (Torre) – fino al 5 giugno. Orari di apertura: dal lunedì al giovedì 10-20; venerdì e sabato 10-23; domenica 10-21. Ingresso 12 euro.

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