«Questi ragazzi sono una risorsa ma la scuola deve aiutarli a valorizzarsi»

La presidente di Aid Ravenna su difficoltà, ostacoli e progressi:  «Non serve un sostegno ma professori adeguati»

Annamariadallavalle

Anna Maria Dalla Valle, presidente Aid

Aid è l’associazione di famiglie con figli dislessici nata nel 1997 e nuovamente attiva a Ravenna dal 2013, accreditata dal Miur per offrire formazione ai docenti nelle scuole. Tra gli ultimi progetti che ha messo in campo c’è “Dislessia amica”, un corso di e-learning cui si sono iscritti 33 istituti e 770 docenti in provincia, e da anni organizza mensilmente presso il Cmp momenti di incontro per i genitori, consulenze e consigli tramite una help line, uno sportello aperto una  volta al mese al liceo Artistico (dove la presenza di ragazzi con Dsa è particolarmente importante, si parla di circa 90 iscritti), incontri tra famiglie insieme ai figli, dove può accadere che i più grandi ormai adolescenti aiutino i più piccoli. Insomma, un punto di riferimento per le oltre trecento famiglie associate e non solo, visto l’impegno dell’associazione a diffondere buone prassi, consapevolezza, al fine di avere una maggiore conoscenza del fenomeno per far cadere resistenze e barriere verso questi ragazzi. La presidente è Anna Maria Dalla Valle con cui abbiamo chiacchierato a lungo per capire meglio la realtà che vivono oggi a Ravenna i ragazzi con diagnosi Dsa e le loro famiglie che abbiamo incontrato.

Presidente, in questo momento quali sono i punti critici sul territorio per chi ha figli Dsa?
«Sicuramente i tempi richiesti per una diagnosi da parte dell’Asl, per cui può servire anche un anno. Sappiamo che non dipende dalla buona volontà di chi opera sul territorio, ma che è un problema di risorse disponibili. Anche perché sono molto aumentate le persone a cui viene consigliato di farsi fare la diagnosi ma per chi risulta positivo il rischio è perdere mesi cruciali. E alla fine siamo alle solite: chi può permetterselo si rivolge a un privato e con 300 euro ottiene in un mese ciò che l’Ausl rilascia in un anno. Non solo, la diagnosi dell’Ausl non è “parlante”, cioé è scritta in un linguaggio eccessivamente tecnico e sintetico per l’utilizzo quotidiano a supporto sia dei genitori che degli insegnanti; perché dobbiamo sempre ricordarci che ogni Dsa è diverso dall’altro. Una diagnosi più chiara sarebbe utile a insegnanti e famiglie».

E così chi può si rivolge al privato. Un figlio con Dsa può rappresentare quindi anche un costo?
«Sì, ci sono spese che vanno dalla diagnosi alla logopedia, fino alla necessità di un doposcuola o qualcuno, specializzato, che aiuti il ragazzo quando in famiglia nessun altro lo può fare».

Ma cosa succede in una famiglia quando arriva una diagnosi?
«Dipende, le reazioni possono essere diverse. C’è chi prova sollievo perché finalmente può trovare una spiegazione a ripetuti fallimenti scolastici difficili da capire a fronte di performance più che normali in qualsiasi altro contesto non scolastico, ma c’è anche chi la rifiuta e la nega. Sicuramente una diagnosi Dsa comporta un enorme stress per l’intero nucleo familiare che deve riorganizzarsi. Sarebbe importante che i genitori fossero concordi tra loro nell’affrontare le difficoltà poste dalla dislessia».

La scuola rappresenta per molti un’altra nota dolente.
«Per fortuna le cose stanno cambiando soprattutto nelle primarie pubbliche dove viene effettuato uno screening mirato all’individuazione di possibili Dsa, grazie all’impegno del Comune e dell’associazione Dalla Parte dei Minori, e dove sempre più insegnanti si impegnano anche in formazione specifica, pur non avendone l’obbligo. Dalla Regione potrebbe arrivare a breve un accordo con l’Ufficio Scolastico Regionale per estendere la pratica a tutte le scuole della Regione. Sarebbe davvero l’anno zero».

Ma cosa succede alle scuole medie e alle superiori? Ci risulta che ci siano situazioni anche di tensione e difficoltà lamentate dalle famiglie.
«Sì, la situazione è diversa:  gli insegnanti sono tanti e non è sempre facile cambiare il proprio approccio rispetto all’insegnamento. A volte sono più attrezzate le scuole professionali, più abituate ad accogliere questo tipo di studenti rispetto a certi licei dove i Dsa stanno iniziando da poco a iscriversi. Per questo sono ottimista, le cose stanno cambiando, man mano che sempre più ragazzi dislessici e discalculici affronteranno fin da piccoli un percorso adeguato, capiranno di avere le stesse capacità degli altri, anzi a volte anche maggiori e aumenteranno gli iscritti nei licei. Perché gran parte delle persone con Dsa hanno quozienti intellettivi superiori alla media e molti sono portati per discipline artistiche o materie astratte, anche perché riescono spesso a mantenere il cosiddetto pensiero “divergente” anche da adulti, sono creativi e portati per il problem solving e possono diventare risorse che la nostra società non può permettersi di perdere. Ma perché questo accada devono avere fiducia in se stessi ed è in questo che gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale e possono fare la differenza. Un buon insegnante può salvare un ragazzino che altrimenti rischia l’abbandono scolastico con ciò che ne consegue».

Almeno nei casi più gravi, non sarebbe d’aiuto un sostegno adeguato?
«No, non serve, servono buoni insegnanti e a loro, se mi fosse possibile, vorrei dire questo: so che a volte anche i genitori possono sembrare polemici, ma per le famiglie un figlio Dsa è un impegno enorme e i ragazzi arrivano alle superiori dopo anni di fatiche e battaglie fisiche e psicologiche, e abbiamo tutti bisogno della collaborazione della scuola. Oggi, grazie alla tecnologia, sono possibili risultati prima impensabili. Uno studente Dsa può rappresentare un’occasione per mettersi in discussione, per cambiare. Peraltro ci sono ausili pensati per loro, come le mappe concettuali, che possono essere utili per insegnare a tutti».

L’università è ancora un miraggio per tanti di questi ragazzi?
«I test di ingresso sono un problema, così come la mancanza di testi che possono essere letti con sintesi vocale. Aid si sta impegnando perché gli strumenti compensativi previsti dalla legge siano concessi anche in ambito universitario. Del resto, anche gli occhiali sono un metodo di compensazione per chi non vede. A chi verrebbe in mente di non farli usare a un miope? La calcolatrice per un discalculico è la stessa cosa».

E come si svolge la vita quotidiana in casa?
«Come dicevo ogni ragazzo Dsa lo è a modo suo, ma gran parte di loro ha una brevissima memoria di lavoro e si dimentica facilmente anche le mansioni più semplici, faticano a concentrarsi, si distraggono facilmente. Hanno problemi ad allacciarsi le scarpe, per esempio, perché per loro nessuna routine diventa automatica. E questo a volte può diventare molto faticoso anche per chi vive con loro, serve quindi grande armonia all’interno del nucleo famigliare. Ma come cerchiamo sempre di far emergere nelle nostre campagne di informazione, essere Dsa non significa valere di meno, ci sono tantissime storie di successo di Dsa, a cominciare da quella di Albert Einstein, ma serve impegno e consapevolezza…».

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