Il pianista filosofo: «La società moderna è abituata a sentire, non ad ascoltare»

Giuseppe Albanese atteso a Ravenna e poi anche a San Pietroburgo, come sorta di ambasciatore del Primo concerto di Rota. «In Russia avrò anche il piacere di suonare Martucci, secondo me il Brahms italiano»

AlbaneseFantasia. L’etimologia di questa parola riecheggia nel verbo greco φαίνω, cioè mostrare: il mostrare le inarrivabili vette dell’immaginazione. Proprio questo sarà l’obiettivo del concerto che andrà in scena al teatro Alighieri di Ravenna il 19 febbraio quando Giuseppe Albanese, celebre pianista e fine filosofo, ne calcherà il palcoscenico per la rassegna Ravenna Musica 2018 organizzata dall’associazione Angelo Mariani. Il musicista, reggino di nascita ma faentino d’adozione, si rivela profondo conoscitore non solo del pensiero, ma anche della società.

Maestro Albanese, il programma è un omaggio alla potenza della mente umana e riporta alla mente il tema del primo disco che lei ha registrato per la prestigiosa etichetta Deutsche Grammophon.
«Certo, in effetti il tema rievoca da vicino il primo disco. Non vi saranno però solo brani provenienti da quella raccolta (Beethoven – Sonata quasi una fantasia op.27 n.2 e Schubert – Fantasia D760, ndr), ma eseguirò anche Réminiscences de “Norma” S394 di Liszt, dal secondo disco. Si può quindi parlare di un compromesso tra le due registrazioni».
Eseguirà anche un brano di Chopin, la Fantasia op.49, assente da entrambe le registrazioni.
«Sì, con questo brano vi è un legame emotivo molto forte. Nel settembre del 1993 fu proprio qui, al concorso pianistico Città di Ravenna, che vinsi, a 14 anni, il primo premio suonando questo brano di Chopin. Ricordo che in treno, prima di arrivare in città, stavo ascoltando diverse interpretazioni ed ero molto combattuto su quale fosse quella alla quale ispirarmi. Alla fine prevalse la mia interpretazione personale e mi andò bene».
Quindi si tratta di un ritorno a Ravenna?
«Sì e no. A Ravenna, ho avuto il piacere di suonare in diverse occasioni, ma mai nella sala principale del teatro Alighieri, quindi si può dire che questo concerto abbia un po’ il sapore del debutto».
Lei ha calcato i palcoscenici più importanti al mondo. Dove la porterà il prossimo futuro?
«A fine aprile sarò impegnato in un concerto con la Orchestra Sinfonica Siciliana nella quale eseguirò la Wandererfantasie di Schubert nella trascrizione di Liszt di cui poi eseguirò la Rhapsodie espagnole trascritta da Busoni. Sarà una novità per me cimentarmi in questi brani trascritti da autori
così importanti. A maggio, invece, avrò l’opportunità di tornare a Pesaro, città alla quale sono legato da quando, a 17 anni, mi diplomai presso il Conservatorio Rossini».
Tanta Italia, quindi?
«Tanta, certo, fortunatamente sono molto presente sul territorio nazionale, ma dopo la tappa marchigiana volerò a San Pietroburgo per eseguire il Primo concerto di Rota. Detengo un piccolo record, giacché mi sono trasformato inconsapevolmente in ambasciatore di questo concerto essendo il pianista che più l’ha eseguito in giro per il mondo. In Russia avrò anche il piacere di suonare un altro concerto, il Secondo di Martucci».
Giuseppe Martucci, grande compositore sconosciuto però al grande pubblico.
«Già, per me è un po’ il Brahms italiano. Mi rendo conto che sia un paragone forte, ma la sua scrittura pianistica è votata alla sostanza e si rivela impegnata dal punto di vista formale. In questo lo trovo molto affascinato dall’800 tedesco. Non per caso fu tra coloro che portarono per la prima volta il Tristan und Isolde di Wagner in Italia, a Bologna nel 1888».
Com’è la salute della musica colta nel mondo?
«Non sono rose, né in Italia né all’estero. L’arte è comunicazione e oggi l’immagine è fondamentale. In più l’educazione musicale è sempre più trascurata e vi è una disabitudine al silenzio, all’assenza di suono. La società moderna è abituata a sentire, ma non ad ascoltare. Il ruolo dell’interprete in tutto ciò è quello di puntare sugli aspetti umani dell’arte: citando Quintilliano, anche l’arte deve docere, movere e delectare».

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