Al festival Crisalide l’Erodiàs di Federica Fracassi. La nostra intervista

In scena una delle attrici più importanti del teatro di ricerca italiano: «I personaggi irrisolti sono i più interessanti»

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Federica Fracassi è una delle attrici più interessanti del teatro di ricerca italiano. Ha vinto il premio Premio E.T.I. Gli Olimpici del Teatro, tre volte il premio Ubu e il premio Duse. Venerdì 3 novembre sarà in scena (al Fabbri di Forlì) con il Teatro I al festival Crisalide (a questo link il programma completo) nei panni di Erodiàs di Giovanni Testori per la regia di Renzo Martinelli. L’amore che deve fare i conti con l’assenza insanabile dell’amato nel testo che fa parte dell’ultima trilogia dei “lai” scritta da Testori prima di morire. Lo spettacolo rappresenta anche l’apertura della stagione del Diego Fabbri.

Cosa rappresenta per lei Erodiàs, come è entrata in questa vita?
«È una figura molto affascinante perché continuamente in lotta con sé stessa. I personaggi irrisolti sono più interessanti perché ci assomigliano di più come essere umani, ci sono più pieghe dell’anima che si possono indagare. Erodiàs è una regina che ha certezze che vengono meno, ha una visione laica dell’esistenza che viene messa in crisi dall’arrivo di un profeta di cui lei si innamora perdutamente. È un testo con molti momenti filosofici e di riflessione che si alternano a scene molto concrete che hanno a che fare con l’amore e con il corpo».
Come è stato tornare a lavorare su Testori?
«Affrontai un suo testo proprio con Renzo Martinelli in uno studio che affrontava i suoi tre “lai”. Parlavo di Tesori con diversi registi da molto tempo perché per un’attrice Testori è un banco di prova importante sia per la sua lingua, che per l’universo dilaniato che racconta. C’è sempre il contrasto tra la fragilità umana e la sacralità. In più è di origini lombarde, viene da vicinissimo a dove sono nata. Questo mi lega a lui, ma rappresenta anche una difficoltà perché non volevo fare uno spettacolo “dialettale”, ma approcciarmi a lui come a un classico. Quando ne ho parlato con Renzo abbiamo deciso che era il momento di farlo».
Come è riuscita a entrare in una lingua complessa che mescola influenze del dialetto ad arcaicismi?
«Grazie a Martinelli abbiamo scelto un’ambientazione non naturalistica. È un purgatorio, l’atto dell’omicidio è già stato compiuto e la protagonista non può uscirne. Erodiàs si offre in questo teatrino al pubblico. Questo straniamento mi ha dato la possibilità di recitare con una formalità nella voce e nei gesti, che sono puliti e astratti. Lingua e gesto vanno assieme. Era facile cadere nella filastrocca visto la musicalità e questa direzione di lavoro ci ha aiutato a evitare quella trappola».
Testori usava molti riferimenti alla classicità della tragedia greca e ai temi biblici, nel lavoro che ha fatto sul corpo come ha rielaborato questi elementi?
«Io non ho mai affrontato un’eroina classica, ma ho letto i testi classici e li ho visti messi in scena e ho capito che nella classicità pre-cristianesimo c’è una forza superiore del corpo. Faccio un paragone blasfemo. Sono una fan di Trono di Spade, ambientato in un tempo senza cristianesimo, e lì il corpo in battaglia è spudorato, violento e senza pudori. È un elemento che si ritrova anche in certa arte cristiana che non seguiva le regole come quella di Caravaggio e di Francesco Cairo. Nei loro quadri mettevano una violenza e una fisicità da cui abbiamo preso ispirazione».
Negli anni ha lavorato con molti dei più importanti registi di ricerca come Renzo Martinelli, Latella e i Motus. In che modo si relaziona con artisti che hanno una linea artistica così rigida e così diversa tra loro?
«La mia scommessa fino a ora è stata quella di mettermi in gioco. Spesso si tende a star chiusi nel proprio giardinetto, io sono voluta uscire. Ho avuto la voglia di dire “bene questo lo so fare, proviamo qualcosa di diverso”. È un lavoro che arricchisce molto. Scelgo registi molto diversi, ma che secondo me hanno cose da darmi. Spero di aver dato qualcosa anche io a loro».

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