Dal rumore del tempo all’intonarumori

Il Futurismo italiano,primo fra le avanguardie fiorite agli albori del Novecento, si impose all’attenzione generale travalicando le Alpi e dilagando nel continente con le sue provocazioni artistiche e culturali

Fra i “rumori rivoluzionari” evocati dal Ravenna Festival 2017 il Futurismo è stato fra i più clamorosi e non soltanto per gli eventi roboanti finiti a «schiaffi e pugni», ma anche per le loro risonanze sulla stampa e le riviste specializzate e per i principi dissacranti dei Manifesti. Il Futurismo, fra le avanguardie fiorite agli albori del novecento, si impose all’attenzione generale travalicando le Alpi come un fenomeno da esportazione, cosa rarissima per l’Italia che ha sempre importato tendenze, e contaminando, fra l’altro, la Francia e particolarmente la Russia che influenze culturali dalla nostra penisola, veicolati da qualificati ambasciatori dellamusica e dell’arte, ne riceveva da almeno duecento anni.Il Futurismo, fra tante avanguardie storiche passate in un lampo, è il movimento italiano più  sfaccettato e  longevo che ha inciso in ogni ambito artistico. I suoi esiti si allungano fino agli anni quaranta, producendo un gran fermento di idee per cui i suoi protagonisti, da Boccioni a Balla, da Prampolini a Depero, sono costantemente esposti e rivalutati, fonte di ispirazione anche per artisti viventi come Ugo Nespolo e tanti altri.Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, milanese con relazioni internazionali e radicamenti in provincia, coinvolse letterati, pittori, musicisti, architetti nell’illusione che l’artista avrebbe ritrovato il ruolo prestigioso del passato diventando “demiurgo” di una società in rapida evoluzione, interprete e pilota del cambiamento. Invece di rigettare progresso e tecnologia, il  futurismo se ne servì anche ai fini artistici.

Futuristi Italiani a Parigi,1912

Il Manifesto del 1909 ripudia in letteratura «l’immobilità pensosa, l’estasi, il sonno» esaltando «l’energia, la temerarietà» e la bellezza della velocità. «Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! […] Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile?» prosegue il manifesto «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie […] noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa […] il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri […] i piroscafi avventurosi […] le locomotive dall’ampio petto […] e il volo scivolante degli aeroplani». Il Futurismo vuole liberare il paese dalla sua «fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari» uscendo dalla convenzionale tradizione e trovare nel progresso la nuova estetica coniugando arte e vita.La città che sale dipinta da Umberto Boccioni, annoverato fra i massimi artisti del 900, riflette i principi fondanti del movimento impiegando una straordinaria arte pittorica attenta alle ultime tendenze europee. L’opera è un formidabile spaccato del territorio trasformato dal progresso e dal dinamismo che travolge uomini e cose in una sorta di vortice “costruttivista” generando il nuovo mondo. Non a caso quest’opera viene rapportata per contenuto al Quarto Stato di Pelizza da Volpedo  con la marea montante di lavoratori che preannuncia le rivolte delle masse, di cui la più eclatante, nel bene e nel male,  fu la rivoluzione russa del 1917.
L’arte dei Futuristi, dunque, è legata strettamente alla società, ne vuole influenzare il cambiamento e utilizza ogni linguaggio della comunicazione, anche quelli più innovativi destinati ad evolversi in futuro come il cinema e la pubblicità. Ciò deriva anche dal fatto che il movimento non pone barriere fra le arti, anzi aspira alla sinergia, anticipando quella fusione prodigiosa che sfocerà nella cinematografia, somma di tante arti. Inoltre nega la frattura imperante fra cultura “alta e bassa” che vede da un lato l’artista “vate” imbevuto di colte letture, dall’altro il creatore-artigiano dedito ad abilità manuali. Le straordinarie opere ereditate dal futurismo dimostrano che “il fare” è importante quanto la concettualità: i futuristi sono grandi pittori, maghi della materia e si esprimono artisticamente anche con il mosaico, vedi Severini e i suoi rapporti con Ravenna.

La creatività futurista contamina il teatro.

Manifesto Di Uno Spettacolo Futurista

Manifesto Spettacolo Futurista,1924

I Futuristi rompono il sonno dell’accademico e solenne teatro con la loro creatività rivoluzionaria che esalta la macchina, il movimento e l’environment.  Ha scritto molto sul teatro Marinetti, del quale vedremo al Festival, fra l’altro, la Danza dell’aviatrice a cui rimanda il “Manifesto della danza futurista” del 1917, una coreografia ispirata dall’aereo, mitico protagonista, quanto l’auto che è «più bella della Vittoria di Samotracia»,  del progresso tecnologico che ha esaltato la velocità e consentito la nuova visuale aerea contemplata dall’aeropittura di Gerardo Dottori.
Anche Boccioni, Balla, Prampolini e Depero scrissero di teatro esaltando la  libertà di espressione che si fa comunicazione in grado di coinvolgere il pubblico, specialmente con la scenografia teatrale.  Già nel Manifesto “Il Teatro di Varietà” del 1913 si esaltano «i movimenti simultanei di giocolieri, ballerini, ginnasti, cavallerizzi multicolori, danzatori trottanti sulle punte dei piedi […]», sopprimendo ogni logica e instaurando il trionfo dell’inverosimile e dell’assurdo. Del resto l’arte di sorprendere e di “andare in scena” Marinetti l’applicava regolarmente nei suoi spettacoli di poesia sceneggiata in teatri e gallerie d’arte, imitato dai Dadaisti del Cabaret Voltaire a Zurigo. Nel 1915 venne stilato il “Teatro sintetico” in cui agli “atti” si sostituiscono gli “attimi” giocando sulla sintesi e sull’intuizione, sull’inverosimile e sull’ironia sempre più lontani dalla realtà.
Prampolini nel 1915 scrive il “Manifesto della Scenografia e Coreografia” futurista e quasi dieci anni dopo “L’atmosfera scenica futurista” spostando l’attenzione dalla “scenosintesi” alla “scenodinamica” e dalla scena illuminata alla «scena illuminante». Nel 1915 Giacomo Balla, in Fuochi d’artificio di Stravinskij per Diaghilev al Teatro Costanzi di Roma, concretizza le «visualizzazioni musicali del colore» realizzando quella simbiosi fra variazioni musicali e luci colorate che precorre la «luce psicologica» di Bragaglia e il «teatro del colore» di Ricciardi del 1920. I pittori-scenografi futuristi furono i primi a produrre emozioni con un’architettura di elementi pittorici, elettrici, meccanici come la macchina intonarumori di Luigi Russolo, regalando al pubblico le suggestioni che la parola e il gesto non danno e ponendo l’attore al vertice di complesse costruzioni irradiato da fasci di luce e di colore. In teatro il pittore Fortunato Depero già nel 2015 creava i suoi  personaggi plastici  e nel 1917 le «corazze plastiche policrome» e le «scenoplastiche» per il Canto dell’usignolo di Stravinskij per Diaghilev. Nel 1918 con il poeta svizzero Clavel realizzò i Balli plastici in cui le marionette animavano un teatro di automi nel macchinoso gioco scenico. Purtroppo molte cose sono andate perdute, altre, come le scenotecniche, sono entrate stabilmente nella prassi teatrale.
Secondo Anton Giulio Bragalia, aderente al movimento fin dal 1911, il Futurismo era l’arte in grado di catturare la complessità del movimento e il ritmo della realtà e dunque la cinematografia, ancora agli albori, ne era il linguaggio privilegiato. È del 1917 Perfido incanto il primo film d’ avanguardia di Bragaglia, a cui collaborò come scenografo Prampolini.  Oggi, soprattutto la trama del film con il classico triangolo amoroso appare tutt’altro che d’avanguardia. Sarebbe invece molto interessante vedere il film Vita futurista, purtroppo andato perduto (non resta che qualche fotogramma), prodotto già nel 1916 dal gruppo futurista fiorentino e realizzato a proprie spese dal ravennate Arnaldo Ginna, nonché il contenuto del “Manifesto del cinema futurista” del settembre dell’anno stesso, anche rapportandolo alla futura cinematografia sperimentale.

L’aviatore Dro, opera italiana futurista

Locandina Per L'opera L'aviatore Dro Di Pratella

Locandina per l’opera L’aviatore Dro di Pratella,1920

Quel gusto rétro della trama di Perfido incanto si riscontra anche in quella dell’opera futurista L’aviatore Dro, fantasiosa storia d’amore, tradimenti e vicissitudini aeree che ha per protagonisti Dro, il rivale Rono e la bella Ciadi, opera “totale” con parole e musiche del romagnolo Francesco Balilla Pratella. Allievo al Conservatorio di Pesaro di Luigi Mascagni, aveva composto e portato in scena con tanto di macchine agricole l’opera verista in dialetto romagnolo La Sina d’Vargoun e proprio per l’esecuzione di una parte di essa a Imola, il 20 agosto 1910, aveva conosciuto Marinetti, per il quale avrebbe poi sottoscritto il Manifesto della Musica Futurista diventando teorico musicale del movimento. L’opera futurista, concepita nel 1910 e pubblicata da Sonzogno nel 1915, esordì al Teatro Rossini di Lugo il 4 settembre 1920 e fu replicata 13 volte. Ma quanto c’è davvero di “futurista” in essa? Certamente il tema aviatorio, probabilmente collegato anche alla figura di Francesco Baracca, leggendario aviatore lughese della prima guerra mondiale e alla passione di Pratella per le azioni aeree, tanto da chiamare Ala una delle sue due figlie, indimenticata insegnante di lettere. L’opera è certo futurista nell’avvalersi dell’intonarumori inventato da Luigi Russolo, pittore e musicista. Ma, come afferma il compianto Gianandrea Gavazzeni in locandina, direttore d’orchestra dell’unica riproposizione dell’opera avvenuta nel Teatro Rossini di Lugo nel gennaio 1996 – prodotta dal Teatro Alighieri di Ravenna in collaborazione con il teatro lughese e la Fondazione Arturo Toscanini e con Sylvano Bussoti, musicista, pittore e molto altro, quale regista e autore delle scene e dei costumi – nella stesura orchestrale Pratella utilizzò un linguaggio armonico che «rimanda all’impressionismo d’oltralpe. L’uso della vocalità richiama il teatro impressionistico tedesco, anche se nessuno in Italia conosceva allora la lezione di Kurt Weill. L’uso del canto e del parlato fa pensare a Berg, a Schonberg e ai musicisti della cosiddetta Seconda Scuola di Vienna, la ritmica e i cambi di tempo al primo Stravinsky del Sacre che Pratella conosceva. Nelle parti corali, poi, Pratella si riallaccia alle tradizioni popolari» di cui fu appassionato custode e studioso.  Gavazzeni, musicista e intellettuale, conclude così: «Sono queste curiose mescolanze a rendere più affascinante quest’opera: alle soglie del Duemila ai nostri occhi e alle nostre orecchie il Dro apparirà come una novità».
Al Festival 2017, probabilmente con identico stupore, assisteremo all’opera russa Vittoria sul sole in due agimenti e sei quadri di Aleksej Kruchenych, con musica di Mihail V. Matjuschin, scene e costumi del grandissimo artista Malevič e di nuovo sfideremo noi stessi a scoprire quanto l’opera rispecchi i principi del Futurismo o del Costruttivismo in cui esso si è evoluto con caratteri originali in Russia dopo i contatti con Marinetti.

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