Gianluca Ricci, dalle sfide con Baggio in serie A fino al vivaio del Ravenna

L’ex calciatore, protagonista anche al reality “Campioni”, si racconta

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Il Bari in serie A, Gianluca Ricci è il terzo in basso da destra, abbracciato a Igor Protti

Ha vissuto tante avventure calcistiche in carriera, Gianluca Ricci, e solo l’ultima sembra averlo portato in modo definitivo a Ravenna, la sua città.

Con le scarpe chiodate ha vestito per un’unica stagione la maglia giallorossa, tra l’altro esaltante, mentre per il resto è stato quasi un rincorrersi senza trovarsi mai. Fino a quando, un anno e mezzo fa, ecco arrivare la chiamata attesa da una vita, seguita dalla decisione di ricoprire il ruolo di responsabile organizzativo del settore giovanile della società bizantina. Una veste importante e adeguata, per uno che nel curriculum può contare ben 52 presenze in Serie A (tutte a Bari), 80 in B (spalmate tra Bari, Padova e Ancona) e 210 in C2 (Gubbio, Centese, Viareggio, Fasano e Russi).

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Gianluca RicciRicci, come si trova nel “suo” Ravenna?
«Tutta la mia vita è sempre girata attorno al calcio, anche dopo il ritiro. Da dirigente ho lavorato per qualche anno all’Imolese, dall’amico Spagnoli, mentre da allenatore c’è stata la breve parentesi come vice di Bardi a Forlì. Sono stato contentissimo della chiamata arrivata dal Ravenna, è stato come avverare un sogno. Sto vivendo una bellissima esperienza con i giovani e il mio obiettivo è quello di creare qualcosa di buono».

Qual è il suo compito, nello specifico?
«È quello di affiancare il responsabile del vivaio, Nevio Valdifiori, seguendo tutti i giovani tesserati, da quelli nati dal 2002 fino al 2010. Oltre ai calciatori devo tenere i rapporti con i loro genitori, e ovviamente con gli allenatori».

Come è la situazione del settore giovanile giallorosso?
«Sappiamo che ci vuole tempo per portarlo a certi livelli. Nella storia il vivaio del Ravenna è sempre stato al di sotto delle proprie possibilità e il nostro compito è quello di dargli una maggiore credibilità. Da quando sono arrivato ho visto già dei piccoli ma significativi miglioramenti un po’ in tutte le categorie di età».

Quali sono le strade da percorrere?
«Due, in particolare: migliorare le strutture, tenendo a stretto contatto la prima squadra e le giovanili, e il livello degli allenatori. Dobbiamo anche avere una maggiore fiducia in quello che facciamo, con l’obiettivo di “allevare” calciatori di prospettiva. Bisogna credere anche di più nei nostri ragazzi e aiutarli nell’affrontare il difficile mondo che li circonda».

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Si spieghi meglio…
«I giovani d’oggi hanno degli svaghi che ai nostri tempi, quando avevamo 14-15 anni, non esistevano. Per noi esisteva solo il pallone, mentre adesso ci sono troppe cose che li portano via dal calcio. Per loro entrare nello spogliatoio con il telefonino acceso in mano è la normalità. C’è meno spirito di sacrificio e alla prima difficoltà si arrendono. Bisogna lavorare anche su questo e aiutarli».

E la storia del ragazzino Gianluca Ricci da dove inizia?
«Dall’Endas Monti, in quanto il settore giovanile del Ravenna era come se non esistesse. Poi in età da Esordienti vado a Russi, per infine compiere il salto nella Primavera del Cesena. Era un altro mondo, da lì erano stati lanciati calciatori come Bianchi e Minotti. Anche io, nel mio piccolo, ho fatto un buon percorso, affrontandoli in seguito da avversari in Serie A».

A Bari, giusto?
«Sì, dopo una esaltante promozione, una delle gioie più belle della mia carriera. Ho disputato due stagioni nel massimo campionato, centrando la salvezza, giocando negli stadi più importanti d’Italia e marcando campioni come Signori, Weah, Vialli, Baggio e Boksic, giusto per citarne alcuni. Finita quella splendida esperienza sono tornato in B, a Padova e Ancona, per infine fare parte del Perugia in A, senza però mai scendere in campo».

Dopo qualche anno in C2 è arrivata la chiamata dal Ravenna, allora in D…
«Sì, nel 2002, e in panchina c’era Gadda. Dopo il fallimento di un paio di anni prima si era tornati a vivere un clima di entusiasmo. Mi chiamò Pelliccioni, che riuscì a costruire una squadra competitiva e propositiva, bella da vedere giocare. Arrivò un’altra grande soddisfazione, la promozione in C2, ma la mia esperienza finì dopo un solo campionato».

In seguito, nel 2004, l’avventura nei “Campioni” del Cervia. Cosa si ricorda?
«Fu una scelta dura, non ci volevo proprio andare, ma Graziani e Magrini insistettero tantissimo, fino a farmi cambiare idea. L’inizio, poi, fu molto negativo, dentro ma soprattutto fuori dal campo da calcio. A un certo punto, però, gli autori capirono che la cosa più importante era focalizzarsi sul pallone, sulle partite, e fu da lì che la trasmissione riuscì a ottenere il successo. Per noi calciatori fu una bellissima opportunità, perché ci diede la possibilità di girare per tutta l’Italia. A Palermo per vederci c’erano più di 40mila spettatori, a Udine 20mila, e catalizzammo anche l’attenzione del grande calcio. Ancora oggi, per la strada, c’è gente che mi riconosce e mi ferma».

Come capita spesso, fu un’esperienza che durò lo spazio di una stagione…
«Sì, io decisi di andarmene, così come fecero anche tanti altri calciatori che nel frattempo erano diventati miei amici. La trasmissione proseguì per un altro anno, ma i costi erano troppo alti e l’interesse attorno al Cervia calò in maniera progressiva».

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Seguirono alcune altre stagioni nei campionati dilettantistici, tra cui anche una parentesi nel campionato sammarinese, e l’inizio dell’attività da dirigente all’Imolese, come già raccontato prima. Ma Ricci cosa vuole fare da grande?
«Quello che sto facendo adesso, stare con i giovani. Non mi interessa intraprendere l’attività di allenatore, non ho preso nemmeno il patentino. Mi piace tantissimo il ruolo che ho adesso, anche perché mi dà la possibilità di dare una mano dove c’è bisogno».

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