“Va pensiero”, lo spettacolo delle Albe che racconta la resistenza alle mafie

In scena fino al 14 dicembre al Teatro Alighieri. Ne parla l’autore e regista Marco Martinelli

Martinelli Montanari

Marco Martinelli

Dopo aver sedotto e stregato la città con Inferno il Teatro delle Albe torna al teatro Alighieri con Va pensiero , in scena fino a giovedì 14 dicembre, alle ore 21 (domenica 10 alle 15.30, pausa lunedì 11 e martedì 12).
Lo spettacolo è stato ideato da Marco Martinelli e Ermanna Montanari, che ne firmano anche la regia. In scena: Ermanna Montanari, Luigi Dadina, Alessandro Argnani, Salvatore Caruso, Tonia Garante, Roberto Magnani, Mirella Mastronardi, Ernesto Orrico, Laura Redaelli e Alessandro Renda, assieme al Coro Lirico Alessandro Bonci di Cesena diretto da Stefano Nanni.
Ne abbiamo parlato con Marco Martinelli .
Con questo lavoro prosegue la vostra indagine su temi civili dopo Pantani e Rumore di acque, Slot Machine e Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi. Come mai avete deciso di fare uno spettacolo sulla mafia in Emilia-Romagna?
«Se il teatro deve essere specchio, che sia specchio ustorio, che possa incendiare le coscienze, senza chiudere gli occhi sulle piaghe della nostra società. La nostra ossessione sono i temi profondi, che dividono e lacerano la polis. Questa storia che ha raccontato a me ed Ermanna, Massimo Manzoli (del Gruppo dello Zuccherificio, ndr.), ci è sembrata davvero un esempio emblematico di quel nero della società, ma anche della speranza».

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Immagine di scena di “Va Pensiero”

Quanto c’è di reale nella storia che raccontate?
«L’opera è di fantasia. Come Dickens e Dostoevskij, che si ispiravano a fatti di cronaca per poi costruire i loro affreschi, noi siamo partiti dalla storia di Donato Ungaro, un vigile urbano, che a Bresciello (tra Modena e Reggio-Emilia) non chiude gli occhi davanti ai legami tra politica e criminalità, si mette di traverso. Per questo motivo viene licenziato dal sindaco. La storia è a lieto fine però, perché dopo dodici anni di cause viene riassunto. Ora il comune lo rimborserà e sogna di tornare a fare il suo lavoro».

«Il teatro deve essere uno specchio che
incendia le coscienze»

E lui è già venuto ad assistere allo spettacolo?
«È venuto due sere a Modena. Durante gli applausi lo abbiamo portato sul palcoscenico con noi».
Lo spettacolo ha debuttato a Modena, molto vicino a dove la vicenda reale si è svolta. Il pubblico come ha reagito?
«Con grandi applausi e commozione, ma anche divertimento, perché è uno spettacolo che si muove su diversi piani».
Era una storia che conoscevano?
«Pochi. È incredibile come le storie vengano macinate velocemente nel tritacarne dei media. Anche il processo Aemilia, il più grande processo di mafia mai realizzato nella nostra regione, è scomparso velocemente dai giornali».
Avete scoperto aspetti di questo mondo che non conoscevate lavorando a questo testo?
«Abbiamo iniziato a lavorarci due anni fa. La percezione che avevamo prima era sfocata. Leggendo Manzoli e gli articoli di Giovanni Tizian e Sabrina Pignedo, giornalisti che si sono presi la responsabilità di raccontare queste storie e per questo sono seguiti dalla scorta, abbiamo scoperto molte cose. La nostra terrà è contaminata, ma siamo ancora in tempo a cambiare, però ci vuole una coscienza profonda. Al di là di quello che può fare la politica e la magistratura, che è tantissimo, è il cittadino che deve prendere parte a questa nuova forma di resistenza. Penso anche ai quindicenni, che sono smarriti e vedono nei grandi l’ipocrisia di tanti bei discorsi che non corrispondono alle azioni».

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Foto di scena di “Va Pensiero”

L’idea di mettere le musiche di Verdi è per sottolineare questa idea di nuovo risorgimento?
«Sì, avevamo in mente il giovane Verdi, neanche trentenne, a cui è morta la moglie e i due figli, la cui ultima opera è stata un fiasco colossale. È un uomo in preda alla disperazione, ma da questa disperazione ne esce componendo il Nabucco, il canto di un popolo schiavo. I ragazzi oggi secondo le statistiche sembrano senza futuro, ma cosa si può fare in questa condizione se non cercare la via d’uscita con ancora più forza»?
Nelle note di Verdi e nella vicenda del vigile contro la mafia si legge una moderna storia di patriottismo. Che cos’è per te, oggi, la “Patria”?
«A me è piaciuta la provocazione di Michela Murgia quando ha detto “chiamiamola matria”. È la terra che ci ha fatto nascere. È femminile e maschile assieme, è la terra delle madri e dei padri. Penso agli eretici che erano ribelli nel loro tempo: come Dante e Verdi. Non a quelle caricature fatte e rifatte, che ancora con il loro ghigno mummificato, si propongono a noi come padri. Gli unici padri a cui si può dare una patente di nobiltà sono quelli che sono stati in esilio e che hanno combattuto».

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