Dal video alla rete: i linguaggi dell’antimafia per seminare «anticorpi»

Il nostro report dall’incontro alla Fraternità San Damiano tra tante realtà “dal basso”, dal Gruppo dello Zuccherificio al regista Varesco

Claudiociccillo

Il tavolo dei primi ospiti durante il saluto di apertura di Don Claudio Ciccillo

La messa in scena a Ravenna del nuovo spettacolo delle Albe ha rappresentato l’occasione in città per affrontare il tema della lotta alle mafie e allargare il discorso, mettere in rete realtà diverse e far interagire associazioni, istituzioni, cittadini su un tema tanto cruciale. È sicuramente quanto è successo martedì 5 dicembre alla fraternità San Damiano, in via Oberdan, dove in una sala pienissima e davanti a un pubblico di uomini e donne, giovani e meno giovani, attento per una carrellata di oltre due ore, undici voci hanno raccontato il loro modo di seminare gli anticorpi, di educare alla cultura di una legalità intesa non solo come mero rispetto delle leggi ma anche come impegno, partecipazione, scelta etica per la salvaguardia della stessa democrazia.
Un tavolo amplissimo che rappresentava per una sorta di foto di gruppo di realtà diverse accomunate dalla stessa spinta e dallo stesso fine impegnate in una serie di percorsi che a tratti si intrecciano e si incrociano. Una bella occasione, dunque, per far germogliare nuove sinergie, in un’atmosfera accogliente e autentica, così come autenticamente appassionate sono suonate le parole di tutti gli intervenuti a cui va anche dato il merito di non aver mai ecceduto in retorica, tra i nemici più insidiosi in occasioni di questo tipo.

Don Claudio Ciccillo – il “padrone” di casa che ha aperto da tempo quella casa a realtà diverse, a linguaggi, a contaminazioni positive, nodo di una rete amplissima – ha ribadito come quello in via Oberdan, che peraltro ospita  la biblioteca “Peppino Impastato” – che Ciccillo ha definito «un ragazzo che non voleva essere un eroe» – voglia essere un luogo di riflessione e incontro e sue sono state anche le parole di chiusura che sono sembrate innanzittutto un “arrivederci”, su una serata che non deve restare un episodio isolato.

Platea

La platea della serata

Il primo ospite a entrare in tema è stato, e non poteva essere diversamente visto il ruolo cruciale della sua associazione, Lorenzo Carpinelli, attore, vincitore di una borsa di studio per una tesi sul caporalato, volontario del Gruppo dello Zuccherificio. Ha raccontato le attività del gruppo soprattutto all’interno dello scuole di fronte a ragazzi la cui prima reazione è ancora: «Da noi la mafia non esiste» e «Se esiste, non ci riguarda, l’hanno portata “loro”». Stereotipi che il Gdz del resto combatte e destruttura da ormai dieci anni, da ben prima che arrivassero le grandi inchieste Black Monkey e Aemilia, con un lavoro che lega informazioni, educazione, linguaggi diversi e che soprattutto ha saputo far rete in questi anni grazie a collaborazioni con diverse altre realtà come è emerso più volte durante l’incontro (incluso il settimanale R&D).

Tra le collaborazioni c’è quella storica con Gaetano Alessi, con una lunga storia di attività di antimafia alle spalle, coautore tra l’altro (insieme al ravennate Massimo Manzoli del Gruppo dello Zuccherificio) che alla platea ha in particolare mostrato il sito Mafiesottocasa, spiegato che il nome nasce dal tentativo di smontare un terzo grande cliché che si sta diffondendo ora, dopo le grandi inchieste: «La mafia in Emilia- Romagna esiste, ma non qui, nella provincia accanto magari…». Sul sito si vedono documenti sulle inchieste, gli elenchi dettagliati degli immobili sequestrati alla mafia comune per comune, i cosiddetti “reati sentinella”, quelli cioé che fanno intuire la presenza dell’organizzazione criminale come quelli legati a gioco d’azzardo, prostituzione e spaccio di stupefacenti. E, si è scoperto ieri sera, anche la pesca di frodo…
A parlarne è stato Giacinto De Renzi, presidente delle Guardie Giurate Ecologiche Volontarie di Legambiente che ha raccontato in generale come nella loro normale attività di controllo (agiscono come pubblici ufficiali) si siano più volte imbattuti in situazioni che, una volta segnalate alle forze dell’ordine, hanno dato via a indagini che hanno rivelato meccanismi di illegalità profondi e radicati. Dallo smaltimento dei rifiuti all’edilizia, dall’agroalimentare fino, appunto, alla pesca di frodo. In questo caso De Renzi parla di centinaia di persone che starebbero sistematicamente operando da tempo in tutti i corsi d’acqua del bacino del Po danneggiando l’intero ecosistema, una rete criminale dai metodi anche violenti. Una situazione che però al momento viene liquidata dalle autorità, dice De Renzi, come semplice “pesca di frodo” perché secondo la guarda ambientale nelle istituzioni «si sente ancora forte la necessità di proteggere il buon nome del territorio, e anche dalle aziende, che pure sono danneggiate da queste infiltrazioni, le denunce sono ancora poche».

Se quelli ambientali possono essere sicuramente annoverati oggi tra i “reati spia”, quello forse più antico resta il gioco d’azzardo, non a caso attività a cui era dedita anche la famiglia Femia nel ravennate. Una crepa, la passione del gioco, in cui prolifera la malavita e che in Romagna ha radici profonde e antiche. Lo ha raccontato Nevio Galeati, giornalista e direttore del festival GialloLuna NeroNotte, partendo addirittura da Dante e dalla Commedia. Fitta di curiosità e spunti di riflessione la sua carrellata attraverso i secoli che già voleva spesso la “bisca” insieme al postribolo e che arriva fino alle lettere anonime degli anni Settanta che arrivavano nelle redazioni dei giornali per raccontare che, nonostante le denunce, in troppi sembravano chiudere un occhio, se non due, sulla presenza del gioco d’azzardo clandestino in città.

E in una terra dove il gioco è così radicato sembra allora farsi ancora più stringente la necessità di lavorare sulla prevenzione, sui ragazzi. E se già le Albe con il bellissimo Slot Machine hanno affrontato la questione, se il Gdz da tempo lavora sul tema, se anche le istituzioni finalmente si stanno muovendo con provvedimenti legislativi, forse l’educazione resta l’elemento cruciale. Ecco allora l’importanza del lavoro che sta facendo il noto regista ravennate Fabrizio Varesco nelle scuole tramite il linguaggio del media forse più vicino ai giovani: il video. «Mostriamo gli spot, sempre più invasivi – racconta – e documentari che  mostrano come il gioco sia fatto per perdere. E poi lavoriamo alla realizzazione di video originali, un’esperienza molto stimolante per tutti. Adesso stiamo girando un corto di fantascienza in cui improvvisamente sono scomparsi tutti i numeri dall’1 al 90…».

E se Varesco con i ragazzi delle scuola usa anche la fantascienza per parlare di gioco e malavita, Eugenio Sideri, regista e autore teatrale della compagnia Lady Godiva, sta invece utilizzando il teatro e uno spettacolo tratto addirittura dal Mercante di Venezia di Shakespeare. Un laboratorio che ha anche il merito di mescolare studenti diversi: ragazze del liceo classico e artistico e dodici ragazzi della scuola professionale Pescarini. Il debutto, da non perdere, a marzo durante la settimana della legalità.

A chiudere il giro di tavolo (purtroppo non è potuta essere presente l’associazione Pereira, anch’essa impegnata in progetti nelle scuole) oltre a Marco Martinelli delle Albe e l’asssessora Valentina Morigi, naturalmente Libera Ravenna, l’associazione nazionale guidata da Don Ciotti e molto attiva anche sul territorio ravennate. Debora Galassi, che è la referente provinciale, ha trattato in modo particolarmente appassionato della necessità di parlare ai ragazzi (anche i volontari di Libera e Debora stessa lavorano nelle scuole) usando linguaggi non convenzionali perché oltre al merito, sottolinea Galassi, anche il metodo è importante. Un messaggio rivolto soprattutto a quegli insegnanti che invece talvolta vorrebbero un approccio più “ex catedra” anche da parte dei volontari. E su quali possono essere i metodi di coinvolgimento diretto e non convenzionali anche fuori dalla scuola per trasmettere valori ai giovani è arrivato il racconto, corredato da immagini, di Emilia Iaccarino, sorrentina, volontaria di Libera e della Comunità San Damiano, che ha raccontato un campo lavoro in Lombardia in cui una squadra di ragazzi ha ripristinato un appartamento confiscato (e ridotto dai precedenti proprietari in uno stato indicibile). Il suo è stato un appello e messaggio finale difficile da non condividere: dopo l’educazione e le azioni servono anche opportunità vere di lavoro per i ragazzi per sconfiggere l’humus in cui le mafie possono proliferare.

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