«Ora serve rilanciare la fruizione digitale di contenuti culturali di qualità»

 

Maurizio Tarantino, classe 1961, napoletano con un importante curriculum tra la città partenopea, Roma e Perugia nell’ambito in particolare della biblioteconomia e delle lettere, è dal 2017 dirigente del settore Cultura per il Comune di Ravenna. Ma qui gli abbiamo chiesto un intervento soprattutto in veste di direttore della prestigiosa biblioteca Classense sul futuro della lettura e della letteratura.

Tarantino2«Quale sarà il futuro della lettura alla fine di questa emergenza sanitaria? Non avendo il dono della profezia, la risposta è facile: il futuro della lettura sarà quello che noi tutti riusciremo a costruire. Ma le tre domande che scaturiscono da quella principale complicano non poco la risposta: che cosa è oggi “la lettura”? Chi sono i “noi tutti” che dovranno costruirne il futuro? E, soprattutto, che cosa è il futuro?

Cominciamo dall’ultima. Se oggi ci riesce così difficile rispondere a questa domanda è perché sia la concezione cristiana del futuro come anelito a una vita perfetta, ma realizzabile appieno solo nell’aldilà, sia l’idea laica di “progresso”, sono state incontrovertibilmente messe in crisi un secolo fa, quando Einstein dimostrò che l’ordine cronologico passato-presente-futuro non è né unico né assoluto.

La letteratura aveva già tante volte prefigurato questa situazione in cui non sono il passato e il presente a costruire il futuro, ma, al contrario, è il futuro il vero motore della storia. Come nei Promessi sposi, dove il banale evento futuro che dà il titolo al romanzo avverrà solo dopo anni; e sarà proprio quel banale evento futuro a spingere i protagonisti lungo il loro percorso di dissoluzione e ricomposizione.

Anche la risposta circa l’identità della lettura e dei “ricostruttori” del suo futuro è complicata da un evento: la nascita, una ventina d’anni fa (anche in questo caso con diverse prefigurazioni), del web 2.0 e della figura del prosumer. Oggi è sempre più difficile distinguere i “produttori” e i “consumatori” di contenuti; e gli “addetti alla cultura” stanno andando in pensione, come auspicava Battiato nel 1980.

Ma, paradossalmente, mentre la parola scritta pervade il mondo (reale e virtuale), viene meno l’esercizio del “leggere” come presupposto del “sapere” (quel “ritenere” senza il quale, per Dante, non c’è “scienza”). Sempre più spesso la “soglia di attenzione” è appena sufficiente per uno sguardo, certo non per la lettura.

Da queste premesse teoriche (tagliate un po’ con l’accetta), quali buone pratiche possono derivare per il futuro della lettura? Certamente non l’estensione sine die della campagna di “letture social”, entusiastica e commovente quanto frenetica e destrutturata. Ottima per promuovere la lettura, pessima se diventa una facile alternativa ad essa. Credo invece che l’emergenza sanitaria possa essere l’occasione per rilanciare e sostenere con risorse importanti la fruizione digitale di contenuti culturali di qualità, in modalità “pubbliche”, strutturate e stabili.

Le biblioteche non partono da zero: da 15 anni almeno lavorano su questi temi, con qualche difficoltà e resistenza, ma con risultati che oggi “fanno notizia”. Come lo straordinario incremento di utenti riscontrato in queste settimane sulle piattaforme con cui mettono a disposizione gratuitamente e da remoto libri e audiolibri, giornali, film, musica.

Senza aprire il capitolo della fruizione digitale delle arti visive e performative (su cui molto ci sarebbe da dire, nel bene e nel male), e restando nel mondo della parola scritta, non si può non citare, tra le buone pratiche su cui investire nel futuro, il “miracolo” di Wikipedia. Il quinto sito più consultato al mondo (quarto, escludendo il cinese Baidu e terzo in Italia, dove scavalca perfino You Tube) è un’enciclopedia: e già questo dovrebbe essere considerato un miracolo. Un’enciclopedia libera, perché fuori dal mercato e perché chiunque può contribuirvi (studiosi, scrittori, biblioteche e musei da anni lo fanno), gratuita e priva di pubblicità. Un esempio da seguire anche nelle (poche) regole fisse che la governano: e tra queste mi piace ricordarne alcune che sarebbe bello governassero l’intero mondo dell’informazione (e forse il mondo intero): la ricerca dell’obiettività attraverso il consenso, la presunzione di buona fede, la verificabilità delle informazioni».

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