Se i libri fanno bene anche al Pil: «Dove si legge di più si è più intelligenti»

Piero Dorfles alla Settimana del Buon Vivere sui benefici della lettura, che rende la nostra vita più ricca, in tutti i sensi

Dorfles

In molti lo conoscono come il compassato giudice dello storico programma Per un pugno di libri su Rai 3. Ma Piero Dorfles, triestino classe ’46, è soprattutto un grande intellettuale, che ha dedicato la sua vita alla promozione della lettura in un paese di analfabeti funzionali. Dorfles sarà a Forlì il 25 settembre per la Settimana del Buon Vivere: alle 9.30, nella chiesa di San Giacomo, terrà una lezione aperta alle scuole intitolata “Libri che rendono più ricca la nostra vita”.

Nel 2014 per Garzanti era uscito un suo libro dal titolo quasi uguale. Che cosa intende quando usa l’aggettivo “ricca”?
«Il termine è vasto, contiene l’aspetto spirituale e materiale. Inutile dire quanto la lettura possa arricchirci spiritualmente. Essendo un fatto individuale e silenzioso, non sorretto né da immagini né da altri fenomeni che vengono prodotti su di noi e non da noi alimentati, la lettura lascia grande spazio alla fantasia del lettore. Quando leggiamo non ci limitiamo ad assorbire storie, atmosfere, personaggi, contraddizioni, amori, ma li alimentiamo con la nostra fantasia, siamo stimolati ad arricchirli di ciò che avviene dentro di noi».
Per quanto riguarda la parte materiale?
«Una statistica dice che nei paesi dove si legge di più, il Pil cresce di più. C’è una coincidenza perfetta tra la lettura e la crescita economica. Nei paesi del Nord Europa, dove quasi il 50% della popolazione è composto da lettori forti (da noi purtroppo fermi al 7%) c’è un Pil più alto, e l’aumento del numero dei lettori fa progredire anche il Pil. In un paese dove si legge di più si è più intelligenti, si hanno più idee e più strumenti per combattere le competizioni della globalizzazione. Secondo un’altra statistica interessante, i figli delle famiglie che hanno più di 100 libri in casa producono un reddito doppio degli altri. In breve, hanno più successo».
Si calcola che il 45% dei cittadini italiani legga solo un libro all’anno. Quali errori commette l’educazione italiana secondo lei?
«La formazione è un sistema integrato che comprende famiglie, scuole e strumenti di comunicazione. Nessuno di questi è votato a far crescere la lettura perché nel nostro paese il suo valore non è considerato centrale. A scuola la lettura è una pratica tollerata, ma soprattutto non studiata. Non c’è un processo di avvicinamento, c’è piuttosto un’imposizione. Questo è sbagliato: tutto ciò che è imposto è sgradevole. La lettura è un processo di affinamento di una competenza tecnica, che va acquisita spontaneamente, senza sofferenza. Spesso la scuola impone la lettura come una materia di studio, ma non può essere così: la lettura è una capacità, come imparare a nuotare».

SETTIMANA DEL BUON VIVERE: L’INTERVISTA A PUPI AVATI

La cultura migliora l’uomo o è soltanto un nostro pio desiderio? Pensiamo alla Germania del ’33: uno dei paesi culturalmente più progrediti del tempo appoggiò quasi all’unanimità il nazismo.
«Aggiungo che Hitler aveva una biblioteca vastissima, di 30 mila volumi. Era un lettore frenetico, ma questo non gli impedì di diventare il più sanguinario dittatore del Novecento. La cultura, quella cosa che dovrebbe salvarci dall’ignoranza e dal decadimento, funziona se c’è anche maturità intellettuale e capacità di giudizio. Si può essere molto colti e non capire nulla. Resta il fatto che senza la cultura, quello sviluppo d’intelligenza non ci sarà mai. Impariamo a intendere cultura in modo vasto: non si tratta soltanto di leggere libri, ma è la capacità di leggere il mondo in modo critico e analitico».
Qual è il più grande scrittore o scrittrice vivente in Italia? Non può rispondere Magris, che è di Trieste come lei.
«Non lo so. Forse, non avendo al momento vertici straordinari, ci si può basare sui dati di mercato. Il più venduto scrittore italiano è Camilleri, ed è anche un ottimo scrittore. Ma nessuno è in grado di dire se diventerà un classico e se lo leggeranno anche fra 50 o 100 anni. Di solito è la storia a deciderlo».

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