«Se alla materna si parlano più lingue si potenzia il cervello dei bambini»

Parla lo studioso Martin Dodman, l’ideatore del metodo pedagogico sperimentato nelle scuole dell’infanzia ravennati

Metodo DodmanConversazione con l’ideatore del progetto sul plurilinguismo nelle scuole dell’infanzia ravennati, Martin Dodman, per cercare di capirne qualcosa di più sottoponendogli alcuni dei dubbi più frequenti, anche tra i genitori.
Professore Dodman, come nasce l’idea di inserire l’inglese o la lingua straniera nella routine quotidiana dei bambini?
«Nasce semplicemente dall’osservazione dei bambini piccoli. Da bambini tutti noi acquisiamo il linguaggio con una facilità enorme rispetto all’adolescente e all’adulto. Il linguaggio ci permette di conoscere il nostro ambiente, se ci muoviamo in un ambiente monolingue tendiamo a diventare monolingue, se cominciamo  fin da quando  abbiamo pochi mesi o pochi anni a muoverci in un ambiente plurilingue allora diventeremo plurilingui».
I bambini quindi non rischiano la confusione?
«Abbiamo purtroppo l’idea della confusione come qualcosa di negativo, un’idea molto radicata negli adulti, ma per un bambino piccolo la confusione non è negativa, è semplicemente l’esercizio di acquisizione del linguaggio che non avviene solo all’interno dei confini di un sistema linguistico. E anzi è dimostrato che chi acquisisce più lingue alla lunga ha più alti livelli di competenze nelle singole lingue».
Eppure lei dice che quello di crescere bambini in grado di parlare più lingue non è nemmeno l’unico obiettivo, anzi, nemmeno il primario.
«Il plurilinguisimo non è fine a se stesso, come il linguaggio non è fine a se stesso. Il linguaggio ci permette di apprendere e agire, se non abbiamo a disposizione più linguaggi l’apprendimento avviene in modo più ricco. Un cervello monolingue tende ad avere un unico punto di vista sul mondo, il cervello plurilingue è in grado di affrontare tutti i problemi della vita da una molteplicità di prospettive come dimostrano anche le ultime ricerche sul funzionamento del cervello. Dunque si tratta di un potenziamento del cervello in generale, non solo di apprendimento linguistico».
Questo potenziamento non c’è se si apprendono le lingue straniere in modo, diciamo, tradizionale?
«C’è comunque, ma meno se la lingua resta oggetto di studio, che viene percepita come “straniera” da imparare».
E anche il dialetto può avere un ruolo?
«Sì, e so che ci sono diverse insegnanti che lo stanno utilizzando sempre più».

Mister DodmanLe maestre delle scuole dell’infanzia in genere non sono bilingui e non hanno fatto studi specifici. Non c’è il rischio che trasmettano ai bambini degli errori, o una pronuncia sbagliata?
«Non devono essere di madre lingua, soprattutto per quanto riguarda l’inglese, qual è il modello di riferimento? La lingua parlata in Canada, Usa, Inghilterra? Ma Inghilterra dove? Londra o Manchester? Non c’è un modello corretto e un altro sbagliato di riferimento. C’è poi da aggiungere che molte persone sono plurilingue ma non lo sanno, molto spesso ancora oggi pensiamo che una persona bilingue debba avere una competenza bilanciata nelle diverse lingue, mentre bilingue è per esempio chi sa leggere e comprendere, ma magari non sa parlare o scrivere. Ogni profilo plurilingue è diverso. Noi stiamo cercando di creare un ambiente di apprendimento ricco di lingue e allora ci sarà l’insegnante che usa una lingua molto ridotta, chi invece ha un più alto livello di competenza e lingua più articolata».
Quindi possono bastare anche poche frasi?
«Abbiamo insegnanti che costruiscono copioni molto semplici per alcune attività quotidiane. Ma per insegnare le routine bastano frasi molto semplici, con parole chiave che sono le stesse di quelle medesime routine in Inghilterra. Noi lavoriamo su un’alternanza in modo programmato, ma ci stiamo accorgendo che per sempre più insegnanti sta diventando normale passare da una lingua all’altra senza programmarlo e questo è importantissimo».
Anche alcune scuole primarie stanno aderendo al progetto. Come funzionerà?
«In questo caso può essere che da una parte l’insegnante ha un certo tipo e livello di competenza e magari comincia a farne uso quando si fa arte, geografia, attività motoria, scienze, dall’altra parte l’insegnante di inglese fa diventare la lingua un po’ meno un oggetto di apprendimento e un po’ più un veicolo, per esempio per fare operazioni, divisioni, giochi, come potenziamento delle operazioni numeriche e non per apprendere i numeri in inglese»
Per i bambini con difficoltà di apprendimento può essere un aggravio del carico di lavoro?
«No, sono stati svolti studi specifici su questo tema  che dimostrano come non comporti difficoltà aggiuntive».
Le famiglie a casa cosa possono fare per incoraggiare questo processo nei loro figli?
«I bambini hanno bisogno del modello della persona plurilingue o che ha voglia di essere plurilingue. Il genitore può cominciare a fare alcune cose con il figlio diventando, come gli insegnanti, co-costruttori, non deve mettersi nell’ottica di insegnare la lingua, nemmeno se lo fa per professione, ma piuttosto in quella di chi usa la lingua e gioca con le lingue, in base alle proprie competenze».

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