Fanny&Alexander: venticinque anni di passione, ricerca e vita

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Chiara Lagani e Luigi de Angelis in una foto di “Ponti in core”, spettacolo del 1996

Intervista semiseria ai due fondatori della storica compagnia ravennate, Luigi de Angelis e Chiara Lagani, mentre è in corso Fèsta

Mentre è in corso Fèsta, per i venticinque anni di Fanny&Alexander, vi proponiamo la lettura di questa intervista doppia pubblicata sulla rivista Palcoscenico ai  due fondatori, Chiara Lagani e Luigi De Angelis a cui abbiamo rivolte le domande più semplici che ci siano venute in mente, anche sfatare definitivamente il mito che li vuole “criptici” e difficili. Ecco le loro risposte.

Cosa ti ha portato al teatro 25 anni fa?
Chiara: «Non saprei dire con esattezza, avevo solo diciassette anni… Potrei dirti tante cose: il caso, la vita, uno spettacolo che mi colpì profondamente… Ma credo che la risposta più corretta sia: l’incontro con Luigi De Angelis. Il teatro è stato da subito il nostro modo per costruire la forte relazione che ancora ci lega».
Luigi: «Mia madre mi ha portato a teatro fin dall’età di 4 anni. Musica, teatro, opera… Mi sono avvicinato però al teatro in maniera più diretta a 14 anni. Marco Cavalcoli al Liceo Classico Dante Alighieri organizzò un laboratorio con Ermanna Montanari del Teatro delle Albe. Individuo in quell’incontro il contagio inevitabile che mi ha segnato per sempre. Ho scoperto l’esistenza di un teatro animico, pulsante, epidemico. Poi l’intuizione fulminea di proporre a Chiara Lagani, che appena conoscevo, figlia della mia insegnante di storia e filosofia Loretta Masotti, di mettere in scena un suo testo, che lei mi aveva consegnato sulle scale del Liceo per un parere e che ho letto nel giro di un’ora. Da quel giorno non mi sono più allontanato dal teatro e oggi festeggiamo i nostri primi 25 anni!».
Quando hai capito che non avresti potuto o voluto fare altro nella vita?
C: «Quasi subito. La sera dell’ultima replica del nostro primo spettacolo piangevo inconsolabile come se non ci fosse un domani, con Luigi che cercava di convincermi che si poteva anche rifare…Poi però ho deciso che avrei fatto questo davvero, e ho capito che dentro questo lavoro che ne sono moltissimi altri: ancora oggi io scrivo, recito, insegno, disegno costumi, organizzo presentazioni, eventi, convegni… Non potrei fare altro nella vita perché in questo lavoro, almeno per come ce lo siamo ritagliati addosso, c’è anche molto altro, è una vita fatta di molte vite».
L: «È strano. È come se non mi fossi mai posto la cosa. Era necessario e impossibile fare diversamente. Avevo bisogno di quel nutrimento che è stato terapeutico e tossico allo stesso tempo. A volte la tossicità è fondamentale per restare in vita… Non saprei dirti quando e se c’è stato un momento di lucidità in cui ho compreso la cosa. Potevo solo stare lì, tanto che tuttora per me non si tratta di un lavoro. È vita».
Fanny&Alexanderjpg02Che cosa ti tiene legato al teatro oggi?
C: «È ancora per me un luogo in cui i desideri più profondi hanno possibilità di trovare le loro strade e le loro forme».
L: «La fluidità e la trasparenza cui obbliga su tutti i piani dell’essere. L’atto d’amore implicito nel confronto diretto con una comunità di sguardi provvisoria. La possibilità di continuare a lavorare al fianco di artisti straordinari come Chiara Lagani, Marco Cavalcoli, Sergio Policicchio».
Lo spettacolo di cui vai più orgoglioso/a.
C: «Non saprei. Tutti. Amo Ponti in core, perché è il primo che ci ha fatti conoscere al pubblico nazionale e internazionale e perché sono in scena con Luigi. Poi Dorothy, sconcerto per Oz, perché è forse il più ardimentoso dal punto di vista drammaturgico. Ho adorato abitare il buio pieno di suono e odori di Vaniada: mi ci accoccolavo letteralmente dentro, nessun luogo al mondo era come quello, per me».
L: «Se ti chiedessi di quale dei tuoi due figli vai più orgogliosa che cosa mi risponderesti? Gli spettacoli sono tutti parti di me, li amo tutti allo stesso modo. Fanno parte della mia storia interiore. Sono copresenti in me, in maniera orrizontale. Nutrono quelli nuovi, anche a distanza di tempo».
Lo spettacolo che non rifaresti?
C: «Nessuno, anche da quello su cui sono più critica ho imparato tantissimo».
L: «Rifarei tutto. Tutto è esperienza. Tutto è fluido e connesso. Tutto è necessario alla trasformazione, alla crescita».
Il momento più imbarazzante?
C: «La volta in cui uno di noi, svegliatosi di colpo in auto mentre un operatore ci riaccompagnava tutti in albergo dopo lo spettacolo, alla domanda “di cosa stavamo parlando, lo sai tu, o davvero dormivi?”, rispose candidamente: “certo che lo so, parlavate di Nonna Papera”. Chissà che sogno misterioso stava facendo! Il fatto è che noi stavamo parlando di un importante e storico artista e l’operatore non la prese proprio benissimo… Ma non chiedermi di rivelare il nome dell’artista adesso, eh!»
L: «Ce ne sono tanti ahimè. Hanno tutti a che fare con le umiliazioni subite da chi gestisce un potere, ad esempio direttori di festival, produttori, ecc. Il peggio è quando queste figure sono a loro a volta degli artisti o presunti tali».
Lo spettacolo più brutto a cui ti è capitato di assistere da spettatore.
C: «Ce ne sono tanti. Ma per fortuna dimentico».
L: «Scusami, ma non ne ricordo uno in particolare. Da tempo cerco di non guardare il teatro in termini di piacere o non piacere – like or not like – di non pormi davanti a uno spettacolo secondo una logica del giudizio. Se mai mi allontano dagli spettacoli in cui si cerca di predicare piuttosto che di interrogare, di ambire piuttosto che di essere, di spiegare, togliere le pieghe… piuttosto che di lasciare spazio all’immaginazione creativa».

Fanny&Alexanderjpg01 La cosa più importante che hai imparato in questi 25 anni di carriera
C: «Che il percorso è molto più importante delle singole prove, dei singoli eventi in cui si manifesta. L’opera è ciò per cui si lavora, ma è sempre e solo una piccola parte aggettante del tutto: la vera opera è sommersa e va custodita con grande amore».
L: «La bellezza dell’immaginazione creativa condivisa, il potenziamento della forza interiore».

Chiara Lagani: «La vera opera è sommersa e va custodita con grande amore»

Cosa, per fortuna, hai perso per strada?
C: «L’inesperienza. Espone a tanti errori».
L: «L’ansia di affermazione».
Quella che purtroppo hai perso lungo la strada…
C: «L’inesperienza. Offre tante possibilità, la pagina bianca si può ancora scrivere da capo».
L: «Non sento di aver perso qualcosa, se mai ho ricevuto tanto!»
A cosa hai rinunciato per fare teatro?
C: «A niente».
L: «A nulla. A mio avviso non si rinuncia mai a nulla, se mai ci si trasforma continuamente e i desideri, le aspettative apparentemente disattese si materializzano sotto un’altra forma».
Hai mai pensato di abbandonare e fare altro? Cosa?
C: «A volte, quando sono sopraffatta dalla fatica e dalle scadenze mi chiedo perché non ho scelto un lavoro più “normale”, perché, ad esempio, non ho fatto la fioraia. Ma poi penso che anche vendere fiori sia un bel cimento, e forse se vendessi fiori sarei ugualmente sopraffatta. Sono la serietà e il rigore, alla ricerca di una qualche bellezza, che rendono grandi e dure le cose. Nessun lavoro in fondo è “normale”, se dentro ci sono la furia e il desiderio».
L: «No».
Descrivi Chiara/Luigi
C: «Devo descrivere Chiara, oppure Luigi? Nel dubbio descrivo Chiara/Luigi. E rubo a Nabokov. Chiara/Luigi = Nirvana. Nevada. Vaniada».
L: «Chiara è un arco che scaglia frecce acuminate di intelligenza, immaginazione, intuizione, passione, luce!»
In tre righe, raccontaci la tua Ravenna.
C: «La amo, mi piace la sua luce, l’odore del mare, il silenzio nella nebbia. Mi piace il suo nome palindromo pieno di neve. Annevar Ravenna. A Ravenna ci sono moltissime persone a cui tengo. E c’è Ardis, col suo ardore».
L: «Da più di un anno non ci abito più. Ravenna me la porto dentro, nell’immagine interiore di una palude effervescente dai riverberi dorati».

Storia di una compagnia

Dal teatro all’opera ai (tanti) premi

Fanny & Alexander ama definirsi “bottega d’arte” ed è una compagnia fondata a Ravenna nel 1992 da Luigi de Angelis e Chiara Lagani ai quali si aggrega nel 1997 Marco Cavalcoli. Nei 25 anni di attività hanno realizzato spettacoli teatrali e musicali e produzioni video e cinematografiche, installazioni, azioni performative, mostre fotografiche, convegni e seminari di studi, festival e rassegne.Tra i lavori spiccano il ciclo dedicato al romanzo di Nabokov Ada o ardore e vincitore di due premi Ubu; il progetto pluriennale dedicato a Il Mago di Oz (2007-2010) e le serie dei Discorsi per indagare il rapporto tra singolo e comunità. Nel 2015 Fanny & Alexander cura regia, allestimento e costumi dell’opera Die Zauberflöte – Il flauto magico di W.A. Mozart per il Comunale di Bologna. Tra gli ultimi lavori ci sono To be or not to be Roger Berna che anticipa il futuro progetto sull’Amleto, e SMER. The riot of seduction, opera di teatro musicale realizzata con l’ensemble berlinese Kaleidoskop che ha debuttato in Belgio. Nell’estate 2017 ha debuttato inoltre Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, progetto ispirato alla quadrilogia di Elena Ferrante. Chiara Lagani è docente di un laboratorio di messa in scena alla IUAV di Venezia e nel 2017 ha vinto il Premio Speciale per l’innovazione drammaturgica nell’ambito del Premio Riccione. Tra gli altri premi alla compagnia:  Giuseppe Bartolucci 1997, Coppola Prati 1997, Speciale Ubu 2000, Produzione TTV 2002, Lo Straniero 2002,  Speciale 36mo Festival BITEF di Belgrado 2002, Sfera Opera di Ricerca Cortopotere Anno Tre 2003,  Speciale Ubu 2005,  Spettatore 2010/11 Teatri di Vita.  A Ravenna tornano in scena a dicembre (vedi pagina 49).

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