I Giuramenti della Valdoca, lo spettacolo nato tra i boschi

La storica compagnia spinta da una forza «solenne ed esortativa». La parola a Ronconi e Gualtieri

TEATRO VALDOCA VERSO GIURAMENTI Ph.Ana Shametaj WebSta per giungere al termine il viaggio di Teatro Valdoca verso la nuova produzione, Giuramenti, dopo la residenza creativa di tre mesi presso L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino. Uno spazio amato e congeniale alla compagnia cesenate, che qui ha messo a punto alcuni tra i lavori più importanti. Da gennaio lo spazio si è trasformato in una “Bella Scola” di training fisico nei boschi, cori e canti polifonici, esercizi di silenzio, di attenzione, di memoria, di studio. E prove. Ogni giorno ore di prove, in teatro e nel bosco circostante, non basate su un rigido progetto ma aperte all’accadere degli eventi, alle improvvisazioni degli attori, ai dettami della regia, ai suggerimenti portati dal testo. In questi tre mesi è cresciuto moltissimo il gruppo dei giovani interpreti, insomma è nato un Coro, di grande coesione, vitalità e intensità.

Dopo il primo “avvicinamento” a L’arboreto – Teatro Dimora a marzo, e il secondo “avvicinamento” al Teatro Petrella, Per Contagio (9 aprile), lo spettacolo Giuramenti debutterà al Teatro A. Bonci il 12 aprile, in prima assoluta, e lì sarà in replica anche il 13 e 14 aprile.

Il lavoro con i giovani è diventato un presupposto molto importante della vostra poetica, come siete arrivati a Giuramenti?
Cesare Ronconi: «Pasolini scrive che la giovinezza è un sentimento e io sono d’accordo, ma certo c’è una vitalità che riguarda il dato anagrafico e che è molto necessaria quando si porta in scena il verso, così come lo porta la mia regia, cioè senza trama, senza personaggi definiti ma lapidario, frontale e al presente. C’è una vita dei corpi che alleggerisce la monumentalità della parola di Mariangela, una parola alta e da me molto amata, una parola che impasto con tutto il resto, perché voli alta e potente, strappata alla pagina scritta e dotata di vita sonora. Non procedo progettualmente e dunque ad un certo punto è nata in me un’urgenza espressiva, che chiedeva un grande movimento di forze e di scrittura: così è arrivato Giuramenti».
Come avete lavorato con questi undici ragazzi in questi tre mesi? È vero che vi siete esercitati anche nei boschi?
Mariangela Gualtieri: «Sono attori e attrici che hanno fra i 20 e i 27 anni. Sì, non solo ci siamo esercitati nel bosco, ma ogni mattino lo abbiamo percorso, esplorato lì dove è meno accessibile, andando a perderci come facevano i cavalieri che cercavano il Graal, e che avevano speranza di trovarlo solo se si perdevano. Ogni mattino dunque è cominciato con un’avventura, fra radici e rovi, fango e cascatelle a fondo valle, improvvise radure coi loro chiari di bosco, arrampicate, strisciamenti, scivolate. Questo tempio vegetale ha dato a tutti grande energia, grande pulizia interiore, come se il particolare silenzio sonoro del bosco avesse un potere curativo, balsamico. E lì in quel silenzio a volte si recitavano le parole del Coro. Io credo che il bellissimo Coro di Giuramenti sia nato nel bosco. È stato decisivo anche stare tre mesi un po’ fuori dal mondo, per amarlo da lontano e raccogliere le forze».
Teatro Valdoca, più o meno ogni cinque anni, si cimenta in una grande opera teatrale, sorta di grande affresco, molto vitale e, per chi vi partecipa, frutto di un intenso tempo di vita in comune. Cinque anni sono un tempo lungo, soprattutto in una società frenetica come la nostra, in teatro ci si può ancora (o ci si deve) concedere il prezioso e meraviglioso lusso del tempo?
Mariangela Gualtieri: «Abbiamo lasciato il contributo ministeriale, per protesta contro una volontà aziendalistica che ci imponeva scelte mortificanti per chiunque coltivi e serva un’arte, e anche per poterci muovere in questo lusso, in obbedienza ai dettami della nostra arte. Non confezioniamo prodotti, piuttosto stiamo in ascolto della nostra urgenza espressiva, e quando si è accumulato abbastanza, poi si scoppia “come un tuono al culmine” – così dice Emily Dickinson – e arriva l’immensa energia che serve per mettere insieme un’opera, una grande opera, in questo caso, rispetto ai mezzi minimi di cui disponiamo. Dunque viviamo in un lusso di tempo assolutamente necessario all’arte e in una parsimonia di mezzi massima. Siamo ricchissimi e poverissimi».
Parlando di questo lavoro avete scelto parole molto evocative come “ardore”, “nutrimento”, “contagio” e infine il titolo Giuramenti. Sappiamo che Mariangela Gualtieri è una poetessa molto attenta al peso delle parole cosa vi ha portato a scegliere queste?
Mariangela Gualtieri: «Sentivo che Cesare era mosso da una particolare energia per questa nuova opera, una forza solenne, esortativa, impavida, mossa da necessità profonde, e come sempre una forza frontale e vitale. Così queste parole, scritte prima di sapere cosa sarebbe stato lo spettacolo, hanno creato gli argini entro cui si è mosso tutto il processo. Io credo nell’energia della parola, penso che ogni parola possa essere parola magica, e dunque mi dispongo ad un certo ascolto quando cerco un titolo. Ma forse più che cercarlo appunto lo aspetto e spesso arriva nel sonno, o mi sveglia la notte per essere scritto».

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